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4.2 Il soggetto disumanizzato

4.2.5. L’abnegazione del singolo

Uno dei caratteri peculiari dell’individuo politicamente isolato e socialmente estraniato è dato dal senso di abnegazione che lo contraddistingue. Quello che potrebbe essere un tratto positivo dell’uomo e definire un temperamento altruistico, nel Regime totalitario si configura come l’emblema del soggetto atomizzato, scisso, tanto dalla società in cui vive, quanto da se stesso.

Per comprendere queste affermazioni, credo sia interessante un rapido riferimento all’analisi che Gustave Le Bon propone della folla, che qui assumeremo come sinonimo di massa. Secondo il sociologo francese, in alcuni casi particolari un insieme di soggetti – non necessariamente tutti presenti nello stesso luogo, nel medesimo momento, ma anche tra loro separati – vanno a costituire una folla,

un agglomeramento di uomini [che] possiede caratteristiche nuove ben diverse da quelle dei sin- goli individui che lo compongono. La personalità cosciente svanisce, i sentimenti e le idee di tutte le unità si orientano nella medesima direzione. Si forma così un’anima collettiva, senza dubbio transitoria, ma con caratteristiche molto precise. La collettività diventa allora ciò che, in mancanza di un’espressione migliore, chiamerei una folla organizzata o, se preferiamo, una folla psicolo- gica463.

Il nucleo del passaggio è dato dal riferimento a quell’anima collettiva che andrebbe a vivificare, come fosse una realtà unica e non molteplice, uno specifico gruppo di persone, le quali finiscono per «sentire, pensare e agire in un modo del tutto diverso da come ciascuno di loro – isolatamente – sentirebbe, penserebbe ed agirebbe»464. Le Bon precisa che gli uomini che sono parte della massa si omologano ad essa, guardano oltre l’identità individuale e agi- scono come se fossero guidati, appunto, da un’unica anima.

Per quello che maggiormente ci interessa, sono due i caratteri della folla che meglio de- scrivono la condizione del soggetto totalitario che si annulla nella massa.

In primo luogo, esser parte di una folla conferisce all’individuo

un sentimento di potenza invincibile. Ciò gli permette di cedere ad istinti che, se fosse rimasto solo, avrebbe senz’altro repressi. Vi cederà tanto più volentieri in quanto – la folla essendo ano- nima e dunque irresponsabile – il senso di responsabilità, che raffrena sempre gli individui, scom- pare del tutto465.

463 Gustave Le Bon, Psicologia delle folle, tr. it. di G. Villa, Longanesi, Milano, 5 ed. 1996, p. 46. 464 Ivi, p. 49.

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L’uomo che opera in concerto con altri uomini non teme di compiere quelle azioni che, altrimenti, mai avrebbe il coraggio di compiere, specie perché si affievolisce il senso di respon- sabilità che incombe su di lui quando agisce da solo. Egli non ha quasi più coscienza dei propri atti e del modo in cui si serve delle proprie facoltà, come fosse sotto un effetto ipnotico466.

In secondo luogo – e questo è il punto centrale per il tema dell’abnegazione, nella folla

ogni sentimento, ogni atto è contagioso, e contagioso a tal punto che l’individuo sacrifica molto facilmente il proprio interesse personale all’interesse collettivo. Si tratta di un comportamento innaturale, del quale l’uomo diventa capace quasi soltanto se entra a far parte di una folla […]. I diversi impulsi ai quali le folle obbediscono potranno essere, secondo le stimolazioni ricevute, generosi o crudeli, eroici o vili, ma saranno sempre tanto imperiosi che persino l’istinto di con- servazione si annullerà davanti ad essi467.

Un primo elemento è appunto il senso di abnegazione che deriva dall’esser parte di una folla, al cui interno i sentimenti e gli impulsi dell’uomo sono rafforzati, e questo sia in positivo, che in negativo. Perciò, una massa di codardi, che si dà alla fuga dinanzi al nemico, trasmetterà la propria vigliaccheria anche a quanti, al suo interno, sono di norma coraggiosi e impavidi di fronte al pericolo, e viceversa una massa di uomini audaci renderà valoroso anche chi, da solo, non si arrischierebbe a compiere le imprese meno avventate. Un discorso analogo vale quindi per l’istinto di conservazione, che finisce per essere messo in secondo piano dall’uomo della massa. Egli accetta tutto, anche l’eliminazione dei compagni e la propria, di eliminazione, con- sapevole del fatto che la sua morte non è la morte, non comporta il venir meno della folla, che sopravvive anche se lui muore. Suo carattere peculiare è l’abnegazione con cui valuta l’impor- tanza del suo io e accetta di sacrificarsi per una causa più grande, che travalica l’esistenza par- ticolare e limitata del singolo. Nel soggetto pienamente sottomesso al Regime, si produce così un nuovo modo di pensare, una mentalità nuova nasce dall’atomizzazione sociale, che si con- cretizza in «the radical loss of self-interest, the cynical or bored indifference in the face of death or other personal catastrophes, the passionate inclination toward the most abstract notions as guides for life, and the general contempt for even the most obvious rules of common sense»468. Nel passo sopra riportato, si parla anche del carattere contagioso che è proprio di ogni sentimento e atto dell’uomo della folla, siano essi sentimenti e atti positivi o negativi.

Ebbene, nel presente lavoro – oltre che nel parlare comune – si è soliti guardare alla massa come a qualcosa di negativo, e allora ci si riferisce alla riduzione della pluralità in massa, alla

466 Cfr. ivi, p. 54.

467 Ivi, pp. 53; 60. 468 OT, cit., p. 316.

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società di massa, al seguire la massa. In tutti questi casi, il termine è usato in senso dispregiativo, per cui la massa viene a configurarsi come il luogo nel quale l’io perde se stesso, si spersona- lizza, agisce in una certa maniera unicamente per uniformarsi agli altri. Le Bon, invece, propone una riflessione di vedute più ampie, sostenendo che le folle non vadano demonizzate a priori e «studiate soltanto dal punto di vista criminale»469. Infatti, esse sarebbero capaci tanto dei più

grandi delitti, quanto delle imprese più meravigliose, che nessun uomo, da solo, sarebbe in grado di compiere: «Se la folla è capace di uccidere, di incendiare e di commettere ogni sorta di crimini, è pure capace di atti di sacrificio e di disinteresse molto più elevati di quelli che sono di solito compiuti dall’individuo isolato»470.

Cosa, dunque, fa la differenza? Perché una folla sceglie di agire in una maniera eticamente approvabile, e un’altra compie azioni riprovevoli? Per quale motivo il comportamento della massa, che di per sé si qualifica come neutra da un punto di vista morale, può degenerare?

Direi che le risposte sono molteplici, ma ce n’è una, fornita dallo stesso Le Bon, che ben si adatta al discorso attorno al Totalitarismo. Tra i caratteri attribuiti alle folle, egli riconosce ad esse un’elevata suggestionabilità, sostenendo che, «abilmente suggestionate, le folle diven- tano capaci di eroismo e abnegazione»471 più ancora dell’individuo isolato. Infatti, «è soprat- tutto sull’individuo immerso nella folla che si può agire invocando sentimenti di gloria, di onore, di religione o di patria»472. Nella massa, quindi, c’è sempre qualcuno che spicca o qual- cuno che, al di fuori di essa, ne favorisce la nascita e ne stabilisce l’orientamento, qualcuno che possiamo identificare con il leader, nel caso dei Regimi totalitari.

A queste riflessioni, aggiungo un’ultima considerazione.

Scrive ancora Le Bon, in risposta a chi obietta si possa parlare di una moralità delle folle:

Se attribuiamo alla parola moralità il significato di rispetto costante di certe convenzioni sociali e di repressione permanente degli impulsi egoistici, è evidente che le folle sono troppo impulsive e troppo mutevoli per essere sensibili ai problemi morali. Ma se nel concetto di moralità intendiamo far rientrare anche il manifestarsi momentaneo di certe qualità, come l’abnegazione, la dedizione, il disinteresse, il sacrificio di sé, il bisogno di giustizia, possiamo dire che le folle, al contrario, sono a volte capaci di raggiungere una moralità molto alta473.

Il passaggio è illuminante, in riferimento al discorso che stiamo facendo e a quello che diremo in seguito. La massa non è priva di moralità; tuttavia, ci sono dei limiti alla sua morale

469 G. Le Bon, Psicologia delle folle, cit., p. 57. 470 Ivi, p. 83.

471 Ivi, p. 76. 472 Ivi, p. 83. 473 Ivi, p. 82.

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e si corre talvolta il rischio di domandarle più di quanto possa effettivamente fare. Se quindi per “moralità” intendiamo un agire che abbia sempre presente l’interesse della collettività ed eviti qualsiasi ingiustizia, ecco che allora dovremmo per forza di cose ammettere che la folla è a-morale. Se, invece, accettiamo un’idea forse più bassa – ma non per questo negativa – di “moralità”, allora possiamo apprezzare le numerose, per quanto momentanee, apparizioni di qualità – compresa l’abnegazione – che spesso trovano piena espressione solo all’interno di una massa di uomini.