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Ubi datum secretum: “quando le fu concessa udienza privata”; per il termine

Nota preliminare

L. Brutus minorum gentium: in questo punto Tacito si discosta dalla tradizione secondo cui le gentes minores erano state create da Tarquinio Prisco (Liv 1, 35, 6;

1 Ubi datum secretum: “quando le fu concessa udienza privata”; per il termine

secretum in questa accezione, cf. e.g. Ann. 3, 8, 2 haec palam et vitato omni secreto; Plin. Epist. 1, 5, 11. Per il nesso secretum dare nel senso di “concedere

udienza privata” (in connessione con secretum petere, “chiedere udienza privata”), cf. Svet. Tib. 25, 3 (Liboni) secretum petenti non nisi adhibito Druso filio dedit. Genibus Caesaris provoluta: si noti il forte impatto drammatico della scena; il verbo provolvo si ritrova in Tacito in altri contesti analoghi, ad es. infra a 12, 18, 2

regiam ingreditur (sc. Mithridates) genibusque eius (sc. Eunonis) provolutus e 14,

61, 2.

Simul Cleopatram, quae [idem] opperiens adstabat, an idem comperisset interrogat: M ha in questo punto simul Cleopatram, quae idem opperiens

adstabat, an comperisset interrogat; i recenziori hanno tutti questa lezione, tranne

L che ha quae et idem... an idem comperisset. A mio avviso la migliore soluzione è accogliere il testo di M trasponendo semplicemente idem dopo an, come fa Andresen, seguito da tutti gli editori tranne Furneaux, Fisher, Jackson, Goelzer, che accolgono il testo di M con correzione di idem in id di Halm (ma dal mio punto di vista il senso è meno buono), e Wellesley, che adotta la macchinosa soluzione id

opperiens... an idem comperisset. Per l'uso assoluto di opperior cf. Plaut. Aul. 805,

Sall. Iug. 91, 3, Tac. Hist. 2, 69, 1 senatus legatione, quam ibi opperiri iusserat,

audita.

finge di chiedere perdono per non aver svelato a Claudio i passati adulteri di Messalina, è uno dei più discussi dell'intera seconda parte degli Annales. La lezione di M è l'incomprensibile eicis vetticis plautio dimulavisset, che i recenziori riportano variamente alterata, ma ugualmente priva di senso. I soli L e Stuttg.2

hanno cicios vectios plaucios dissimulavisset, ritenuta, con gli aggiustamenti di Brotier ed Orelli (Titios, Vettios, Plautios), la lezione corretta da Koestermann, Weiskopf, Wuilleumier, Heubner e Wellesley. Questo punto fu ritenuto decisivo sia da MENDELL 1954, p. 261 che da KOESTERMANN 1960, pp. 97 ss. per provare

l’indipendenza del ramo tradizionale rappresentato da L da quello di M. Tuttavia, secondo MARTIN 1964, p. 113, condiviso da GOODYEAR 1965, p. 317 e RÖMER,

HEUBNER 1978, pp. 169-170, è possibile che si tratti di un (eccellente) intervento

congetturale, poiché i nomi possono essere ricavati dal testo stesso: Tizio Proculo, cavaliere, è menzionato come vittima della rappresaglia di Claudio al cap. 35, 3, dove lo si definisce custodem a Silio Messalinae datum (si veda la nota ad et...

iubet), così come Vettio Valente, che Plinio ricorda come medico di fama e amante

di Messalina (Plin. Nat. 29, 8; 20, 10 e 171-172), e che compare al cap. 31 tra i partecipanti alla festa di nozze dell'imperatrice e di Silio; Plauzio Laterano è nominato al cap. 36, 4 tra i complici della congiura, da Claudio momentaneamente assolto. Una proposta alternativa è quella di Nipperdey (seguito da Furneaux, Fisher, Jackson, Goelzer) quod ei Vettios.

Ne... reposceret: ne ha qui il valore di nedum, come e.g. in Cic. Fam. 9, 26, 2, Sall.

Catil. 11, 8 quippe secundae res sapientium animos fatigant, ne illi corruptis moribus victoriae temperarent e Liv. 3, 52, 9 novam inexpertamque potestatem eripuere patribus nostris, ne nunc dulcedine semel capti ferant desiderium (Halm,

seguito da Jackson, proponeva infatti di correggere ne in nedum). Il soggetto della frase, anche se idealmente dovrebbe essere Claudio, è senza dubbio Narcisso (cf.

HEUBNER 1964, pp. 141-142); il destinatario della richiesta è, ovviamente, Silio.

Fortunae paratus: per fortuna e paratus cf. supra 11, 12, 3, note a velut translata

iam fortuna e paratus principis.

Frueretur immo his, <s>ed redderet uxorem rumperetque tabulas nuptiales: questa la lezione di M, con l'aggiustamento <s>et (<s>ed) di Acidalius (Wellesley mantiene et, ma a mio parere è necessaria una congiunzione avversativa). La

lezione alternativa di L, cogeretur una cum his et reddere uxorem rumpereque

tabulas nuptiales, pur giudicata buona da MENDELL 1954, p. 259, fa perdere alle

parole di Narcisso il loro carattere fortemente sarcastico, ed è dunque da respingere.

An... maritus: si noti il brusco passaggio dal discorso indiretto al diretto, che contribuisce ad incrementare la drammaticità del racconto (per questo, cf. supra 11, 2, 1, nota a interroga... fatebuntur). Un passaggio analogo in Ann. 16, 22, 2, senza

inquit e.g. in Ann. 2, 77, 3; 3, 46, 2 e 4, 40, 4. Entrambe le movenze si trovano già

numerose in Livio, per quanto non assenti in autori precedenti (cf. KS II-2, pp. 548- 549).

Populus et senatus et miles: cf. Ann. 1, 7, 2 mox senatus milesque et populus (sc.

iuraverunt in verba Tiberii Caesaris); 14, 11, 1 militi patribusque et plebi

(omettendo populus/plebs, anche in Ann. 12, 69, 2 e 13, 4, 1). L'espressione, utilizzata con qualche variazione per indicare il complesso delle forze costitutive dell'impero in contesti ufficiali, è qui significativamente impiegata a proposito del matrimonio di Messalina e Silio, a rimarcarne il valore politico. Si noti, per inciso, l'inserimento, da parte di Tacito, dell'esercito accanto ai tradizionali senatus

populusque, ad indicare l'importanza da esso acquisita nelle dinamiche politiche del

principato (SYME 1967-1971, I, p. 537).

31

1 Tum potissimos amicorum vocat: è correzione di Mercerus per potissimum di M, accolta a testo da Weiskopf, Wuilleumier e Heubner (si cf. Ann. 13, 18, 1

potissimos amicorum, 14, 65, 1 libertorum potissimos). È buona, ma forse meno

economica, anche la lezione di L, riscontrabile anche a margine dell'editio princeps di Stoccarda, potissimum quemque (si cf. Ann. 13, 18, 1 validissimum quemque), accolta dai restanti editori. Gli amici (non necessariamente in senso proprio; si vedano l'ironico pallor amicitiae di Iuv. 4, 74-5 o quanto scrive Plin. Paneg. 85

etenim in principum domo nomen tantum amicitiae inane scilicet inrisumque remanebat) a cui Tacito fa qui riferimento erano un gruppo eterogeneo di persone-

tanto senatori e cavalieri quanto personaggi relativamente oscuri- che non costituivano un corpo costituzionale riconosciuto, con una lista fissa di membri, ma

venivano consultati regolarmente dal principe come consilium su questioni di primaria importanza (si vedano le parole di Elvidio Prisco in Hist. 4, 7, 3 nullum

maius boni imperii instrumentum quam bonos amicos esse, supra 11, 23, 2 e infra

12, 20), e potevano seguirlo in viaggio. Sul loro enorme potere, si cf. Dial. 8, 3 a proposito di Vibio Crispo ed Eprio Marcello principes in Caesaris amicitia agunt

feruntque cuncta, Plinio Epist. 1, 18, 3 et eram acturus… contra potentissimos civitatis atque etiam Caesaris amicos, Epitt. 4, 1, 95. Fondamentale per

l'argomento CROOK 1955; si veda anche la sintetica ma efficace definizione in

QUESTA 1998, p. 102, il quale ricorda la trasformazione, nella tarda antichità, del

consilium principis nell'istituto ufficiale del sacrum consistorium.

Rei frumentariae praefectum Turranium: si allude qui al praefectus annonae Gaio Turranio Gracile, che, come si evince da Ann. 1, 7, 2, era già prefetto dell'annona trentaquattro anni prima; egli fu forse, addirittura, il primo dall'istituzione della carica da parte di Augusto nel 7. Il prefetto dell'annona, di rango equestre, si occupava principalmente di distribuire ogni mese, a chi ne aveva diritto ed era iscritto in un'apposita lista, una razione di grano.

Lusium Getam praetorianis impositum: PIR V L 435. È menzionato anche infra a 11, 33, 1 dove viene definito, secondo Claudio e gli altri membri del suo

entourage, ad honesta seu prava iuxta levis, e a 12, 42, 1, dove Tacito riferisce per

l'anno 51 la volontà, da parte di Agrippina, di rimuovere dalla carica lui e l'altro prefetto al pretorio Rufrio Crispino (supra 11, 1, 3) per la loro fedeltà a Messalina. Quis fatentibus cert<at>im: certatim è lezione di alcuni recenziori, unanimemente accolta al posto di certium tràdito da M. Si cf. e.g. Ann. 3, 65, 2 ut...

pedarii senatores certatim exsurgerent, 12, 7, 1.

Circumstrepunt: il verbo circumstrepo, attestato esclusivamente nel latino postclassico sia nella forma transitiva che assoluto, viene impiegato in contesti di particolare icasticità; si cf. Ann. 3, 36, 4 e Sen. Epist. 82, 4 quacumque te

abdideris, mala humana circumstrepent. Si noti la significativa ricomparsa del

verbo infra al par. 2 a qualificare le danze sfrenate di Messalina e Silio e dei loro accoliti durante la festa bacchica.

Satis... esset: lo stesso dettaglio in Svet. Claud. 36.

In questo caso, però, il verbo ha il significato di “riempire, coprire di”, secondo un uso privo di paralleli a proposito di persone, ma analogo a quello di Cic. Fin. 3, 45

offunditur luce solis lumen lucernae, Val. Max. 2, 7, 6 oculos clarissima in luce tenebris offusos (all'attivo, in senso figurato, si trova in Cic. Marc. 10 omnium Marcellorum meum pectus memoria offudit, portato a parallelo da FLETCHER 1964,

p. 36).

2 At Messalina: si noti l'improvviso “spostamento del fuoco” della narrazione da Claudio e il suo entourage a Messalina e Silio (nei capitoli successivi questo accadrà ripetutamente, si cf. infra 11, 33 e 37, 1), senza dubbio un espediente per incrementare la suspence e vivacizzare il racconto. Per un altro esempio di questa tecnica narrativa si cf. la congiura di Pisone in Ann. 15, 48 ss.

Non alias solutior luxu: “più sfrenata che mai”. L'espressione è pleonastica, in quanto già la semplice propensione al luxus rende Messalina una donna degradata, ma di grande forza espressiva; di solito, infatti, solutus è impiegato dallo storico assolutamente (e.g. Ann. 16, 18, 1) o con in e accusativo, ad indicare il punto di arrivo della sfrenatezza (cf. Hist. 2, 99, 2 e 3, 38, 1). Per espressioni affini si cf. Sil. 2, 502 e Quint. Inst. 3, 8, 28 (FLETCHER 1983, p. 314). Al baccanale di cui Tacito

racconta qui oltre con ricchezza di dettagli è dedicato solo un accenno nell'epitome di Cassio Dione (60, 31, 4).

Adulto autumno: “in autunno avanzato” (cf., per l'espressione, Ann. 2, 23, 1

aestate iam adulta, Hist. 3, 23, 3 adulta nocte); si dovrebbe alludere alla metà di

Ottobre, in quanto la vendemmia veniva tradizionalmente aperta il 19 Agosto con un sacrificio e le feriae vindemiales duravano dal 22 Agosto al 15 Ottobre.

Simulacrum vindemiae per domum celebrabat: con simulacrum si intende che non si trattava di una vera e propria vendemmia, ma di una rappresentazione; questo è poi specificato da per domum, cioè “in processione nella casa” (di Silio). Urgeri prela, fluere lacus: “i torchi spremono l'uva, i tini traboccano”. Per fluere nel senso di traboccare Sil. 7, 190. Sull'impiego dell'infinito narrativo, cf. supra 11, 12, 3, nota ad illa... visebantur con altri rimandi.

Pellibus accinctae: le Menadi sono cinte di pelli di fiere già in Eur. Bacch. 111 (cf. ancheNonn. 14, 356 ss.); nella letteratura latina si cf. in particolare Verg. Aen. 7, 396 pampineasque gerunt incinctae pellibus hastas.

Adsultabant: il verbo è impiegato dallo storico quasi sempre in contesto bellico col significato di “assalire, attaccare” (e.g. Ann. 1, 51, 3; 12, 35, 3; Agr. 26, 2); col significato di “balzare qua e là” lo si trova riferito ad animali (Hist. 4, 22, 2

adsultante... equite).

Ipsa... choro: si noti, in questa parte del capitolo, la velocità del ritmo narrativo, ottenuto tramite l'uso dell'asindeto associato agli infiniti narrativi e ai participi (per una struttura simile, cf. supra 11, 12, 3, nota a illa... visebantur; per l'asindeto 11, 21, 3, nota a longa... obtinuit e 11, 27, nota a discubitum... coniugali).

Crine fluxo: “con i capelli sciolti, fluttuanti”; fluo, attestato solo qui a proposito dei capelli, si trova riferito ad altri oggetti che, non essendo trattenuti e fermati in alcun modo, si muovono liberamente (e.g. Lucan. 2, 362 fluxos... amictus).

Hedera vinctus, gerere cothurnos: ad impersonare forse Bacco (cf. Vell. 2, 82, 4 a proposito di Marco Antonio dopo la vittoria su Artavasde nel 34 a.C. cum

redimitus hederis... et thyrsum tenens cothurnisque succinctus curru velut Liber pater vectus esset Alexandreae e SEIF 1973, pp. 117 e 308-310). L'incoronazione

con foglie di edera era tipica, in generale, dei rituali bacchici (cf. e.g. Curt. 8, 10, 15).

Strepente circum procaci choro: cf. supra la nota a circumstrepunt.

3 Ferunt... atrocem: la scena dello sfrenato baccanale di Silio e Messalina tocca il suo culmine con quest'episodio che ha per protagonista il medico, e presunto amante dell'imperatrice, Vettio Valente (per cui si veda supra 11, 30, 2, nota a quod

Titios, Vettios, Plautios di<ssi>mulavisset) che, salito su un albero, vede

approssimarsi da Ostia una terribile tempesta. LA PENNA 1975 ha giustamente

riconosciuto in quest'episodio un ricordo di Eur. Bacch. 1058-1083, in cui il messaggero racconta della salita di Penteo su un albero altissimo allo scopo di vedere le Menadi, agevolata dallo stesso Dioniso, salita che gli sarà fatale, in quanto saranno le Menadi a vederlo per prime e a farlo a pezzi. Tuttavia, a differenza di quello che ipotizza pur cautamente La Penna, credo che il ricordo euripideo possa anche non essere stato evocato consapevolmente dai personaggi del racconto, che starebbero mettendo in scena una sorta di rappresentazione teatrale o pantomimo, bensì essere stato pensato dallo storico per agire “al di sopra” dei personaggi direttamente sul lettore; questo è, a mio parere, confermato dalle ultime

parole del capitolo, laddove si dice che la risposta di Valente fu data sive coeperat

ea species seu forte lapsa vox in praesagium vertit, “sia che fosse effettivamente

iniziata una tempesta, sia che una parola detta forse senza pensarci si tramutasse in profezia”. Per l'ipotesi, a mio avviso insostenibile, di interpretazione della festa come rituale dionisiaco di unione mistica con la divinità, cf. COLIN 1956.

Tempestatem... atrocem: il nesso è attestato in Liv. 21, 58, 3 e 40, 2, 1, in Plin.

Nat. 18, 344 (ma si cf. già Hor. Carm. 3, 13, 9 flagrantis atrox hora Caniculae).

Per il nesso atrox hiems si cf. infra 12, 50, 2. Lascivia: “nella sfrenatezza della festa”.

Coeperat ea species: species nel senso di “visione”, “fenomeno visibile”, trova paralleli in Cic. Phil. 11, 7 ponite... ante oculos... miseram illam speciem, Svet.

Nero 41, 2 ad eam speciem exiluit gaudio, anche se l'unione con il verbo coepio è

inusuale.

Vertit: il verbo è qui impiegato con valore riflessivo, secondo un uso frequente in Tacito (si vedano e.g. Ann. 4, 32, 1 (praeverto) e 6, 46, 2, infra 11, 37, 1 verterat

pernicies in accusatorem (sui verbi usati intransitivamente con valore riflessivo cf.

anche LHS II, n. 165). 32

1 Gnara Claudio cuncta et venire promptum ultioni: si noti il brusco cambio di soggetto tra la prima e la seconda infinitiva, il cui soggetto è ricavabile dal precedente Claudio. Gnarus nel senso di notus è un uso tipicamente tacitiano (cf. e.g. Ann. 15, 61, 1 e altri esempi in TLL VI, 2123, 63 ss.), attestato solo sporadicamente in epoca successiva.

Lucullanos in hortos: la parte finale della tragedia di Messalina, si consumerà, in una sorta di contrappasso, proprio in quei giardini di Lucullo da lei tanto bramati (cf. supra 11, 1, 1, nota ad hortis e infra 11, 37, 1). Per quanto riguarda la forma dell'aggettivo, seguo qui la correzione di Heraeus, accolta dal solo Heubner, per il tràdito fucilianos; essa, infatti, trova il sostegno di Frontin. Aq. 5 e Svet. Tib. 73, 1, laddove, invece, non vi sono attestazioni della forma lucullianus, proposta per il nostro passo da Beroaldo ed adottata da tutti i restanti editori.

prima mano di M e di alcuni recenziori metu, accolta da quasi tutti gli editori e da intendersi come dativo finale (un'espressione identica in Ann. 15, 69, 2 nihil

metuens an dissimulando metu). Furneaux avanza anche l'ipotesi che si possa

trattare qui di un ablativo, portando a parallelo Ann. 14, 4, 4 explenda simulatione, dove la struttura pare essere una sorta di ablativo assoluto con valore causale; ma nel nostro contesto il dativo finale sembra essere più appropriato e naturale (per il dativo del gerundivo con valore finale, cf. supra 11, 1, 1, nota ad accusandis

utrisque immittit). Heubner accetta invece, meno plausibilmente, la correzione della

seconda mano di M metum, Wellesley accoglie la lezione di alcuni recenziori

dissimulato metu, a mio avviso banalizzante. La paura di Silio in questo contesto

appare una nota isolata, a fronte dell'audacia, al limite dell'incoscienza, da lui dimostrata in precedenza, pur nell'angosciosa consapevolezza del pericolo (cf.

supra 11, 12, 2 e 26, 1-2). Al momento della morte (infra 11, 35, 2) Silio mostrerà,

invece, notevole fermezza.

Inditaque sunt vincla: cf. supra 11, 1, 3, nota a vinclisque inditis (sul significativo parallelismo tra Asiatico e Messalina cf. WILLE 1983, p. 492).

In publico... per latebras: sulla variatio, cf. supra 11, 9, 1, nota a vi... Hibero

exercitu campos persultante.

2 Ire... et aspici... intendit: la costruzione di intendo con l'infinito è piuttosto rara, attestata sporadicamente prima di Tacito e.g. in Plauto, Lucrezio, Sallustio e Livio (cf. TLL VII-1, 2116, 67-77).

Ire... praevalebat: il racconto dei tentativi da parte di Messalina di evitare la catastrofe ormai imminente presenta notevoli analogie con la fine di Vitellio in

Hist. 3, 81-85 (SEIF 1973, pp. 120-121 e KEITEL 1977, pp. 128-131, secondo cui

l'accostamento di Messalina ad un imperatore è funzionale ad evidenziare il grande potere posseduto dalla donna, e la caratterizzazione di Vitellio nelle Historiae si ritrova riecheggiata non solo in quella di Messalina, ma anche, in una sorta di sdoppiamento, in quella di Claudio): anche Vitellio si appella alle Vestali per allontanare lo scontro decisivo (infra, nota ad et Vibidiam... expetere), e dopo la sconfitta fugge in solitudine, in preda allo sconvolgimento, cercando riparo in un nascondiglio vergognoso, senza che nessuno provi compassione per lui (3, 84; cf.

Misitque: è correzione di Halm, accettata da tutti tranne che da Wellesley (iussitque dei recc.), per il tràdito missique di M, con la seconda s sovrascritta da una mano posteriore. Mittere ut nel senso di “ordinare di” si trova già in Cesare e Cicerone (cf. TLL VIII, 1185, 75-81).

Et Vibidiam... expetere: cf. infra 11, 34, 3. Vibidia (PIR III V 374) è menzionata come sacerdotessa ed indicata in due iscrizioni ateniesi come figlia di Sesto Vibidio Virrone, che potrebbe essere identificato con il Vibidio Virrone nominato da Tacito in Ann. 2, 48, 3 (dove i codici hanno Varronem, corretto proprio sulla base delle iscrizioni summenzionate). Ella doveva essere la virgo Vestalis maxima, che era solitamente la più anziana (vetustissimam); le Vestali potevano ottenere più facilmente udienza dal principe nella sua qualifica di pontefice massimo, e potevano anche garantire, con la loro sola presenza, l'inviolabilità (cf. e.g. Svet.

Tib. 2, 4 e Tac. Hist. 3, 81, 2). Per l'analogia con il racconto della fine di Vitellio in Hist. 3, 81-85 vedi supra, nota ad ire... praevalebat. Il nesso aures adire implica un

utilizzo metonimico- ed icastico- del termine aures ad indicare la persona (per un simile uso, cf. TLL II, 1518, 31-72).

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