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Il discorso attorno alla colpa politica [Politische Schuld] è complesso in quanto, in ma- niera analoga – come vedremo – alla colpa metafisica, va a toccare tutti, indistintamente. In tal senso, sia il Nazista convinto che il fervente oppositore del Regime finiscono per essere “poli- ticamente colpevoli”. Infatti, se è vero che la colpa politica riguarda primariamente lo Stato in quanto tale, che si esprime in uno specifico governo e in determinati ordinamenti, è altrettanto vero che della forma dello Stato sono responsabili i cittadini. E ciò vale tanto più nelle società democratiche, nelle quali «ciascuno porta una parte di responsabilità riguardo al modo in cui viene governata»551, compresi coloro che si considerano a-politici o manifestano una totale in- differenza nei confronti dell’ordinamento statale, come gli eremiti, ad esempio552. Anch’essi,

infatti, vivono all’interno dello Stato e grazie allo Stato, che riconosce loro il possesso di un terreno, il diritto a vivere isolati, sussistenza in caso di necessità e così via.

Ora, chi giudica un Paese delle sue colpe politiche è il consesso degli Stati, e nella mag- gior parte dei casi, dopo una guerra, la potenza vincitrice. Questa va perciò a stabilire delle modalità di riparazione che indeboliscono ulteriormente l’economia della Nazione sconfitta, o a imporre una serie di condizioni, come la presenza di truppe straniere nel territorio o l’impos- sibilità di riorganizzare l’esercito, che hanno lo scopo di limitare la potenza dello Stato sconfitto o ritardarne la ripresa.

Ebbene, se non è difficile comprendere ciò che si è sempre verificato storicamente, e dunque lo strapotere della potenza vincitrice su quella perdente, non è altrettanto perspicuo intendere in che maniera si possa accusare un intero popolo della colpa politica. Basta davvero dire che ognuno è responsabile della forma di governo dello Stato in cui vive? Banalmente, verrebbe da chiedere: e quanti non hanno voluto il Nazismo? Tanti non l’hanno voluto, eppure poi l’hanno appoggiato, per fede o per convenienza. E quanti non l’hanno né voluto né appog- giato? C’è differenza tra condannare razionalmente qualcosa e condannare qualcosa concreta- mente, coi fatti, con le azioni. Chi dice di non aver mai appoggiato il Nazismo, cosa ha fatto contro di esso? Si è apertamente schierato contro il Regime, o ha comunque partecipato alle manifestazioni, alle diverse liturgie? E se davvero non ha inteso adottare il suo modo di vivere e di pensare, certo già rischiando per questo, cosa ha fatto – ripeto – concretamente, per deter- minarne il crollo?

551 QC, cit., p. 21.

552 Cfr. ivi, pp. 61-62: «Un ambito apolitico richiede che ci si autoescluda da ogni specie di attività politica.

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Si tratta di domande che l’autore non esplicita, ma credo solo alla luce di queste si possa ambire a una più piena comprensione di ciò che si intende col parlare di colpa politica.

A ben vedere, se introducendo il tema dicevo che Jaspers sembra concedere troppo facil- mente che in epoca totalitaria non si possa esprimere la propria opinione, quasi nascondendosi dietro il rischio che questo comporta, ora pare muoversi in direzione del tutto opposta: non concede più nulla. Ed è rilevante sia un tedesco, non un inglese o un francese, a sentenziare: «Per quanto riguarda i delitti che sono stati commessi in nome del Reich tedesco, ogni tedesco viene reso corresponsabile»553. Tuttavia, aggiunge poco oltre, che «rendere uno responsabile

di una colpa non significa riconoscerlo come moralmente colpevole»554. In sostanza, altro è la colpa morale, altro è la colpa politica. Della prima parleremo, ma anticipiamo qui che si tratta di qualcosa di strettamente personale; della seconda, invece, possiamo dire trattarsi sempre di alcunché di personale, esteso però a una collettività. Perciò, se di un delitto non può essere accusato un popolo, quanto piuttosto soltanto colui o coloro che hanno partecipato fattivamente ad esso, il principio decade quando si tratta di colpa politica. Allora tutto il popolo è colpevole, poiché ciascun cittadino ha la propria parte di responsabilità nel modo in cui il territorio è go- vernato: «da quando i popoli europei hanno fatto il processo ai loro monarchi e li hanno deca- pitati, tocca ai popoli tenere sotto controllo la loro maniera di governare»555.

Il discorso di Jaspers non ha solo carattere storico-descrittivo, quanto anche protrettico, mi permetterei di aggiungere. Egli riconosce che lo Stato moderno mette l’uomo nella condi- zione di non potersi tenere ai margini della scena politica, ché infatti pure il rimanere in disparte rappresenta una scelta tra quelle possibili556. Di conseguenza, è opportuno agire – o non-agire – valutando bene le opzioni a disposizione, individuando, ad esempio, il male minore557, quando

si è posti di fronte alla scelta tra due mali, poiché in politica non contano le giustificazioni, e nemmeno le intenzioni o i princìpi, bensì i fatti. I fatti parlano da loro stessi e richiamano

553 Ivi, p. 60.

554 Ibidem. 555 Ivi, p. 52.

556 Cfr. ivi, p. 61: «In uno stato moderno ognuno fa della politica per lo meno quando vota o anche quando

tralascia di votare. Il significato stesso della responsabilità politica non permette che qualcuno vi si possa sot- trarre». Non-agire, politicamente parlando, è sempre un agire.

557 Sul ricorso alla logica del “male minore” si veda L. Boella, Hannah Arendt, p. 157 e H. Arendt, La respon-

sabilità personale sotto la dittatura, pp. 30-32. Qui, in realtà, la Arendt si esprime criticamente rispetto a questa

logica, sottolineando essere un modo di ragionare tipicamente totalitario, per mezzo del quale il Regime – tra le altre cose – avrebbe anche cercato di giustificare l’emanazione di provvedimenti antiebraici e il conseguente ster- minio.

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l’uomo, lo costringono ad agire secondo quella che Weber definisce come “l’etica della respon- sabilità”558, e quando egli viene meno alle proprie responsabilità, ecco che viene citato in giu-

dizio e costretto a dar ragione delle proprie azioni. Ma qui, ancora una volta, le giustificazioni valgono a poco:

Che Hindenburg non abbia inteso rovinare la Germania e non l’abbia voluta consegnare nelle mani di Hitler, questo non gli giova a niente; egli lo ha fatto; e solo questo conta in politica. Oppure si racconta di aver visto la disgrazia, di averlo detto, e di aver messo in guardia contro di essa. Ma ciò non vale in politica, se non si è passati all’azione e se l’azione non ha avuto suc- cesso559.

Credo sia qui evidente che Jaspers non concede nulla a se stesso e ai suoi connazionali: nessuna giustificazione tiene di fronte ai crimini nazisti. Per rispondere alle domande che ci siamo posti sopra, sembra proprio che per lui non solo non basti condannare col pensiero e a parole il Totalitarismo, se poi non si passa all’azione, ma non conti nemmeno agire, se le azioni contro il Regime non producono alcun risultato.

Qui mi fermo, riservando ulteriori considerazioni in merito alla colpa politica a quando avrò presentato la terza forma di colpa individuata da Jaspers.