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Magnis ausis: l'uso sostantivato dell'aggettivo ausus al neutro, nel senso di “impresa audace”, è attestato per la prima volta in Virgilio (Aen 2, 55) e s

Nota preliminare

3 Magnis ausis: l'uso sostantivato dell'aggettivo ausus al neutro, nel senso di “impresa audace”, è attestato per la prima volta in Virgilio (Aen 2, 55) e s

riscontra soprattutto in poesia (De Vivo cita per il nesso magnis ausis Ov. Met. 2, 328); esso compare sporadicamente nella prosa a partire da Plinio il vecchio e Tacito, che se ne serve esclusivamente negli Annales (Ann. 2, 39, 2; 3, 66, 3 al plurale; 13, 47, 1 al singolare). Si cf. KUNTZ 1962, p. 55.

Tria milia stadiorum invadit: “avanza con impeto per uno spazio di tremila stadi”. Il verbo invado ha qui il valore combinato di “avanzare attraverso” e “conquistare”, assimilabile dunque, anche se non perfettamente sovrapponibile, a quelli di “occupare un territorio” (Ann. 6, 31, 1 seque invasurum possessa Cyro), o “prendere possesso di qualcosa” (a proposito dell’impero, Ann. 15, 52, 2). Si noti, inoltre, che la misura, peraltro esorbitante (500 km) e probabilmente non corretta, è espressa alla greca in stadi, secondo una modalità che non ricorre altrove nell’opera

tacitiana: Koestermann ipotizza che Tacito si sia servito in questo punto, di prima o di seconda mano, di unafonte greca, ma è altresì possibile pensare alla volontà da parte dello storico di dare un tocco di colore “orientale” alla narrazione (si veda di contro, poco oltre, l'uso improprio di praefecturas e di imperatores a 11, 9, 3). Neque cunctatur quin: la costruzione di cunctor con quin, di cui questa è l’unica attestazione in Tacito, è rara: si cf. Caes. Gall. 3, 23, 7, Liv. 21, 50, 11, Hil. Myst. p. 23, 2 e Paneg. 5, 14.

Praefecturas: con questo termine Tacito allude, non solo qui ma anche in Ann. 6, 42, 4, infra a 11, 10, 1 ed in Ann. 15, 28, 1, ai grandi viceregni in cui era diviso l’impero partico, eredi delle antiche satrapie persiane, che Plinio (Nat. 6, 112) chiama regna e afferma essere stati diciotto. Lo stesso termine è applicato sia da Plinio (Nat. 5, 83) che da Tacito (Ann. 13, 37, 3 e 39, 1) anche alle suddivisioni militari dell’Armenia.

Seleucensibus: si allude qui agli abitanti di Seleucia sul Tigri, la grande città a nord di Babilonia fondata da Seleuco I intorno al 312 a.C. e passata sotto controllo partico a partire dal 141 a.C.

Patris sui quoque: la lezione dei manoscritti può essere a mio avviso mantenuta, anche se la posizione di quoque dopo il sostantivo e l’aggettivo possessivo ad esso riferito è anomala in Tacito, nella cui prosa quoque tende sempre ad interporsi, tanto da aver spinto Fuchs, seguito da Heubner e BLACKMAN, BETTS 1986, ad

espungere sui, Urlichs a spostare quoque prima di sui, Wurm a proporre suique. Defectores: “traditori”; è vocabolo attestato forse per la prima volta in Tacito, che se ne serve con una certa frequenza nelle due opere maggiori (cf. TLL V-1, 290), e successivamente e.g. in Svet. Nero 43, 2 e Justin. 16, 1, 13; 41, 4, 4 e 9. Il riferimento è qui a quanto raccontato da Tacito in Ann. 6, 42, cioè al fatto che Seleucia nel 36 accolse gioiosamente Tiridate al suo arrivo, voltando le spalle ad Artabano. Sulla resa della città a Vardane cf. infra 11, 9, 4.

4 Daharum Hyrcanorumque: si tratta di popoli scitici situati a est e sud est del mar Caspio, grazie ai quali già Artabano aveva recuperato il proprio trono e ai quali era legato anche da vincoli di parentela (Ann. 2, 3, 1; 6, 36, 4 e 43, 2 ss.).

1 Tunc... Armeniam: Tacito ritorna qui a raccontare più diffusamente quanto solo accennato nel capitolo precedente (8, 1).

Incertis: l’aggettivo ha qui il valore di “riguardo ai quali era incerto”, simile a quello che esso possiede in Ann. 13, 19, 1 amore an odio incertas (espressione derivata da Sallustio, Iug. 49, 5). L’uso di incertus in questa accezione seguito da interrogativa indiretta è circoscritto al passo sallustiano appena citato, ad un passo di Seneca (Clem. 1, 3, 5) e soprattutto a Livio (27, 37, 5; 30, 35, 9; 34, 19, 8; 42, 35, 6).

Castellorum ardua: il neutro plurale sostantivato ardua accompagnato da un genitivo si trova in Verg. Aen. 5, 694-695 tremescunt ardua terrarum; in Lucan. 6, 138 ardua valli, Sil. 13, 105 ardua muri, Apul. Mund. 36, Claud. 17, 43, ma nel nostro caso il genitivo non designa l’oggetto di cui si vuole indicare la parte alta, bensì l'espressione è fortemente brachilogica e si può tradurre con “i fortini posti sulle alture”.

Vi... Hibero exercitu campos persultante: vi è ablativo strumentale che corrisponde, con variatio della costruzione, al successivo ablativo assoluto. Per la frequenza di vari tipi di variatio nell’opera tacitiana, sempre costante e non formante la stessa curva evolutiva rintracciabile, secondo alcuni, nella scelta del lessico (cioè una tendenza crescente all’inusitato dalle opere minori ad Ann. 1-6, e un riavvicinamento alla norma in Ann. 13-16), cf. MARTIN 1953 e per maggiori

dettagli il cap. 5 dell'Introduzione. Per quanto concerne l'espressione campos

persultante, la si può tradurre “facevano scorrerie nella pianura”; persulto (presente

qui e in Hist. 3, 49, 1), attestato a partire da Lucr. 1, 14 in poesia e da Livio in prosa, in questa accezione si trova prima di Tacito solo in un passo liviano (34, 20, 6), dopo Tacito (che nel senso di “fare scorrerie” lo presenta anche infra a 12, 40, 1

Silures... lateque persultabant) svariate volte in Ammiano Marcellino, per

probabile influsso tacitiano (e.g. 15, 8, 6 persultabant barbari Gallias). Da notare, però, come segnalato da Fletcher 1983, p. 313, che il nesso con campus è già presente in Sil. 4, 556 nel senso più generale di "vagare".

Proelium ausus: il nesso proelium audere è utilizzato dal solo Tacito, si cf. e.g.

Ann. 4, 49, 1.

praefecturas).

2 Cotys: si tratta di uno dei figli di Coti re della Tracia (cf. Ann. 2, 64, 2), a cui nel 38 Caligola affidò il regno dell’Armenia Minore (D.C. 59, 12, 2), una striscia di terra tra Armenia, Cappadocia e Ponto, già posseduta dal nonno materno di Coti Polemone del Ponto (D.C. 49, 33, 2 e 44, 3) e che fu poi unita da Vespasiano alla Cappadocia. Le pretese di Coti sull’Armenia si fondavano sul fatto che il suo predecessore Artassia (Ann. 2, 56, 3) aveva retto nominalmente entrambe le Armenie. Si veda PIR II C 1555.

Litteris: littera era stato largamente rimpiazzato a partire dal I sec. da epistula, predominante negli autori imperiali a parte Livio, Curzio Rufo e Tacito, che in realtà pare eliminare gradualmente epistula a favore di littera nel passaggio dalle

Historiae agli Annales, eccezion fatta per le espressioni idiomatiche come ab epistulis (cf. ADAMS 1972, p. 357).

Cuncta in Mithridaten fluxere: “ogni cosa andò in favore di Mitridate”. Il neutro plurale sostantivato cuncta, derivato probabilmente dalla lingua ufficiale e rintracciabile in Curzio Rufo, Livio, Seneca, Plinio il giovane e Svetonio, è usato da Tacito nelle parti narrative tanto nelle Historiae che negli Annales, mentre nei discorsi è preferito omnia in misura crescente dalle Historiae agli Annales (ADAMS

1973, pp. 129-131). Fluo è metaforico (Koestermann lo parafrasa con ad eum

conversa sunt), usato solo qui da Tacito con questo valore, ma presente già in Cic. Att. 4, 18 res fluit ad interregnum (fuit v.l.) e 9, 10, 4 videamus... (Gnaei) rationes quorsum fluant.

Atrociorem quam... conduceret: “più crudele di quanto non si addicesse ad un re appena eletto (lett. ad un nuovo regno)”; si veda per questa sorta di “patologia del dispotismo” supra nota introduttiva a 11, 8-10. Per il nesso cf. e.g. Plaut. Bacc. 56

huic aetati non conducit... latebrosus locus.

3 Imperatores: si potrebbe pensare che Tacito qualifichi Gotarze e Vardane come comandanti militari, in quanto nessuno dei due era ufficialmente “re” (Nipperdey). Tuttavia, alcuni paralleli dimostrano che Tacito impiega questo termine semplicemente per qualificare re o capi stranieri con funzioni non solo politiche, ma anche militari: Arminio in Ann. 2, 10, 1 e Carataco in Ann. 12, 33.

Wuilleumier e accolta a testo da Jackson, Weiskopf ed Heubner, mentre tutti i restanti editori accettano la lezione di M iaciunt. Foedus icere è nesso comune (si cf. e.g. Cic. Balb. 34 tum est cum Gaditanis foedus... ictum; Liv. 1, 24, 3 foedus

ictum inter Romanos et Albanos est), da ricostituirsi senza dubbio in Tacito in Ann.

4, 55, 4 icta nobiscum foedera (tràdito dicta), e ripristinato dagli editori, in modo peraltro incongruente con il nostro passo, in 12, 62, 1 orsi a foedere, quod

nobiscum icerant, dove M ha iecerant. Il nesso foedus iacere è attestato, al di fuori

dell’opera tacitiana, solo in Sidon. 2, 357 (FLETCHER 1964, p. 35), e si dovrebbe

interpretare come espressione fortemente condensata per sermones iaciunt de

foedere (Furneaux, Koestermann), assimilabile a quella di 6, 31, 1 terminos iaciebat (“affermava che avrebbe invaso i territori”). È preferibile, qui, a mio

avviso, porre a testo iciunt, più che alla luce dell’eccessiva rarità del costrutto, in virtù del fatto che iacio è usato nel senso di “dire” in contesti di particolare emotività, sottintendendo del risentimento o della concitazione, o a proposito di insulti ed improperi, tutti elementi qui assenti.

Deinde complexi dextras: su questa cerimonia si cf. infra 12, 47, 2.

Pepigere... ulcisci: la costruzione di pango con infinito (presente anche in Ann. 14, 31, 2) è attestata in Livio (43, 21, 3, cf. DRÄGER 1967, p. 60) e ricompare poi

sporadicamente in altri autori successivi (cf. TLL X-1, fasc. II, 207, 35-55).

4 Potior... retinendo regno: potior prende qui la costruzione di aptus e idoneus

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