In quest’ultimo paragrafo, mi limito a richiamare concetti per lo più già espressi in pre- cedenza, riassumendo così il tema della responsabilità nel contesto totalitario.
Innanzitutto, direi che l’incapacità dei funzionari del Regime di riconoscere e assumersi le proprie responsabilità sia strettamente connessa a un sovvertimento delle nozioni di colpa e responsabilità all’interno del sistema totalitario stesso. Aleksandr Solženicyn, nel saggio sui campi di prigionia sovietici Arcipelago Gulag, dedica diverse pagine alla discussione intorno all’articolo 58 del Codice Penale del 1926590. Qui, mostra come un unico articolo ponga tutti i
cittadini nella condizione di poter essere accusati di un qualsiasi reato, e di conseguenza arre- stati o condannati immediatamente a morte. L’articolo 58 consta di 14 punti, ma di fatto è suf- ficiente il primo di essi a far condannare chiunque come nemico dello Stato:
58-1. “Counter-revolutionary” is understood as any action directed toward the overthrow, subver- sion, or weakening of the power of worker-peasant councils or of their chosen (according to the Constitution of the USSR and constitutions of union republics) worker-peasant government of the USSR, union and autonomous republics, or toward the subversion or weakening of the external security of the USSR and the fundamental economic, political, and national gains of the proletar- ian revolution591.
Interpretandolo in senso lato, Solženicyn commenta come da tale punto «risulti che il rifiuto, nel Lager, di andare a lavorare quando sei affamato ed estenuato, è indebolimento del
588 Cfr. supra e ITD, p. 364.
589 H. Arendt, La responsabilità personale sotto la dittatura, cit., p. 24.
590 Per il testo dell’articolo in lingua inglese, si veda http://www.cyberussr.com/rus/uk58-e.html#58-1a. 591 Ibidem.
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potere e ha per conseguenza la fucilazione»592. Essendo il diritto fondato su basi di questo ge- nere, i princìpi morali e ogni proposito di un agire morale – come si è visto – decadono, e parallelamente vengono a mancare gli strumenti che consentono di comprendere come compor- tarsi nelle diverse situazioni. La Legge si identifica con la volontà del leader, che è di necessità mutevole, o è espressa per mezzo di norme – come l’articolo 58 – a tal punto generali da potersi riferire a chiunque. Così, diventa realmente difficile conoscere in anticipo le conseguenze delle proprie azioni e delle proprie parole: tutto può essere frainteso e usato come prova dell’opposi- zione del soggetto al Regime.
Il Totalitarismo annulla la responsabilità, perché pretende annullare la libera iniziativa degli uomini, controllandoli fin nei loro momenti più intimi:
Total domination does not allow for free initiative in any field of life, for any activity that is not entirely predictable. Totalitarianism in power invariably replaces all first-rate talents, regardless of their sympathies, with those crackpots and fools whose lack of intelligence and creativity is still the best guarantee of their loyalty593.
Così, perfetto cittadino totalitario viene ad essere colui che si riduce ad agire alla stregua di una macchina, perfettamente programmata dal Partito e sostituita in caso di inceppamento. Egli si considera una sorta di prolungamento dello Stato e del suo leader, e quando agisce sente di agire in nome dello Stato stesso, dal quale provengono gli ordini e cui delega ogni responsa- bilità. Questo è quanto emerge dall’esperienza di Franz Stangl, scelto dal Regime – che non vede di buon’occhio nemmeno le adesioni volontarie – e da esso magistralmente istruito, il quale ritiene di poter scindere nettamente il suo agire e il suo pensare, il suo dire e il suo sentire. In quanto uomo di Stato, egli considerava suo dovere obbedire ai comandi che gli erano impar- titi dall’alto; in quanto privato cittadino, afferma di aver obbedito senza condividere le motiva- zioni che stavano dietro gli ordini. In questa maniera, pretende liberarsi da ogni responsabilità, quasi non fosse stato lui ad agire, ma il Führer in lui e per lui.
E a ciò, crede ogni funzionario del Regime totalitario. Il capo, infatti,
claims personal responsibility for every action, deed, or misdeed, committed by any member or functionary in his official capacity. This total responsibility is the most important organizational
592 Aleksandr Solženicyn, Arcipelago Gulag 1918-1956: saggio di inchiesta narrativa, 3 voll., tr. it. di M.
Olsufieva, Mondadori, Milano, 5 ed. 1977, vol. 1 (I-II), p. 76.
195 aspect of the so-called Leader principle, according to which every functionary is not only ap- pointed by the Leader but is his walking embodiment, and every order is supposed to emanate from this one ever-present source594.
Per questo – si è visto – il capo totalitario non può sopportare siano rivolte delle critiche ai suoi subordinati, perché esse finiscono per ricadere su di lui. Inoltre,
this total responsibility for everything done by the movement and this total identification with every one of its functionaries have the very practical consequence that nobody ever experiences a situation in which he has to be responsible for his own actions or can explain the reasons for them595.
In pratica, chi cerca di discolparsi di fronte a un tribunale, adducendo come giustifica- zione del proprio comportamento passato il rispetto degli ordini, lo fa non soltanto per la man- canza di una migliore strategia difensiva, ma anche – direi – credendo fermamente in ciò che sostiene, per effetto di un indottrinamento ideologico che promuove un certo culto del leader e definisce i modi in cui rapportarsi a lui, la posizione da tenere rispetto a lui, l’obbedienza che lui si attende.
Con queste affermazioni non si intende scagionare nessuno, è chiaro; semmai, si vuole dar ragione di come l’oscuramento del concetto di responsabilità e il misconoscimento delle proprie colpe siano un residuo del Totalitarismo, e non una semplice linea di difesa o il sintomo dell’incapacità di guardarsi allo specchio e fare i conti con quello che realmente si è. Per tentare di proporre una semplicistica classificazione di quanti si sono trovati a vivere in un contesto totalitario e a sostenere il Regime, direi che [1] può davvero esserci qualcuno che ha agito in buona fede, [2] qualcun altro può aver messo – con più o meno fatica – a tacere la propria coscienza, preferendo vivere facendo ciò che non voleva, che morire facendo ciò che voleva, [3] altri ancora, poi, hanno agito in maniera del tutto consapevole, condividendo l’ideologia loro inculcata596.
L’emblema del crollo del sistema dei valori su cui si basano, nelle diverse società, le nozioni di responsabilità e colpa, è rappresentato ancora una volta dai campi di concentramento. Dicevamo che uno dei pensieri spontanei di quanti entrano in contatto con questa realtà senza conoscerla e appoggiarla è: “Chissà cosa devono aver fatto queste persone per meritare tutto questo!”597. Nulla, non hanno fatto assolutamente nulla. Il meccanismo della retribuzione salta
594 Ivi, p. 374.
595 Ivi, p. 375.
596 Cfr. L. Boella, Hannah Arendt, p. 157. 597 Cfr. OT, p. 447.
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del tutto: non c’è più una pena connessa a una colpa antecedente, ma atrocità che non hanno i caratteri delle pene e colpiscono chiunque, indistintamente.
Un’ultima considerazione vuole rimarcare nuovamente la persistenza di residui di Tota- litarismo nella nostra società, nella fattispecie per quanto concerne una perdita o diluizione del senso di responsabilità. Ebbene, quando questo stesso senso di responsabilità rischia di riemer- gere nel Regime totalitario, è necessario adottare delle strategie perché tutto ciò non si verifichi. In particolare, esso può riaffiorare nel momento in cui vengono trasmessi degli ordini dai gradi superiori a quelli via via inferiori, o nella gestione di procedimenti di varia natura, ad esempio amministrativi. In entrambi i casi, la tendenza è quella di evitare che, con il consolidamento del potere del leader e del Partito, si vada a costituire un ordine nuovo, sostitutivo del precedente. In tal senso, la necessità del Regime di tenersi sempre in movimento si concretizza, tra le altre cose, nella creazione continua di nuovi organi di governo, di nuovi uffici, di nuove sezioni amministrative. Questo fenomeno rende ancor più complessa la questione della responsabilità, dal momento che diventa realmente difficile stabilire chi ha impartito un certo ordine o a chi rivolgersi per uno specifico problema. Il processo di Kafka – così come Il castello – è intera- mente costruito su un sistema complicato di moltiplicazioni di uffici e ruoli, che impedisce a K. di comprendere chi sia davvero importante all’interno di quel sistema giudiziario e a chi debba, di conseguenza, rivolgere le proprie lagnanze. Fin dall’inizio, egli si trova all’oscuro di tutto, senza che alcuno sia in grado di spiegargli la situazione, e quando domanda alle guardie il perché della loro visita, non ottiene informazioni rilevanti: esse si limitano a rispondere che altri hanno loro ordinato di andare da lui598.
Credo sia superfluo sottolineare l’analogia tra le guardie de Il processo e i funzionari del Regime totalitario, mentre ha senso esplicitare che ciò che in tale Regime si viene costituendo è un vero e proprio, complesso, apparato burocratico, sotto molti aspetti simile a quello cui noi stessi siamo avvezzi599. La contemporanea trasformazione dei governi in amministrazioni e delle repubbliche in burocrazie è descritta da Hannah Arendt con parole di apprensione, proprio
598 Cfr. DP, p. 11.
599 Per quanto concerne la “burocrazia”, si veda in particolare H. Arendt, La responsabilità personale sotto la
dittatura, p. 25: «Ogni ingranaggio, ossia ogni persona, deve poter essere sostituita senza modificare il sistema
stesso: è questo il presupposto di ogni burocrazia, di ogni apparato pubblico […]. In questo quadro di riferimento, si può parlare allora di sistemi buoni o cattivi, basandosi su criteri che sono la libertà, la felicità o il grado di partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, ma la questione della responsabilità personale resta una faccenda del tutto marginale. Ed è questo che hanno detto del resto, per giustificarsi, tutti gli imputati nei processi svoltisi dopo la guerra: “Se non lo avessi fatto io, lo avrebbe fatto qualcun altro al posto mio”».
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perché ripresenta il problema della colpa e della responsabilità che è emerso trattando del To- talitarismo. L’autrice ritiene che la burocrazia rappresenti una nuova forma di potere, che si caratterizza per la presenza di un sistema complesso di uffici
in which no men, neither one nor the best, neither the few nor the many, can be held responsible, and which could be properly called rule by Nobody. If, in accord with traditional political thought, we identify tyranny as government that is not held to give account of itself, rule by Nobody is clearly the most tyrannical of all, since there is no one left who could even be asked to answer for what is being done600.
Nel sistema burocratico vi è una continua delega ad altri della propria responsabilità, come si sperimenta facilmente quando, in presenza di una pratica da sbrigare o di una questione da risolvere, si cerca chi possa fornirci il proprio aiuto. Ebbene, in questi casi è frequente essere costretti a girare da un ufficio all’altro per scoprire, nel momento in cui si crede sia tutto a posto, che c’è qualche ulteriore problema, che un funzionario – ipotizziamo – ha fatto un errore. Al- lora, a quale ufficio va attribuita la responsabilità dello sbaglio? Nessuno di quelli consultati è disposto ad assumersela, ma tenderà piuttosto a scaricarla ad un altro.
L’esempio proposto può apparire quasi scandaloso per la sua banalità, tuttavia credo la sostanza del discorso sia chiara:
In a fully developed bureaucracy there is nobody left with whom one can argue, to whom one can present grievances, on whom the pressures of power can be exerted. Bureaucracy is the form of government in which everybody is deprived of political freedom, of the power to act; for the rule by Nobody is not no-rule, and where all are equally powerless we have a tyranny without a ty- rant601.
600 OV, cit., pp. 137-138. Si veda anche Hannah Arendt, Alcune questioni di filosofia morale, tr. it. di D. Ta-
rizzo, Einaudi, Torino 2006, p. 13: «In un perfetto sistema burocratico – che, in termini di governo, rappresenta il governo di nessuno – non c’è spazio per procedimenti giuridici: si tratta solo, eventualmente, di rimpiazzare un ingranaggio difettoso con uno migliore».
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CAPITOLO SESTO
Il Negazionismo
Se si ha il proprio “perché?” della vita, ci si concilia quasi con ogni “come?”
Friedrich Nietzsche, Crepuscolo degli idoli602
La lotta contro i negazionisti sarebbe già persa, se si concedesse l’indicibilità di Auschwitz. Perché significherebbe relegarlo nel dominio del mistero,
nella sfera occulta della mistica.
Donatella Di Cesare, Se Auschwitz è nulla603
Se è tragico vedere gli sforzi per mezzo dei quali il carnefice cerca di nascondere la pro- pria colpa personale e di negare di aver avuto un ruolo importante nel Sistema totalitario, lo è ancor più fare i conti con la negazione radicale del carattere criminale del Regime stesso. È comprensibile che il funzionario del Lager neghi di aver ucciso qualcuno o di essersi adeguato alle pratiche diffuse circa il trattamento dei prigionieri, ma come può pensare di negare altresì l’esistenza dei campi di concentramento e di sterminio? delle camere a gas e di un elaborato progetto volto all’eliminazione degli Ebrei?
A chi scrive e a chi non condivide le tesi del negazionista pare davvero assurdo si possano sostenere certe menzogne, e sembra altresì cosa semplicissima smentirle. Si ricorderà, in pro- posito, quanto richiamato sopra, ovvero come Diogene confuti colui che nega il movimento semplicemente mettendosi a camminare. Analogamente, a noi dovrebbe essere sufficiente con- durre i negazionisti nei Lager e, non fosse abbastanza, metterli a confronto con i sopravvissuti. E tuttavia, paradossalmente, il tutto non è così semplice.
In tal senso, si comprende l’appello di Donatella Di Cesare a non lasciare che siano sol- tanto gli storici ad occuparsi della questione, dal momento che le prove che la storia fornisce, per quanto innegabili e in grado di soddisfare i più, non sono capaci di mutare l’opinione di chi non vuole credere. E allora è bene che anche i filosofi scendano in campo, in modo da condurre
602 Friedrich Nietzsche, Crepuscolo degli idoli. Ovvero come si filosofa col martello, in Opere filosofiche, 2
voll., tr. it. di S. Giametta, UTET, Torino 2003, vol. II, p. 414, Aforisma 12. Questo pensiero di Nietzsche è citato anche da V. Frankl, Uno psicologo nei lager, p. 129.
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un’indagine parallela a quella degli storici, sebbene diversamente orientata. Perciò, gli uni si domanderanno perché il negazionista nega; gli altri, invece, come il negazionista pretende di far valere la propria posizione604.
La tesi – su cui torneremo – di questo capitolo, condivisa da numerosi autori, è che «il negazionismo sia la prosecuzione logica e necessaria del genocidio»605 e, oltre che del geno-
cidio, anche del pensiero totalitario in genere.
A livello introduttivo, si tenga ora presente che il Negazionismo non è un espediente ti- picamente totalitario, motivo per cui qui si proporrà la sua concreta applicazione non soltanto rispetto alla Shoah, ma altresì in riferimento al genocidio armeno. Esso, infatti, ci consentirà di sottolineare tratti del fenomeno negazionista che lo sterminio del popolo ebraico non vede par- ticolarmente marcati.
A tal proposito, mi si conceda al momento un’unica considerazione intorno al genocidio degli Ebrei ed alla negazione dell’Olocausto606. In questo caso, abbiamo a che fare con uno
sterminio centralmente organizzato e coordinato, che si inserisce appieno nel contesto politico di riferimento. Si sono più volte sottolineate, infatti, le ragioni per cui il Regime necessita non degli Ebrei in quanto tali, bensì semplicemente di vittime che tengano in continuo movimento la macchina totalitaria607. Di conseguenza, lo sterminio del popolo ebraico rappresenta un mo- mento della vita dello Stato, preludio – non fosse stato per la sconfitta in guerra – di ulteriori massacri.
Un ultimo aspetto da tenere presente a scopo introduttivo concerne l’ampiezza del Nega- zionismo, che non si traduce nel mero misconoscimento di genocidi, massacri e crimini, ma
604 Cfr. ivi, pp. 8-9.
605 Ugo Volli, La coazione a ripetere del negazionismo. Metz Yeghern e Shoah, in M. Corgnati e U. Volli (a
cura di), Il genocidio infinito. 100 anni dopo il Metz Yeghérn, Edizioni Guerini e Associati, Milano 2015, p. 62. Da qui in avanti, le citazioni dei saggi contenuti nello stesso volume saranno presentate richiamando autore e titolo del saggio, mentre la raccolta sarà indicata abbreviata come Genocidio infinito.
606 Per quanto concerne l’uso della parola “Olocausto” per indicare lo sterminio degli Ebrei, cfr. ivi, pp. 52-54.
Volli risale al significato greco del termine, usato in riferimento a pratiche sacrificali nelle quali «l’animale sacri- ficato veniva interamente distrutto col fuoco, senza salvarne alcuna parte per il consumo di chi portava il sacrifi- cio». Nonostante la sua diffusione a indicare la Shoah, la parola sarebbe stata «progressivamente rifiutata dal mondo ebraico per la sua impropria connotazione religiosa: il genocidio è un crimine, non un sacrificio religioso, non espiava nulla e non propiziava nulla […]. Non è stato Dio ad aver voluto le stragi e chi le ha compiute voleva il male delle vittime e non certo compiere un atto di pietà religiosa».
607 Oltre ai passi di riferimento già citati nei capitoli precedenti, si veda Hannah Arendt, La banalità del male,
Appendice, p. 291: «È noto che Hitler cominciò la sua operazione di sterminio col concedere una “morte pietosa”
agli “incurabili”, ed è noto che egli intendeva estendere il programma di eutanasia ai tedeschi “geneticamente imperfetti” (cardiopatici e tubercolotici). Ma a parte ciò, è evidente che questo tipo di sterminio può essere diretto contro qualsiasi gruppo, e che il principio con cui viene effettuata la selezione dipende esclusivamente dalle cir- costanze».
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può aspirare alla cancellazione stessa di una determinata identità, ad esempio culturale, come accade tristemente anche ai giorni nostri.
Ora cercherò quindi di fornire un quadro, per quanto riassuntivo, del genocidio armeno e della sua negazione, mettendolo a confronto con lo sterminio degli Ebrei, per passare poi a considerare in che modo le tesi negazioniste vengono proposte, per quale motivo meritano la nostra attenzione, in che senso rappresentano un pericolo per la nostra società.