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Nam credidit: il soggetto della frase, mutila nella parte iniziale, è Messalina (per la cui figura, soprattutto per quanto concerne il potere politico, cf B AUMAN

Nota preliminare

1 Nam credidit: il soggetto della frase, mutila nella parte iniziale, è Messalina (per la cui figura, soprattutto per quanto concerne il potere politico, cf B AUMAN

1992, pp. 167-179) e il pronome eius si riferisce a Poppea Sabina (cf. infra 11, 2, 1), figlia del Poppeo Sabino console nel 9 e per lungo tempo governatore della Mesia, morto nel 35, di cui si trova un ricordo in Ann. 6, 39, 3, sposata dapprima a Tito Ollio, da cui ebbe la futura imperatrice Poppea, poi a Publio Cornelio Lentulo Scipione (cf. infra 11, 2, 2; 4, 3 e 12, 53, 2), costretta, come si vedrà infra a 11, 2,

2, al suicidio (cf. anche Ann. 13, 43, 2). Decimo Valerio Asiatico (PIR III V 25),

homo novus nativo di Vienne (vedi infra, genitus Viennae), fu consul suffectus nel

35 (è menzionato come consularis in Sen. Dial. 2, 18, 2, come consolare per l’anno 41 da J. AJ 19, 159 e D.C. 59, 30, 2, i quali ricordano tra l'altro le sue ambizioni di diventare principe), e console ordinario nel 46 solo per pochi mesi (D.C. 60, 27, 1- 3; Sen. Nat. 2, 26, 6); partecipò alla spedizione in Britannia con Claudio (infra 11, 3, 1), il quale, però, finì per nutrire nei suoi confronti una viva ostilità, come testimoniato da un accenno al palaestricum prodigium di Vienne contenuto nel discorso de iure Gallis dando del 47 (II, 14), non conservato da Tacito nella sua trasposizione del discorso stesso infra a 11, 24. La straordinaria ascesa di quest’uomo, come evidenziato da SYME 1967-1971, II, pp. 790-791, era passata

anche attraverso il suo matrimonio con Lollia Saturnina, sorella di quella Lollia Paolina che fu per qualche tempo moglie di Gaio e che avrebbe aspirato, dopo la morte di Messalina, a sposare Claudio (Ann. 12, 1, 2; 2, 2 e 22). Tacito menziona il figlio omonimo del Valerio Asiatico qui citato in Hist. 1, 59, 2. Prima dell'attacco, evidentemente per motivi politici, a Valerio Asiatico ce ne furono altri, ad opera di Messalina o dello stesso imperatore, di alcuni dei quali Tacito si occupava forse nella parte perduta: dalle fonti parallele conosciamo l’attacco a Giulia Livilla e Seneca nel 41 (Sen. Apocol. 10, 4; Svet. Claud. 29, 1; D.C. 60, 8, 5), ad Appio Giunio Silano nel 42 (Svet. Claud. 29, 1-2 e 37; D.C. 60, 14, 3; cf. infra 11, 29, 1), a Giulia figlia di Druso e nipote di Tiberio nel 43 (Sen. Apocol. 10, 4; Svet. Claud. 29, 1; Tac. Ann. 13, 32, 3 e 43, 2; D.C. 60, 18, 4), al cospiratore Scriboniano e ai suoi complici (D.C. 60, 15-16; infra 12, 52, 2 per maggiori dettagli sulla congiura), ai prefetti al pretorio Catonio Giusto (D.C. 60, 18, 3 e Sen. Apocol. 13, 5) e Rufrio Pollione (Sen. Apocol. 13, 5), a Pompeo Magno, marito della figlia di Claudio Antonia, e ai suoi genitori nel medesimo 47 (D.C. 60, 29, 6a, Sen. Apocol. 11, 2 e 5; Svet. Claud. 29, 1-2), ai consolari Cornelio Lupo, Lusio Saturnino e Pompeo Pedone, accusati da Suillio (Sen. Apocol. 13, 5; Tac. Ann. 13, 43, 2), ad Asinio Gallo, cospiratore nel 46 assieme a Statilio Corvino (D.C. 60, 27, 5 e Svet. Claud. 13, 2), al fratello di Asinio Gallo, Asinio Celere (Sen. Apocol. 13, 5), ai senatori Passieno Crispo e Marco Vinicio nel 46 (D.C. 60, 27, 4). Si vedano su questo MCALINDON 1957 e LEVICK 1990, pp. 56-64.

Pariterque: l’avverbio potrebbe qui significare “allo stesso tempo” (Koestermann, pur dubbiosamente, Benario, Woodman), con un valore temporale che possiede e.g. anche in Ann. 1, 32, 3 pariter ardescerent, pariter silerent e 6, 18, 1 raptus in

Curiam pariterque damnatus interfectusque. GERBER, GREEF 1962 s.v. non si

pronunciano a causa dello stato lacunoso del testo, MEHL 1974, p. 14, invece,

propone, a mio parere in modo meno convincente, “gleichermassen”.

Hortis: si tratta dei sontuosi horti Lucullani sul Pincio, che Plutarco in Luc. 39 definisce “i più costosi tra i giardini imperiali”, la cui costruzione, come viene detto subito dopo, era stata iniziata da Lucio Lucullo con il bottino ottenuto dalla vittoria su Mitridate nel 63 a.C.; il fatto che Valerio Asiatico li avesse ottenuti per sè ed abbelliti è indicativo della sua ascesa nell’alta società della capitale. Significativamente, in una sorta di “contrappasso”, la morte di Messalina, descritta negli ultimi capitoli del libro 11, si svolgerà proprio in questi giardini (cf. Ann. 11, 32, 1 e 37, 1).

Inhians: “bramando”; il verbo inhiare, che propriamente indica l’azione di divorare, è qui usato metaforicamente per evidenziare la smodatezza della brama di Messalina, personaggio connotato in Tacito, ma più in generale nella tradizione antica, dall’impotentia in tutti gli ambiti (cf. in generale QUESTA 1998, pp. 111-121);

sulla “violenza” delle metafore tacitiane cf. SYME 1967-1971, I, pp. 453-454. Inhiare è usato metaforicamente anche in Ann. 4, 12, 3, infra a 12, 59, 1, dove è

riferito ad Agrippina bramosa dei giardini di Statilio Tauro, con un parallelismo senza dubbio voluto tra lei e Messalina, e in Ann. 16, 17, 4 in relazione a Nerone desideroso di appropriarsi delle ricchezze di Anneo Mela (per la topicità del motivo della brama delle ricchezze altrui cf. SCRAMUZZA 1940, p. 93).

A Lucullo coeptos: vedi supra nota ad hortis.

Extollebat: “abbelliva, ingrandiva”. In questo senso, riferito ad oggetti, si trova qui e in Ann. 13, 21, 3 Baiarum suarum piscinas extollebat; non mi sembra, dunque, opportuno correggere, banalizzando, in excolebat, lezione di due recenziori (V581, Hol2 mg.) riproposta da WATT 1998, p. 265, seguito da Woodman.

Suillium: Publio Suillio Rufo (PIR VII S 970), quaestor Germanici, era stato esiliato nel 24 da Tiberio con l’accusa di aver accettato denaro in un processo in cui era giudice (Ann. 4, 31, 3). Recuperò poi credito presso Caligola (di cui sua sorella

Cesonia fu la quarta moglie) e soprattutto sotto Claudio (fu consul suffectus tra 41 e 45, governatore dell'Asia nel 54). Negli Annales è menzionato per la sua attività accusatoria infra a 11, 4, 1 e 5, 1; a 13, 42-43 si raccontano il suo processo e la sua condanna al confino ad opera di Nerone, dopo un attacco a Seneca, ed egli viene definito terribilis ac venalis... quique se nocentem videri quam supplicem mallet. Accusandis utrisque immittit: “scagliò contro entrambi (Suillio) perché li accusasse”. Per immittere si cf. Ann. 4, 19, 1 e 54, 1 (dove ha, però, il significato attenuato di “inviare”). Per il dativo del gerundivo con valore finale, di cui Tacito si serve in misura crescente dalle opere minori agli Annales, si veda Furneaux vol. I, pp. 46-47.

Adiungitur Sosibius Britannici educator: era probabilmente un liberto come Aniceto, pedagogo di Nerone (Ann. 14, 3, 3); fu messo a morte per volere di Agrippina poco dopo il matrimonio di lei con Claudio (cf. D.C. 60, 32, 5 e infra 12, 41, 3 optimum... adficit).

Per speciem benivolentiae: “con aria apparentemente benevola”. Tacito usa molto spesso negli Annales termini che denotano il contrasto tra apparenza e realtà delle cose, soprattutto nel descrivere la realtà “di corte”, caratterizzata da una nuova “razionalità” fatta di restrizione degli affetti per salvaguardare interessi vitali e di eliminazione di qualsiasi scoppio di affettività incontrollata, in quanto espressione di debolezza e generatore di potenziali danni (sulla natura della corte imperiale cf. l'efficace formulazione di LEVICK 1990, p. 53, ma soprattutto WALLACE-HADRILL

1996); significativamente, nei libri claudiani il lessico della finzione e della dissimulazione non è mai applicato a Claudio (MEHL 1974, p. 16, STROCCHIO 2001,

cap. 3). Species è uno dei termini preferiti dallo storico per suggerire l'idea che tutto ciò che appare è falsato, o volontariamente o ad opera delle circostanze (si cf. e.g. Ann. 12, 3, 1 ad eum per speciem necessitudinis crebro ventitando (sc.

Agrippina) pellicit patruum e 41, 2 remoti fictis causis et alii per speciem honoris);

cf. su questo COUSIN 1951, p. 238, che ricorda il ricorrere del termine per 154 volte

nel corpus tacitiano, e BORGO 1985, pp. 52-53 n. 59.

Qui... moneret Claudium cavere vim atque opes principibus infensas: si noti che lo studiato discorso di Sosibio a Claudio fa emergere l’aspetto politico della vicenda di Asiatico, poco evidenziato dal resoconto tacitiano ma presente, sotto

forma di accusa di complotto, in quello di D.C. 60, 29, 4-6 (cf. supra nota introduttiva ad 11, 1-3), cioè la necessità di eliminare un personaggio rampante, dotato di buoni appoggi nella sua terra natale e di molto denaro, dunque potenzialmente pericoloso per il principe (o, potremmo meglio dire, per il tiranno, si cf. WALKER 1952, pp. 207-208); per quanto concerne la ricchezza, essa è

addirittura ritenuta in Dione (60, 27, 2 e 29, 6a) motivo determinante la morte di Asiatico (non del tutto condivisibile, a mio avviso, la tesi di SEIF 1973, pp. 25-26,

secondo cui Tacito non crederebbe al movente politico delle accuse ad Asiatico e lo inserirebbe nel discorso di Sosibio per dequalificarlo; a mio avviso, lo storico è ben consapevole della natura anche politica della vicenda, ma sceglie di “sbilanciare” il racconto dal lato del sensazionalismo e dell'intrigo). Per l’uso dell’infinito con

moneo si cf. e.g. Ann. 1, 63, 1; 4, 67, 4; 13, 37, 3. Tacito utilizza estensivamente

l’infinito anche con verbi che nella prosa classica sono costruiti in altro modo; sulla predilezione tacitiana, più marcata negli Annales, per la costruzione con l'infinito al posto di ut e congiuntivo, tendenza del resto propria del periodo, cf. ADAMS 1972,

pp. 371-372. Infensus, in generale termine raro in prosa (e dunque ironico nel contesto), nel significato indebolito e svincolato dalla sfera originaria di pertinenza, quella militare, di periculosus, molestus, noxius è molto amato da Tacito (cf. anche

Ann. 1, 81, 2; 14, 56, 3).

2 Praecipuum auctorem Asiaticum interficiendi <C.> Caesaris: Valerio Asiatico è menzionato come cospiratore contro Caligola solo qui; in Sen. Dial. 2, 18, 2 egli, definito ferocem virum et vix aequo animo alienas contumelias laturum, è accostato a Cassio Cherea, materiale esecutore dell'assassinio del principe, come uno degli amici di quest'ultimo da lui pesantemente insultato, anche se non è esplicitamente annoverato tra i congiurati. Flavio Giuseppe (AJ 19, 159) e Cassio Dione (59, 30, 2) ne ricordano il discorso successivo al delitto, cui anche Tacito allude qui oltre. L’integrazione <C.> di Ruperti si rende necessaria per chiarire di quale imperatore si stia parlando, non trattandosi di quello in carica o di uno la cui identità sia chiarita dal contesto (caso analogo infra a 11, 29, 1).

Contione in populi Romani: accolgo qui, come Furneaux, Fisher, Jackson, Goelzer, KUNTZ 1962, p. 77 n. 1, la proposta di Halm e Nipperdey contione in, a

Accettando la congettura di Halm, a mio avviso buona dal punto di vista paleografico, si avrebbe l’anastrofe della preposizione, o meglio la sua interposizione tra il sostantivo e il genitivo ad esso legato. Tale fenomeno è ben attestato negli Annales ed interpretabile come tratto linguistico postclassico di derivazione poetica, anche se, di norma, non con in, ma con altre preposizioni come ad (Ann. 3, 72, 1 ornatum ad urbis; 12, 11, 3 e 51, 3), ab (Ann. 4, 5, 2 initio

ab Syriae), inter (Ann. 4, 16, 4 sedes inter Vestalium), apud (Ann. 6, 31, 2 ripam ad Euphratis; si cf. DRÄGER 1967, pp. 92-94 per una minuziosa analisi, con molti passi

riportati, delle diverse tipologie di anastrofe della preposizione nella prosa tacitiana: oltre al caso già citato, inserimento della preposizione mono o bisillabica tra attributo e sostantivo o tra sostantivo ed attributo, di quella bisillabica dopo un sostantivo senza attributo e tra o dopo due sostantivi coordinati). Si consideri, inoltre, il fatto che l'interposizione di in tra due elementi legati tra loro è attestata in molti autori, poeti ma non solo, e.g. Lucr. 1, 26 tempore in omni, Catull. 64, 48

sedibus in mediis, Liv. 9, 37, 11 metu in magno, e soprattutto Verg. Georg. 4, 419 latere in montis, Ov. Met. 4, 507 pectus in amborum.

Didita... haberet: la medesima accusa di sobillazione di una provincia è rivolta anche a Barea Sorano in Ann. 16, 23, 1.

Didita per provincias fama: il sintagma didita fama è attestato in ambito poetico per la prima volta in Verg. Aen. 8, 132 tua terris didita fama (ma giustamente cauto sull'"imitazione” virgiliana da parte di Tacito è KUNTZ 1962, pp. 75-77) e in Sil. 1,

186; il verbo didere, prettamente poetico, in prosa compare per la prima volta in Catone (Or. Frg. 173 M.2, cf. FLETCHER 1964, p. 34), per ricomparire poi solo in

Tacito.

Gentiles nationes: “le popolazioni di cui era originario”. L’uso dell’aggettivo

gentilis in connessione a sostantivi quali natio, populus, ecc. è postclassico

(compare per la prima volta in Sen. Herc. 913) e prevalentemente poetico, trovandosi in prosa, oltre che in Tacito (si cf. anche Ann. 3, 59, 3), solo in Frontin.

Strat. 2, 5, 31.

Genitus Viennae: vedi supra, nota a nam... credidit.

3 At Claudius nihil ultra scrutatus: compaiono qui per la prima volta due dei

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