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Isdem consulibus: si tratta di Claudio e Vitellio, che dopo i ludi saeculares avrebbero lasciato il posto a due suffecti per rivestire la carica di censori, come s

Nota preliminare

1 Isdem consulibus: si tratta di Claudio e Vitellio, che dopo i ludi saeculares avrebbero lasciato il posto a due suffecti per rivestire la carica di censori, come s

evince da 11, 13, 1 (nota ad at Claudius, matrimonii sui ignarus et munia censoria

usurpans).

Ludi saeculares: tali ludi marcavano, come dice il nome, la fine di un saeculum e l'inizio di un altro, anche se la questione della loro periodizzazione è molto complessa (cf. anche infra, nota ad utriusque principis rationes). Censorin. 17, 10- 11, in un passo molto problematico, dà per il periodo repubblicano una doppia serie di date, sulla base rispettivamente degli annalisti e dei commentari dei

quindecimviri, a partire dal 509 o 546 a.C. (348 o 346 a.C.; 249 o 236 a.C.; 149 o

146 o 126 a.C.; cf. RAPISARDA 1991, p. 210 e COARELLI 1993, pp. 214-215, per la

ricostruzione dei possibili interventi “normativi” presenti nella tradizione annalistica, riconoscibili nelle date del 346, 236, 149 e 126 a.C.). Per l'età imperiale, invece, i dati sono più sicuri: Augusto nel 17 a.C., per cui cf. infra nota ad Augustus; Claudio nel 47, Domiziano nell'88, Settimio Severo nel 204 (CIL VI. 32326 ss.). Per quanto concerne la fisionomia di tali ludi, Val. Max. 2, 4, 5 afferma che essi erano denominati anche Tarentini (cf. anche Censorin. 17, 8), in quanto nel

Tarentum, ai margini del Campo Marzio, il nobile sabino Valesio aveva ottenuto

dagli dèi inferi la guarigione dei propri figli, ed aveva quindi immolato sull'altare di Dite e Proserpina lì situato delle vittime nere, organizzato dei giochi e dei banchetti per tre notti consecutive. Sulle celebrazioni augustee siamo informati in particolare da CIL VI 32323, il commentarium epigrafico rinvenuto vicino al Campo Marzio a fine '800, che dà dettagliate notizie sul complicato rituale consistente in tre notti e tre giorni di sacrifici (ciascuna notte vicino al Tevere alle Moire, alle Ilizie ed alla Madre Terra, i primi due giorni a Giove e Giunone regina sul Campidoglio, il terzo ad Apollo e Diana sul Palatino) e giochi scenici arcaici, e sette giorni successivi di spettacoli teatrali e circensi di matrice più moderna, oltreché dal celeberrimo

carmen saeculare di Orazio, che fu cantato il terzo giorno di celebrazioni da

Sulle celebrazioni claudiane avvenute a partire dal 21 Aprile 47, si cf. Svet. Claud. 21, 2 (fecit et saeculares, quasi anticipatos ab Augusto nec legitimo tempori

reservatos, quamvis ipse in historiis suis prodat intermissos eos Augustum, multo post... in ordinem redegisse, per cui si cf. infra la nota a utriusque principis rationes), Plin. Nat. 7, 159 e 8, 160, Censorin. 17, 11, Zosim. 3, 4, 3, CIL VI.

32324 ss.

Post... quam: post regge l’accusativo Romam conditam e al contempo, con costruzione variata, dev'essere unito a quam a reggenza della temporale Augustus

ediderat.

Octingentesimo... quarto et sexagesimo: si noti la mancanza di anno (la cui integrazione fu proposta da Ritter ed accolta a testo da Wellesley). L’omissione di termini facilmente desumibili dal contesto è frequente in Tacito, probabilmente per esigenze di concentrazione e sintesi espressiva (Furneaux vol. I, p. 68, DRÄGER

1967, p. 104) e per elevare il tono.

Augustus: egli celebrò i ludi saeculares nel 17 a.C. Si cf. Res gestae Divi Augusti (IV, c. 22, 36-37) e supra, nota a ludi saeculares.

Utriusque principis rationes: “i calcoli dei due principi”. La ricostruzione della periodizzazione dei ludi saeculares costituisce un argomento complesso. Quello che pare certo è che Augusto scelse la data per la celebrazione dei ludi basandosi sul calcolo di un saeculum di 110 anni, mentre, come si evince soprattutto da Cens. 17, 10, i ludi celebrati prima dell’epoca augustea si basavano su un saeculum di 100 anni a partire dal 509 a.C., anno in cui furono fondati da Valerio Publicola (ma sulla difficoltà di questo testo cf. supra nota a ludi saeculares). Augusto organizzò i

ludi al termine di quattro saecula di 110 anni fatti iniziare nel 456 a.C., su

ispirazione di una teoria “palingenetica” di origine sibillina (Varr. in August. Civ. 22, 28, 10; Prob. ad Verg. Ecl. 4, 4, 7, COARELLI 1993, p. 216). Claudio, a quanto

pare, nello scegliere il 47 come anno per i ludi intese sì celebrare l’ottocentesimo anno dalla fondazione della città secondo la cronologia varroniana (753 a.C.), ma forse calcolò anche a partire dal 504 a.C., anno in cui Publicola tenne i primi giochi secondo la tradizione attestata in Plu. Popl. 21, 1, e in cui Atto Clauso giunse a Roma dalla Sabina, saecula di 110 anni (si cf. anche Svet. Claud. 21, 2 e COARELLI

invece, alla prassi augustea (Svet. Dom. 4, 3), anticipando però di fatto le celebrazioni. Si cf. anche la notizia data da Plin. Nat. 10, 5 secondo cui nel 47 fu esposta a Roma una “falsa” fenice, proprio a marcare il carattere epocale di quell'anno (si veda su questo MARTIN 1982, pp. 166-168).

Libris... composui: si allude qui alle Historiae.

Sacerdotio quindecimvirali praeditus ac tunc praetor: si tratta di uno dei due passi (l’altro è Hist. 1, 1, 3 dignitatem nostram a Vespasiano inchoatam, a Tito

auctam, a Domitiano longius provectam non abnuerim) in cui Tacito fa riferimento

alla propria carriera; questo ci permette di sapere che egli rivestì la carica di quindecemviro e quella di pretore nell’88, quando doveva avere 31 o 32 anni. I

quindecimviri sacris faciundis, come viene detto subito sotto, erano un antico

collegio sacerdotale, che aveva mantenuto il nome originario nonostante nel tempo il numero dei suoi membri fosse cresciuto, con compiti legati alla ritualità sacra, anche di culti “stranieri”.

Non iactantia refero: questa singolare sottolineatura ha fatto pensare che Tacito volesse ribattere a qualche critica mossagli. Infatti, ottenere la carica sacerdotale di

quindecimvir così giovane, quando molti senatori dovevano aspettare fino oltre il

consolato per accedervi, era prova di un grande favore goduto dallo storico negli ambienti più influenti, e poteva esporlo a critiche e sospetti (così SYME 1967-1971,

I, pp. 95-96).

Non iactantia... sed quia: Per la variatio cf. supra 11, 9, 1, nota a vi... Hibero

exercitu campos persultante.

Et magistratus... caerimoniarum: qui Tacito vuole, con buona probabilità, puntualizzare che tra i quindecemviri, i quali nel loro complesso si occupavano dell’organizzazione dei ludi (cf. anche Hor. Carm. saec. 70), quelli che erano anche magistrati venivano preferiti per la celebrazione delle cerimonie sacre collegate ai giochi (officia caerimoniarum). SHAW-SMITH 1997, seguito da Woodman, propone,

invece, l'integrazione di <ii> prima di magistratus, presupponendo un riferimento esclusivo ai pretori sulla base di D.C. 54, 2, 3.

2 Sedente Claudio: sedeo ha qui il valore di “presenziare, presiedere”; in questa accezione lo si trova e.g. in Cic. De or. 168, Fam. 1, 9, 7.

giorni dei ludi era dedicato agli spettacoli circensi.

Ludicrum Troiae: questo complesso spettacolo equestre, chiamato il più delle volte Troia (ma si trovano anche le denominazioni Troiae lusus/ decursio e Troicus

lusus) in cui si esibivano a cavallo due turmae di ragazzini rispettivamente al di

sotto dei sedici e degli undici anni, è ben noto dalla descrizione che ne fa Virgilio in

Aen. 5, 545-603, riconducendo il suo nome al fatto che era stato Ascanio ad

insegnare questo ludus ai Latini. In realtà, secondo alcuni sarebbe di origine etrusca (anche se tale teoria, basata su prove fragili, è stata contestata); secondo Plu. Cat.

Mi. 3, 1 fu Silla il primo ad allestirlo pubblicamente. Da Svetonio (Iul. 39, 2)

sappiamo che fu organizzato anche da Cesare nel 46 a.C., in occasione della dedica del Foro Giulio e del tempio di Venere Genitrice, da Cassio Dione (48, 20, 2 e 49, 43, 3) che Agrippa lo organizzò nel 40 e nel 33 a.C., ma fu con ogni probabilità da Augusto in poi che esso divenne frequente (cf. Svet. Aug. 43, 2 Troiae lusum edidit

frequentissime). Dopo Caligola (Svet. Cal. 18, 3, D.C. 59, 7, 4 e 11, 2) e Claudio

(cf. anche Svet. Claud. 21, 3), l'ultimo imperatore ad organizzare questo ludus fu Settimio Severo all'inizio del III sec.; si veda in generale POLVERINI 1990. Il

sostantivo ludicrum conta 17 attestazioni in Livio ed è presente anche in Curzio Rufo; Tacito sembra preferirlo nella seconda parte degli Annales (ADAMS 1972, p.

359).

Britannicus... L. Domitius: è questa la prima menzione, nella parte di libro rimastaci, di Britannico e Nerone (di quest’ultimo, a quanto pare, la prima in assoluto), che nel 47 avevano rispettivamente sei e nove anni (sulle date di nascita dei due cf. infra 12, 25, 2, nota a triennio maiorem natu). Questa scena trova un parallelo infra a 12, 41, 2, in cui Nerone e Britannico sfilano davanti al pubblico riunito per i giochi del circo: Britannicus in praetexta, Nero triumphalium veste

travecti sunt: spectaret populus hunc decore imperatorio, illum puerili habitu, ac perinde fortunam utriusque praesumeret. Il particolare della partecipazione di

Nerone al ludus Troiae è presente anche in Svet. Nero 7, 1.

Adoptione... adscitus: dell'adozione di Nerone da parte di Claudio Tacito parlerà

infra a 12, 25, 1; per la tecnica dell'anticipazione di eventi futuri cf. supra 11, 5, 3,

nota a cuius... memorabo.

dettagli dei ludi saeculares, un singolo particolare funzionale ad illuminare di scorcio il più importante conflitto dinastico degli anni successivi, che avrebbe portato Nerone all’impero e sua madre Agrippina ad una posizione di enorme influenza; ancora una volta, dunque, appare chiaro il vero interesse dello storico, cioè le dinamiche ed i conflitti di potere nel contesto della nuova forma politica del principato.

3 Infantiae eius: “a lui bambino”; l’uso dell’astratto per il concreto, presente anche in Ann. 13, 58, è postclassico (Val. Max. 2, 7, 6; Ps. Quint. Decl. 18, 3; Iuv. 3, 84 e autori tardi).

Dracones: l’apparizione di serpenti era un presagio di regalità (si cf. quanto Plu.

Alex. 2, 6 e 3, 2 racconta a proposito della generazione di Alessandro Magno dal

dio Ammone in forma di serpente, Just. 9, 5, 9 e 11, 11, 3-6, ma anche la testimonianza di Cassio Dione citata qui oltre); in questo contesto, però, può anche essere presente un richiamo alla futura volontà neroniana di assimilarsi ad Ercole (Svet. Nero 53). Svetonio (Nero 6, 4) parla di un solo serpente che avrebbe respinto gli uomini mandati da Messalina ad uccidere il piccolo Nerone, storia che il biografo pensava essersi generata dal ritrovamento, nella culla del piccolo, di una pelle di serpente, di cui Nerone portò a lungo addosso un frammento, racchiuso in un bracciale d’oro, come amuleto (si cf. CIL VI. 143 e SEIF 1973, p. 66 n. 4);

Cassio Dione (61, 2, 4) riferisce di una pelle di serpente ritrovata sul collo di Nerone fanciullo ed interpretata come segno che egli avrebbe ricevuto il potere da un vecchio. Tacito tende ad essere, come Sallustio, molto parco nel riferire eventi soprannaturali, ed esprime spesso la convinzione che gli dèi siano indifferenti alle vicende umane (e.g. Ann. 16, 33, 1) o addirittura ostili agli uomini (Hist. 1, 3). Più di una volta riferisce dei prodigia ma esprime apertamente, come qui, il proprio scetticismo (Hist. 1, 86, 1 e 4, 26, 2). Nell’ultima parte degli Annales, tuttavia, a partire già dal libro 11 (vedi infra 11, 21, 1), ma soprattutto da 12, 43, i prodigi cominciano ad essere regolarmente registrati: si vedano, ad es. 12, 64, l’ultimo capitolo del l. 13, in cui Tacito riferisce l’inaridimento del fico Ruminale e la sua successiva rinascita (su questo SEGAL 1973); i prodigi sfavorevoli di Ann. 14, 12 e

22, quelli che preannunciano la sconfitta dei Romani a Camulodunum in Ann. 14, 32, 1 e quelli successivi alla presa di Artassata in 14, 41, 3; il crollo del teatro vuoto

in Ann. 15, 34, interpretato in senso negativo dai più e, invece, come segno della grazia divina dal principe; i terribili prodigi, annuncio di un cambiamento dai contorni non definiti, in Ann. 15, 47. Gli studiosi hanno variamente spiegato questo cambiamento di rotta con l’utilizzo di Plinio il vecchio, sensibile a queste tematiche, come fonte, con il sopraggiungere di una crisi religiosa personale, o ancora con il sempre maggior interesse suscitato in lui dalla questione del soprannaturale a partire dallo studio del principato di Tiberio, che era molto sensibile ai prodigi e ai segni del destino, così come Adriano (Spart. Hadr. 16, 7); si veda SYME 1967-1971, II, pp. 688-695. A prescindere da tutto ciò, è necessario

notare che l'addensarsi dei prodigi intorno alla figura di Nerone e al suo principato non è in contrasto con l'idea tacitiana, precedentemente evidenziata, del disinteresse degli dèi per il destino di Roma, spesso avanzata con tocchi di amara ironia (cf.

Ann. 14, 12, 2 prodigia quoque crebra et inrita intercessere [...] quae adeo sine cura deum eveniebant, ut multos post annos Nero imperium et scelera continuaverit); essi sono funzionali a veicolare l'atmosfera emozionale (SEGAL

1973, p. 107) che Tacito vuole conferire al proprio ritratto del principato neroniano, segnato da un rapido scivolare di Roma nella degradazione morale ed al contempo da paure indefinite.

Fabulosa et externis miraculis adsimilata: questo punto non è del tutto perspicuo; con externis miraculis Tacito fa forse riferimento alla tradizione relativa alla nascita di Alessandro Magno da Ammone in forma di serpente (cf. supra, nota a dracones).

Detractor: il termine, tràdito concordemente dai manoscritti, non è attestato prima di Tacito e compare per il resto solo in autori cristiani e nella Vulgata (cf. TLL V-1, 822, 46-73). Per questo, Burmann congetturò detractator, accolto a testo dai soli Jackson e Wellesley (nella forma detrectator), portando a parallelo il caso di 11, 25, 2, in cui tutti i codici hanno, al posto di dictator, l’erroneo dictor, e sulla base del fatto che lo storico, pur non impiegando mai il sostantivo detractator, usa spesso la forma del verbo detractare (o detrectare; cf. e.g. Hist. 4, 59, 3; Ann. 1, 42, 3). 12

Agrippina Maggiore, nonché sorella di Caligola (per maggiori dettagli su di lei cf.

infra, nota ad Agrippinae). Sul favore popolare di cui Germanico godeva, e di cui

continuò a godere anche dopo la morte, cf. quanto Tacito afferma introducendo la sua figura in Ann. 1, 33 quippe Drusi magna apud populum Romanum memoria...

unde in Germanicum favor et spes eadem e quanto dice a proposito della morte in Ann. 2, 82, 1 e 3 at Romae, postquam Germanici valitudo percrebuit... dolor ira, et erumpebant questus [...] hos vulgi sermones audita mors adeo incendit, ut... desererentur fora, clauderentur domus. Passim silentia et gemitus, nihil compositum in ostentationem. Tuttavia, sulla complessità ed ambivalenza della

figura di Germanico nel racconto tacitiano, riflesso della complessità della situazione politica stessa che lo storico si trova ad analizzare, cf. PELLING 1993, pp.

59-85.

Suboles: già qualificato da Cicerone in De or. 3, 153 come arcaismo, è parola solenne e di colorito poetico.

Agrippinae: compare qui, per la prima volta nella parte superstite dei libri claudiani degli Annales, Giulia Agrippina, di cui Tacito aveva già menzionato le

Memorie come sua fonte in Ann. 4, 53, 2. Figlia di Germanico e sorella di Caligola,

dopo essere stata moglie di Gneo Domizio Enobarbo, lo fu di Gaio Passieno Crispo ed infine di Claudio, dopo la morte di Messalina (infra 12, 3-7). Si cf. PIRIV I 641

e BAUMAN 1992, pp. 179-189. Si tratta della sua unica apparizione nel l. 11, dove, a

differenza di quanto accade nel l. 12, lo storico preferisce mantenere in secondo piano la sua figura (e di conseguenza il tema della rivalità con Messalina) per conferire tutto il risalto possibile alla tragica parabola di quest'ultima (KEITEL 1977,

pp. 46-47).

Ob saevitiam Messalinae: i motivi dell’avversione di Messalina nei confronti di Agrippina erano evidentemente politici, in quanto, come Tacito stesso evidenzia, Nerone era l’unico discendente maschio di Germanico. Tuttavia, coerentemente con l’immagine che Tacito dà di Messalina, i progetti “politici” sono in lei soppiantati da una passione amorosa assimilata al furor, quella (che le sarà fatale) per Silio.

Quo minus strueret... distinebatur: "era trattenuta dall’architettare"; si tratta dell’unico caso di distineo con quominus (cf. TLL V-1, 1524, 11-14).

Furori proximo amore: l'idea dell'amore come furor è frequente nella letteratura, tuttavia significativo è il ricorrere del termine a proposito di Messalina in [Sen.]

Oct. 259 e 272 (MEHL 1974, p. 52 n. 267; QUESTA 1998, p. 119). Un'utile analisi

dell'uso tacitiano di furor e furere, impiegato spesso a proposito di qualsiasi trasgressione del “römische Ordnung”, si cf. SEIF 1973, p. 69 n. 8.

2 C. Silium: cf. supra 11, 5, 3, nota a C. Silio.

Iuventutis Romanae pulcherrimum: cf. infra 11, 28, 1, nota a dignitate

forma<e>.

Exarserat: il verbo exardesco (“bramo ardentemente, brucio dal desiderio“) allude metaforicamente ad uno scoppio di emotività incontrollato; Tacito lo utilizza, infatti, per indicare l’esplosione di rivolte militari o più in generale dell'ardore guerriero (e.g. Hist. 1, 58, 2 e 3, 11, 1; Ann. 1, 51, 4 e infra 12, 38, 2) e per connotare negativamente le reazioni di personaggi incapaci di controllare i propri impulsi, come Messalina e Tiberio (si cf. Ann. 1, 74, 4 e 6, 25, 2 e WALKER 1952, p.

159). Una simile metafora è impiegata dallo storico anche per descrivere il desiderio perverso, da parte di Claudio, di sposare la nipote infra a 11, 25, 5 (ut

deinde ardesceret in nuptias incestas, cf. anche SYME 1967-1971, I, p. 454), e per la

gara delle pretendenti al matrimonio con Claudio a 12, 1, 1 (nec minore ambitu

feminae exarserant). L'immagine del pernicioso fuoco della lussuria sarà

predominante nei libri neroniani (cf. e.g. 13, 46, 1 e 14, 1, 1 sulla bruciante passione di Nerone per Poppea), in significativo contrasto con le fiamme reali, vigorose ed indomabili, evidente segno di vitalità, che la terra germanica emana in

Ann. 13, 57, 3. Per exardescere con in e accusativo cf. Arnob. Nat. 5, 22 (FLETCHER

1983, p. 314, contro l'affermazione di Koestermann).

Iuniam Silanam: si veda PIR IV I 864. Figlia di M. Giunio Silano, console nel 15, o di L. Silano, console nel 27, è presentata da Tacito in Ann. 13, 19, 2 come

insignis genere forma lascivia; dapprima amica, poi rivale di Agrippina, fece

scagliare contro di lei dai suoi clienti Iturio e Calvisio l'accusa di complotto ai danni di Nerone per innalzare al potere Rubellio Plauto (Ann. 13, 19 e 21, 2); ella fu per questo esiliata (Ann. 13, 22, 2) e morì a Taranto nel 59 (Ann. 14, 12, 4). Exturbaret: analoga espressione in Ann. 14, 60, 1 a proposito del ripudio di Ottavia da parte di Nerone.

Sed certo... spe: “ma, se avesse rifiutato, ciò gli avrebbe procurato di certo la morte, e d’altronde nutriva una qualche speranza di farla franca” (stessa duplice alternativa in Iuv. 10, 339, ma Giovenale, come ben evidenziato da NAPPA 2010, pp.

198-200, insiste sull'ineluttabilità della morte per Silio, dipinto come vittima della sfrenatezza di Messalina). Lo stile scelto dallo storico in questo momento altamente drammatico per Silio, in quanto decisivo della sua sorte, è incalzante e conciso al limite dell’oscurità: exitio, spe e praemiis sono da intendersi come ablativi assoluti con sottinteso il participio di esse. Quest’uso può essere assimilato a quello degli aggettivi neutri all’ablativo, con un participio del verbo essere da sottintendersi, come Ann. 1, 6, 3 periculoso e 3, 60, 3 libero (cf. ENGHOFER 1961, pp. 71 e 109-

110).

Op<p>eriri futura: "aspettare il futuro". Opperiri è correzione di Beroaldo per il tràdito operiri, accolta da Jackson (la cui traduzione, però, è incongruente), Heubner, MEHL 1974, p. 55 n. 289; essa mi appare convincente, in quanto opperior

nel senso di “aspettare” in relazione agli eventi futuri è molto diffuso (TLL IX-2, 748, 40-71). I restanti editori accolgono, invece, la correzione operire di Nipperdey, da intendersi nel senso di “coprire, celare a se stesso”, dunque “scacciare dalla mente” (“to hide, or banish from thought” traduce Furneaux, “aus den Gedanken verbannen” Koestermann), anche se questa sfumatura di significato è da desumersi dal contesto ed è priva di paralleli testuali, dato che quello citato da Furneaux e Koestermann, Ann. 3, 18, 2 domestica mala tristitia operienda non è, a mio avviso, del tutto calzante. La passività di Silio qui descritta trova rispondenza come già detto (supra, nota a sed certo... spe) in Iuv. 10, 330-345 e D.C. 60, 31, 1-5, ma è in parziale contrasto con Ann. 11, 26, 1-2 e 35, 2, dove invece Silio mostra maggior fermezza.

3 Illa... visebantur: si noti l’incredibile rapidità dello stile nella chiusa del

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