• Non ci sono risultati.

2.5 La questione ebraica

2.5.2. Marx e la questione ebraica

Per comprendere meglio alcuni risvolti del problema che stiamo trattando, ritengo utile il riferimento – per quanto rapido – a un testo di Karl Marx, pubblicato nel 1844 con il titolo Sulla questione ebraica. L’opera nasce in risposta a La questione ebraica e a La capacità degli ebrei e dei cristiani di oggigiorno di ottenere la libertà di Bruno Bauer, entrambi pubblicati nel 1843. In realtà, anche i due testi di Bauer si presentano come una risposta, in particolare ai saggi che Carl H. Hermes pubblica dall’estate del 1842 e nei quali sostiene «la necessità di non concedere la cittadinanza agli ebrei, accusati di comportarsi ostilmente verso lo Stato cristiano, del quale Hermes si dichiarava sostenitore»290. Sarebbe certo interessante approfondire debitamente il dibattito, ma ci porterebbe fuori strada, e dobbiamo perciò limitarci a prendere in esame la critica che Marx muove a Bauer – con il quale, peraltro, aveva intrattenuto un rapporto di ami- cizia negli anni precedenti al conflitto ideologico – e, conseguentemente, la sua risposta al pro- blema ebraico.

Secondo Marx291, Bauer sostiene che la richiesta di emancipazione da parte degli Ebrei si scontri con una contraddizione di fondo, per cui l’Ebreo chiede di essere emancipato in quanto ebreo, e non in quanto uomo. In sostanza, il fattore che principalmente rende difficile l’emancipazione sarebbe ciò per cui l’Ebreo mai sarebbe disposto a rinunciare: «la forma più dura dell’attrito tra l’ebreo e il cristiano è l’attrito religioso. Come si risolve un contrasto? Col renderlo impossibile. In che modo rendere impossibile un contrasto religioso? Col rimuovere la religione»292. Il filosofo connette dunque tra loro due ambiti profondamente diversi, quello

289 Ibidem.

290 Karl Marx, Sulla questione ebraica, tr. it. di D. Fusaro, Bompiani, Milano 2007, Introduzione, p. 31. 291 Si tenga presente che il riferimento ai concetti espressi da Bauer nei suoi testi è mediato da Marx. Qui non

riporto ciò che ha scritto Bauer direttamente, ma ciò che Marx dice essere stato scritto da Bauer.

90

religioso e quello politico, sostenendo che il superamento della religione risolva anche le que- stioni di carattere socio-politico.

Ora, negli Stati attuali, la fede riveste ancora un ruolo eccessivo293, segno che limitare la discussione al credo ebraico non consente di cogliere il problema nella sua interezza. Così, per Bauer, la soluzione proposta da Hermes, che giudica possibile solo lo Stato cristiano, è una soluzione fallace, poiché anch’esso andrebbe sottoposto a critica, proprio in virtù del suo fon- damento religioso294.

A questo punto emerge il disaccordo di Marx con Bauer, il quale erra nella misura in cui

sottopone a critica solamente lo “Stato cristiano”, non lo “Stato in sé”, e non cerca il nesso tra

l’emancipazione politica e l’emancipazione umana, e per questo motivo pone condizioni che pos-

sono essere spiegate soltanto con una confusione acritica tra emancipazione politica ed emanci-

pazione umana in generale. Se Bauer chiede agli ebrei: dal vostro punto di vista, avete il diritto

di richiedere l’emancipazione politica? A nostra volta noi chiediamo: il punto di vista dell’eman- cipazione politica ha il diritto di pretendere dagli ebrei il superamento dell’ebraismo, e dagli uo- mini in generale il superamento della religione295?

Il vero problema, infatti, è che all’emancipazione politica dalla religione non corrisponde necessariamente l’emancipazione umana, in vista della quale sono necessari passi ulteriori296.

Lo Stato può anche perdere il proprio carattere religioso, ma se la fede continua ad essere con- siderata fondamentale dai cittadini che magari – sebbene privatamente – continuano a promuo- vere i culti di un tempo, l’uomo potrà dirsi realmente emancipato? Per Marx, la risposta alla domanda è negativa: «lo Stato può essere uno Stato libero senza che l’uomo sia un uomo li- bero»297.

Da qui Marx procede introducendo la distinzione tra Stato e società. Il rapporto tra comu- nità politica e società civile è analogo al rapporto che sussiste tra cielo e terra: nella prima, l’uomo opera come ente comunitario, nella seconda come ente privato. Il riferimento immediato può essere fatto ad Aristotele, che nella Politica indica lo Stato come il luogo nel quale meglio si realizza l’essenza dell’uomo in quanto uomo, nel quale egli può aspirare alla felicità più

293 Cfr. ibidem.

294 Ivi, p. 99. 295 Ibidem.

296 Cfr. ivi, p. 105: «L’emancipazione politica dell’ebreo, del cristiano, dell’uomo religioso in generale, è

l’emancipazione dello Stato dall’ebraismo, dal cristianesimo, dalla religione in generale. Nella sua forma, nella maniera appropriata alla sua essenza, in quanto Stato, lo Stato si emancipa dalla religione emancipandosi dalla religione di Stato, vale a dire quando lo Stato come Stato non professa alcuna religione, quando piuttosto lo Stato riconosce se stesso come Stato. L’emancipazione politica dalla religione non è l’emancipazione compiuta, priva di contraddizioni, dalla religione, giacché l’emancipazione politica non è la maniera compiuta, priva di contraddi- zioni, dell’emancipazione umana».

91

piena298. Marx, da parte sua, fa maggiormente leva sul carattere degradato della vita del singolo, che finisce per trattare gli altri come semplici mezzi, ed essere da loro trattato alla stessa stre- gua299. In tal senso, il rapporto tra comunità politica e società civile si tradurrebbe in una «scis- sione mondana»300, in un attrito continuo tra queste due realtà, e tutto ciò rappresenta un’ulte- riore conferma del fatto che «l’emancipazione politica è sicuramente un grande progresso, ma non è la forma ultima dell’emancipazione umana in generale, bensì l’ultima forma dell’eman- cipazione umana all’interno dell’ordine mondiale attuale»301. Si è visto che questa emancipa-

zione avviene riconducendo la religione al privato, e dunque all’ambito della società civile. Propriamente,

la frantumazione dell’uomo nell’ebreo e nel cittadino, nel protestante e nel cittadino, nell’uomo religioso e nel cittadino, tale frantumazione non è una menzogna ai danni della qualità di citta- dino, non è una scappatoia per evitare l’emancipazione politica, è essa stessa l’emancipazione

politica, è la maniera politica di emanciparsi dalla religione302.

In questo passaggio, si ribadisce che l’emancipazione politica corrisponde a una distin- zione netta di valori, che vede la riconduzione della religiosità al privato. Così, avremo uno Stato costituito da una comunità politica di cittadini potenzialmente uguali, cui corrisponde una società civile di uomini di fede diversa, siano essi cattolici, anglicani, ortodossi, musulmani, ebrei. In questa maniera, però, la differenza – ovvero ciò che fa realmente problema nella que- stione ebraica – è preservata dallo Stato, tutelata dalla comunità politica, mentre è essa stessa a dover essere superata, se si desidera portare a compimento il processo di emancipazione dell’uomo. Relegare la religione alla sfera privata è sufficiente solo a rendere possibile l’eman- cipazione politica, che è – si è visto – emancipazione della politica dalla religione, ma l’eman- cipazione umana è qualcosa di superiore.

A ben vedere, Bauer si riferisce soltanto a un’emancipazione parziale, a una liberazione del potere politico dai legacci rappresentati dalla religione, avvicinandosi quindi all’idea che «lo Stato cristiano perfetto sia piuttosto lo Stato ateo, lo Stato democratico, lo Stato che relega la religione tra le altre componenti della società civile»303. L’affrancamento totale, però, può

298 Si veda anche P. Flores d’Arcais, L’esistenzialismo libertario di Hannah Arendt, p. 15: «La politica è la

sfera dell’esistenza autentica, il luogo esclusivo e privilegiato dove all’uomo è dato realizzarsi in quanto uomo».

299 Cfr. K. Marx, Sulla questione ebraica, p. 111. 300 Ivi, p. 113.

301 Ivi, p. 115. 302 Ivi, p. 117. 303 Ivi, p. 119.

92

venire esclusivamente da un superamento definitivo dei princìpi della fede, in modo da appro- priarsi universalmente dei diritti dell’uomo in quanto uomo. Infatti, l’emancipazione politica è altra rispetto all’emancipazione umana, così che

noi non diciamo, insieme a Bauer, agli ebrei: voi non potete essere politicamente emancipati senza emanciparvi in maniera radicale dall’ebraismo. Piuttosto, diciamo loro: dato che potete essere politicamente emancipati senza abbandonare del tutto e in modo coerente l’ebraismo, per ciò stesso l’emancipazione politica stessa non è l’emancipazione umana304.

Se l’emancipazione politica è la liberazione della politica dai vincoli della religione, ma la religione da cui ci si emancipa politicamente non viene abbandonata, bensì ricondotta al privato, allora non si è ancora raggiunta l’emancipazione umana, che è chiaro non coincidere con quella politica.

In seguito, Marx approfondisce la questione intorno agli Ebrei arrivando – per certi versi – a proporre una nozione di “religione” sui generis, non limitata alla canonica religione confes- sionale. In concreto, la religione ebraica è definita come il modo pratico dell’Ebreo di stare al mondo, anzi è individuata nel suo modo di stare al mondo305.

Scrive a questo proposito Marx:

Qual è il principio mondano dell’ebraismo? Il bisogno pratico, il tornaconto.

Qual è il culto mondano dell’ebreo? Il vile commercio. Qual è il suo Dio mondano? Il denaro. Orbene, l’emancipazione dal commercio e dal denaro, quindi dall’ebraismo pratico e reale, sa- rebbe l’auto-emancipazione del nostro tempo.

Un’organizzazione della società che rimuovesse i presupposti del traffico, quindi la possibilità del traffico, renderebbe impossibile l’ebreo. La sua coscienza religiosa si dissolverebbe come un vapore privo di consistenza306.

Da queste righe emergono molti elementi interessanti, nel sottolineare i quali mi avvio a concludere il capitolo.

In primo luogo, compare una serie di pregiudizi che sappiamo essere spesso rivolti agli Ebrei, specie per quanto concerne l’avidità e l’oculatezza in campo economico. La ricchezza sembra quindi il vero dio ebraico, e il desiderio di essa il nucleo dell’Ebraismo. Perciò, l’eman- cipazione reale, coincidendo con la liberazione dal nucleo della religione ebraica – la bramosia per il denaro –, si può risolvere soltanto in un superamento della religione stessa da parte dell’Ebreo. Tale emancipazione, in secondo luogo, potrà meglio avvenire all’interno di una

304 Ivi, p. 131.

305 Cfr. ivi, p. 163. 306 Ibidem.

93

società nella quale sono cadute le condizioni che rendono la ricchezza contesa e desiderabile, dunque in una società in cui è abolita la proprietà privata dei mezzi di produzione. Questo – sembra dire Marx – finirebbe, però, per eliminare i presupposti stessi dell’esistenza degli Ebrei:

non appena la società giungerà al superamento dell’essenza empirica dell’ebraismo, del commer- cio e dei suoi presupposti, l’ebreo diverrà impossibile, poiché la sua coscienza non avrà più og- getto alcuno, il bisogno pratico si farà umano […].

L’emancipazione sociale dell’ebreo è l’emancipazione della società dall’ebraismo307.

L’ultima affermazione è particolarmente pesante, specie tenendo presenti le vicissitudini del popolo ebraico nel Novecento. Se l’Ebreo desidera emanciparsi realmente, perde con ciò la propria essenza, e finisce per annullare se stesso, liberando la società dalla sua presenza. Una società emancipata si configura quindi come una società libera dall’Ebraismo, che muore pro- prio nel momento che dovrebbe essere per lui di massima vitalità, quello della lotta per la pro- pria emancipazione.

In sintesi, perciò, l’affrancamento dell’Ebreo lo conduce alla morte, là dove non tendere a tale affrancamento rappresenta, comunque, la morte – se non l’annientamento – dell’individuo di origine ebraica.

307 Ivi, p. 177.

94

CAPITOLO TERZO

La menzogna come unica verità

Io ti domando due cose, non negarmele prima che io muoia: tieni lontano da me falsità e menzogna, non darmi né povertà né ricchezza; ma fammi avere il cibo necessario.

Proverbi 30,7-8

La menzogna gioca un ruolo fondamentale nella propaganda totalitaria e nella conserva- zione del potere per mezzo del terrore. È in un certo senso uno degli strumenti che meglio consentono al terrore di agire e diffondersi tra la popolazione, sempre più massa inanimata e completamente soggetta al Regime.

Possiamo dire – credo senza offendere l’intelligenza di nessuno – che questo non sembra essere un carattere centrale del solo governo totalitario, quando invece l’arte del politico di tutti i tempi viene spesso e volentieri definita come l’arte della menzogna308. Prendendo per buona

l’analisi negativa dei sofisti proposta tra gli altri da Platone, viene facile l’associazione – certo non sempre e non in tutti i casi – sofista-politico, forse ancor più al giorno d’oggi.

E tuttavia, nel contesto totalitario, la menzogna ha certo un’importanza peculiare quale strumento per conseguire dei fini, ma è anche qualcosa in più, tanto da arrivare ad assumere quello che mi arrischierei a definire un vero e proprio “valore ontologico”, fondativo.