3.2 Il valore ontologico della menzogna
3.2.1. Volontà di onnipotenza
Un breve inciso sulla pretesa volontà di onnipotenza da parte del governo totalitario. Come abbiamo concluso nel paragrafo precedente, tale Regime si caratterizza per la credenza che tutto sia possibile, che tutto rientri nelle capacità umane. Di fatto, pare valere il principio secondo cui “volere è potere”, un principio da sempre riconosciuto come prerogativa della di- vinità, di cui l’uomo cerca, ogni giorno di più, di appropriarsi. Se il Salmista afferma che «tutto ciò che vuole il Signore, Egli lo compie in cielo e sulla terra, nei mari e in tutti gli abissi»371, gli uomini non sono disposti ad essere da meno e avanzano la pretesa di vivere divinamente nel mondo. Ora, il progresso continuo non può essere loro ascritto come colpa; potrebbe esserlo, piuttosto, la volontà di diventare come Dio372, ma non è questa la sede per giudicare di tutto
368 Cfr. ivi, p. 392. Si veda anche P. Flores d’Arcais, L’esistenzialismo libertario di Hannah Arendt, p. 59: «Il
totalitarismo ha bisogno di distruggere il passato, di poterne disporre à merci, dal momento che il potere totalitario trova legittimazione solo nella pretesa di incarnare una Verità assoluta nella contingenza del tempo storico. I fatti devono perciò poter di continuo essere piegati in modo da “provare” la legittimità del potere e dei suoi singoli atti».
369 Ivi, p. 67. 370 OT, cit., p. 387. 371 Sal 135,6. 372 Cfr. Gen 3,5.
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ciò. La questione centrale è invece se gli uomini siano in grado di reggere il peso dell’onnipo- tenza, di vivere da dèi pur non essendo tali, e la storia del Novecento sembra negare ciò con voce tonante: non siamo tecnicamente e moralmente capaci di fare i conti con un progresso senza limiti.
Posta questa premessa, direi che nel Regime totalitario è ben chiara la complessità del rapporto tra l’uomo finito e la sua infinita pretesa di onnipotenza. I leader totalitari estendono i confini della possibilità umana a coprire distanze mai raggiunte prima, conducendo esperimenti che risulta difficile anche solo concepire373 e – come si è visto – non curandosi degli uomini,
che sono sacrificabili, e anzi di ostacolo al raggiungimento dell’onnipotenza stessa374. «It is as
though mankind had divided itself between those who believe in human omnipotence (who think that everything is possible if one knows how to organize masses for it) and those for whom powerlessness has become the major experience of their lives»375. Nella Germania nazista e nella Russia comunista, in pochi hanno un grande potere su molti, i quali spesso nulla possono contro quei pochi e convivono con un radicale senso di impotenza, che si concretizza nella negazione delle libertà tipicamente umane e – finalmente – nella negazione dell’uomo stesso, tramite la sua uccisione. In fondo, l’atto supremo di onnipotenza – un’onnipotenza certo brutale – che il soggetto può compiere è rappresentato proprio dal disporre totalmente dell’altro, e dun- que dal potere di vita e di morte sull’altro. In ciò, il Totalitarismo è tristemente maestro, per quanto poi, nella realtà dei fatti, l’anelito all’onnipotenza si declini in modi diversi.
Ma la distinzione dell’umanità in due gruppi, dei quali uno confida nell’onnipotenza dell’uomo, e l’altro ha a che fare esclusivamente con l’impotenza della condizione umana, vale non soltanto nel Regime totalitario, bensì anche come descrizione della società contemporanea. Al suo interno, infatti, alcuni sperimentano possibilità inimmaginabili a gran parte del resto della collettività, che si risolve invece a riconoscere il carattere sempre più impari del mondo e ad aspirare a obiettivi limitati.
Alla luce della storia del Novecento, direi con Hannah Arendt che «ormai la fantasia non può più entrare in concorrenza con la realtà degli avvenimenti e dei destini della società»376.
Quello che facciamo, realizziamo, diciamo supera di gran lunga ciò che possiamo solo pensare
373 Cfr. OT, p. 436: «The truth of the matter is that totalitarian leaders, though they are convinced that they
must follow consistently the fiction and the rules of the fictitious world which were laid down during their struggle for power, discover only gradually the full implications of this fictitious world and its rules. Their faith in human omnipotence, their conviction that everything can be done through organization, carries them into experiments which human imaginations may have outlined but human activity certainly never realized».
374 Cfr. supra i capitoli precedenti.
375 OT, Preface to the First Edition, cit., p. vii.
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di fare, di realizzare, di dire. E questo è paradossale, dato che siamo sempre stati portati a rite- nere di poterci spingere molto più in là col pensiero, che non nella realtà. Si badi bene, però, che non stiamo qui sostenendo che la credenza nella maggiore estensione del pensiero sia in toto falsa. È evidente, infatti, che molto di quello che immaginiamo con la fantasia o vediamo durante il sonno non esiste e non può essere progettato dall’uomo. Tuttavia, è innegabile quanto la realtà rischi di sfuggire ai nostri calcoli più precisi e ai progetti meglio predisposti, segno – se non altro – della capacità dell’uomo di superarsi continuamente o – in negativo – dell’inca- pacità dell’intelligenza umana di prevedere le conseguenze delle proprie azioni.
Scrive la Arendt, a tal proposito, nelle pagine conclusive di On Violence: «It is as though we have fallen under a fairyland spell which permits us to do the “impossible” on the condition that we lose the capacity of doing the possible, to achieve fantastically extraordinary feats on the condition of no longer being able to attend properly to our everyday needs»377. Orientati, noi e le nostre forze, a realizzare l’impossibile, a spingere in là i confini, talvolta non siamo più in grado di compiere ciò che è realmente nelle nostre capacità.
Esemplifico con una banale provocazione: la civiltà occidentale, tesa solo ad accrescere la propria ricchezza e innalzare il proprio standard di vita, non riesce però ad aiutare chi – al suo interno o nei Paesi stranieri – vive in condizioni disagiate. Come – ci chiediamo – possiamo progredire quasi quotidianamente nella tecnologia, nello studio della natura, nella cura di certe malattie… e, tuttavia, la fame resta uno dei principali problemi nel mondo? Non è forse vero che nella tensione all’impossibile, ci si dimentica di fare il possibile e che il possibile è real- mente tale, ovvero possibile?
Prosegue l’autrice:
If power has anything to do with the we-will-and-we-can, as distinguished from the mere we-can, then we have to admit that our power has become impotent. The progresses made by science have nothing to do with the I-will; they follow their own inexorable laws, compelling us to do whatever we can, regardless of consequences. Have the I-will and the I-can parted company? Was Valéry right when he said fifty years ago: “On peut dire que tout ce que nous savons, c’est à dire tout ce
que nous pouvons, a fini par s’opposer à ce que nous sommes”? (“One can say that all we know,
that is, all we have the power to do, has finally turned against what we are”)378.
Come giudicare potente colui che fa ciò che non vuole? È realmente potente colui che può ciò che non vuole; non solo, ma che si trova addirittura costretto a fare ciò che non vorrebbe
377 OV, cit., p. 183 [corsivo mio]. 378 Ivi, pp. 183-184.
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fare? Ebbene, sembra che la scienza, nella modernità, incarni questa contraddizione, di un po- tere che è potere di fare, ma non di guidare la volontà, e di una volontà che è volontà di fare, di agire, di parlare e tacere, ma non di fornire direttive al potere. E dove sta la libertà dell’uomo che progredisce solo perché può, senza essere in grado di gestire il proprio progresso?
«Les hommes normaux ne savent pas que tout est possible»379, scrive Rousset.
Personalmente, non credo tutto sia possibile; ciò nondimeno, l’affermazione di Rousset ci invita se non altro a non sottovalutare le capacità umane. Nel Novecento, diverse potenze straniere non credevano i Regimi nazista e comunista realmente capaci di quello che promette- vano, ma si sono presto dovute ricredere; a Norimberga e nei processi successivi, si è parlato con orrore dei crimini di guerra del secolo scorso, ma al giorno d’oggi alcuni comportamenti vanno a calpestare certi valori in maniera analoga; la fame nel mondo, il riscaldamento glo- bale… sono considerati problemi troppo grandi da risolvere, e tuttavia l’uomo non ha ragionato alla stessa maniera quando si è trattato di progettare la prima bomba atomica. Insomma, è ri- schioso dare per assodato che la potenza dell’uomo sia limitata, e questo sia negativamente, perché egli è capace di atrocità che esulano dalla nostra immaginazione, sia positivamente, per- ché egli sarebbe in grado di fare molto più di quello che attualmente fa, in alcuni campi speci- fici. Da parte mia, perciò, estenderei e modificherei la frase di Rousset in questi termini: gli uomini normali non sanno, non si rendono conto che tutto-ciò-che-è-possibile può essere rea- lizzato dall’uomo, si tratti dell’azione peggiore o dell’opera più stupenda.