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1.3 Gli strumenti di cui il Regime totalitario si serve

1.3.3. La necessità di una massa di uomini

1.3.3.1. La superfluità degli uomini

Secondo quanto è già stato messo in luce, la riconduzione della specifica diversità di cia- scuno all’identità che caratterizza la massa comporta – e allo stesso tempo è data da – la fram- mentazione e il progressivo isolamento degli individui. Questo è per certi versi paradossale: ciò che più avvicina gli uomini spazialmente, intellettualmente, moralmente… è insieme ciò che più li allontana e li divide gli uni dagli altri. Nella massa, nel gruppo, benché tutti agiscano di concerto, concretamente ognuno agisce per sé e temendo l’azione del prossimo; l’unità è solo apparente, mentre alberga la divisione.

Ora, la pluralità, la diversità sono la base della politica: «Dio ha creato l’uomo, gli uomini sono un prodotto umano, terreno, il prodotto della natura umana»98. Se dell’uomo si interessano

principalmente la filosofia e la teologia, a partire da angolazioni differenti, degli uomini si oc- cupa, invece, la politica: essa «tratta dell’essere assieme e l’uno con l’altro dei diversi [Ver- schiedenen]»99. In queste affermazioni troviamo già implicita una critica che poco oltre la

Arendt esplicita: la critica alla definizione aristotelica dell’uomo come «ζῷον πολιτικόν [zòon

96 Cfr. ivi, p. 312.

97 Ibidem. Faccio notare che il traduttore italiano rende così questa parte del testo: «[…] la costituzione demo-

cratica si basava sulla tacita approvazione e tolleranza dei settori della popolazione politicamente grigi e inattivi […]». Primo Levi utilizza un’analoga terminologia, per quanto in un contesto differente, e parla di “zona grigia”, per cui cfr. Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino 1986, pp. 24 e ss.

98 Hannah Arendt, Nel deserto del pensiero. Quaderni e diari 1950-1973, tr. it. di C. Marazia, Beat, Milano

2015, p. 20 [I, 21]. Tra parentesi quadre saranno sempre indicati il quaderno e il paragrafo di riferimento, rispetti- vamente in numeri romani e in numeri arabi.

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politikòn]»100, animale politico. Per natura, l’uomo non sarebbe affatto politico, in quanto «la politica nasce nell’infra-tra-gli uomini, dunque del tutto al difuori dell’uomo»101.

Fino a qui non ci sono particolari problemi, ma cosa accade nel Totalitarismo?

Se l’uomo [Man/der Mensch] è il tema della filosofia, mentre gli uomini [Men/die Menschen] il soggetto della politica, allora nel totalitarismo ha luogo una vittoria della “filosofia” sulla poli- tica – e non viceversa. È come se la vittoria definitiva della filosofia comportasse lo sterminio definitivo dei filosofi. Forse essi sono divenuti “superflui” [superfluous/überflüssig]102.

Si tratta di un passo denso, che credo di poter parafrasare in questi termini: il Totalitari- smo ha a cuore più l’uomo che gli uomini, travisando così il suo essere dottrina politica. Sì, perché se la politica si occupa della pluralità, il Totalitarismo, nel cercare di distruggere la plu- ralità per la singolarità, rinnega la propria stessa natura. In ciò, si ravvisa una vittoria della filosofia sulla politica, e del filosofo sui filosofi, questi ultimi superflui in quanto plurali, così come all’interno del Regime, in generale, ad essere superflui sono «gli uomini qua uomini»103,

che cedono in tal modo il passo all’uomo.

Chiediamoci, però: donde deriva la superfluità degli uomini? Hannah Arendt sostiene es- sere strettamente connessa al desiderio di onnipotenza dell’uomo.

Dalla convinzione che tutto sia possibile sorge immediatamente la prassi di rendere superflui gli uomini, in parte attraverso la decimazione e in generale attraverso la liquidazione degli uomini

qua uomini. Se l’uomo è onnipotente, allora di fatto non si capisce perché ve ne siano così tanti

esemplari, se non per mettere all’opera tale onnipotenza, dunque in quanto meri aiutanti trattati come oggetti. Ogni secondo uomo è già una controprova contro l’onnipotenza dell’uomo, una dimostrazione vivente che non tutto è possibile104.

Un altro passaggio molto ricco. Come può essere onnipotente colui che, nel suo agire, è limitato da altri che aspirano alla medesima onnipotenza? Uno solo può essere onnipotente, l’uomo, e non gli uomini. La presenza dell’altro è un limite alla mia azione e di conseguenza al mio potere, almeno che io non consideri l’altro soltanto come oggetto, come mezzo, come stru- mento per realizzare la mia stessa onnipotenza: «l’idea dell’onnipotenza e del tutto-è-possibile conduce necessariamente alla singolarità»105. Un soggetto è onnipotente in senso pieno se

niente compete con la sua potenza, dal qual fatto deriva che soltanto la divinità di una religione

100 Aristotele, Politica, I 2, 1253a 2: «φανερὸν ὅτι […] ὁ ἄνθρωπος φύσει πολιτικὸν ζῷον». 101 QD, cit., p. 21 [I, 21].

102 Ivi, p. 43 [II, 16]. Questo pensiero è originariamente scritto da Hannah Arendt in inglese e in tedesco. 103 Ivi, p. 52 [II, 30].

104 Ibidem. 105 Ibidem.

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monoteista – non politeista – può essere considerata, a ragione, onnipotente106. Più dèi, infatti, per quanto possano letteralmente fare tutto, non saranno mai onnipotenti, nella misura in cui ciascuno ha anche una capacità – maggiore o minore – di limitare le altre divinità e contrastare il loro operato. A tal proposito, le tragedie e i poemi greci offrono un chiaro esempio di quanto si va affermando.

Dunque, la riduzione degli uomini a esseri superflui è condizione necessaria dell’onnipo- tenza del Regime e dell’uomo che ne sta al vertice. Per di più, nel Totalitarismo, tutto ciò «si- gnifica non già affermare la loro [degli uomini] superfluità nel considerarli mezzi da utilizzare, ciò che lascerebbe intatta la loro natura umana e offenderebbe soltanto il loro destino di uomini, bensì rendere superflua la loro qualità stessa di uomini»107. Come? – ci si chiederà. «Elimi- nando quella imprevedibilità che è nel destino e alla quale corrisponde, negli uomini, la spon- taneità»108. In questi stessi termini, possiamo intendere pure lo sterminio totalitario dell’uomo, e quindi come il tentativo di eliminare la spontaneità e conseguire così l’onnipotenza109.

Parleremo meglio di ciò in un capitolo successivo, ma qui teniamo per buono il fatto che l’uomo onnipotente non può accettare quanto risulta imprevedibile: l’imprevedibilità costitui- rebbe una limitazione alla sua stessa potenza, e per questo non è gradita. La volontà di potenza accoglie anche ciò che è imprevedibile, per quanto cerchi di avere un controllo sempre mag- giore della realtà, ma l’onnipotenza – se effettivamente tale – non ha di fronte nulla, né accetta niente che possa minacciarne l’onni110.

In conclusione, possiamo perciò affermare che la riduzione degli uomini a massa corri- sponde alla paura di fronte alla spontaneità, e al conseguente desiderio di eliminarla. La politica totalitaria, dietro la spinta all’onnipotenza già insita nel suo desiderio di totalità, cerca così di cancellare la pluralità, e con essa la singolarità e specificità di ognuno. Gli uomini sono consi- derati superflui proprio in virtù dell’onnipotenza dell’uomo, «esattamente come, nel monotei- smo, è l’onnipotenza di Dio il carattere che rende Dio UNO»111. La politica dovrebbe preservare

la pluralità e garantire ai singoli di vivere bene assieme: in quanto uguali, poiché tutti uomini,

106 Cfr. ibidem: «Di tutti i tradizionali predicati di Dio è l’onnipotenza e il “per Dio nulla è impossibile” a

escludere il politeismo». Si veda anche Richard J. Bernstein, Riflessioni sul male radicale: Arendt e Kant, tr. it. di P. Costa, La società degli individui, Fascicolo 13, anno V, Franco Angeli, Milano 2002/1, p. 9.

107 Hannah Arendt-Karl Jaspers, Lettera del 4 marzo 1951. Hannah Arendt a Karl Jaspers, in Carteggio 1926-

1969, a cura di A. Dal Lago, tr. it. di Q. Principe, Feltrinelli, Milano 1989, p. 104 [corsivo mio].

108 Ibidem.

109 Cfr. QD, p. 61 [III, 17].

110 Cfr. H. Arendt-K. Jaspers, Carteggio, p. 105: «La volontà di potenza è il voler divenire sempre più potenti,

e si fonda su questo comparativo, entro i cui limiti essa rimane; il comparativo rispetta ancora le frontiere della natura umana, e non si spinge mai fino alla folle illusione del superlativo».

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e in quanto diversi gli uni dagli altri, sempre perché sono tutti uomini, individui. Il Regime totalitario, però, non agisce in questo modo e, appiattendo la particolarità sull’uniformità, il diverso sull’identico, conduce non soltanto gli uomini, ma altresì l’uomo alla morte, a perdere i propri tratti specificamente umani, la propria umanità112. Saper indurre il diverso a convivere costruttivamente col diverso è un valore, ma il valore della diversità viene meno nel momento in cui essa è annullata in favore, esclusivamente, dell’uniformità.