3.2 Il valore ontologico della menzogna
3.2.2. Diversi livelli di menzogna tra i cittadini del Regime totalitario
È chiaro che non tutti, all’interno del movimento totalitario, sono chiamati – e disposti – a credere a qualsiasi cosa, ma ciascuno dovrà far proprio quanto il leader afferma in maniera diversa.
In linea generale, le masse sanno che difficilmente ci si può fidare di ciò che il Regime riferisce pubblicamente, sebbene siano per lo più disposte ad accettare qualunque cosa venga detta loro. Esse si caratterizzano per una docilità unica nei confronti del governo totalitario, tanto da accogliere le informazioni loro destinate senza ribellarsi qualora si rivelino, poco dopo, una completa menzogna. In tali condizioni, le masse giungono «to the point where they would, at the same time, believe everything and nothing, think that everything is possible and that
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nothing is true»380. In sostanza, richiamando quanto si sottolineava sulla falsa necessità che assume valore di verità, sembra sufficiente esse credano nell’assoluta necessità di tutto ciò che viene loro detto, si tratti di qualcosa di vero o di manifestamente falso. Non sono da porre domande, e l’uomo comune nemmeno si arrischia a porle, col timore di infrangere la relativa tranquillità nella quale vive.
Dunque, in linea di principio, il popolo non è un illuso di fronte al Regime e alle sue affermazioni, se non magari all’inizio, quando ancora cerca nel leader del Partito qualcuno che abbia realmente a cuore i suoi interessi; presto, invece, diventa «ready at all times to believe the worst, no matter how absurd, and does not particularly object to being deceived because it holds every statement to be a lie anyhow»381.
Al contrario, «the only group supposed to believe loyally and textually in the Leader’s words are the sympathizers»382, mentre nemmeno dai membri effettivi del Partito è atteso pieno credito alle dichiarazioni pubbliche del capo. In Russia, ad esempio, soltanto i simpatizzanti credono nelle dichiarazioni democratiche di Stalin, là dove i membri del Partito sono ben con- sapevoli del fatto che il leader non alcuna intenzione di fondare una democrazia383.
Da parte loro, questi ultimi sono però convinti della validità delle menzogne ideologiche, che vengono altresì presentate in termini strettamente scientifici, dunque come qualcosa di pro- vato e innegabile. In tal senso, affermazioni di questo genere, costituendo la base giustificativa di politiche come lo sterminio degli Ebrei, dovranno conservare una loro stabilità, pur nei fre- quenti mutamenti d’opinione e d’azione del Regime totalitario384.
Risalendo la scala gerarchica, troviamo poi le formazioni d’élite, che non credono nem- meno alle dichiarazioni di matrice ideologica del leader, consapevoli del fatto che rispondono per lo più all’ansia di verità, «the quest for truth»385, tipica dell’uomo comune. E questa consa- pevolezza non è soltanto l’esito del riconoscimento del carattere fittizio proprio anche delle prove cosiddette scientifiche, ma di qualcosa di più profondo, del fatto che di prove non hanno nemmeno bisogno. Le élite, semplicemente, credono, senza preoccuparsi più di distinguere realtà e finzione. La superiorità dei componenti delle loro fila,
consists in their ability immediately to dissolve every statement of fact into a declaration of pur- pose. In distinction to the mass membership which, for instance, needs some demonstration of the
380 OT, cit., p. 382.
381 Ibidem [passo modificato]. 382 Ivi, p. 383.
383 Cfr. ibidem. 384 Cfr. ivi, p. 384. 385 Ibidem.
117 inferiority of the Jewish race before it can safely be asked to kill Jews, the élite formations under- stand that the statement “all Jews are inferior” means “all Jews should be killed”386.
È come se l’élite non facesse distinzione tra fatti e valori, tra l’is e l’ought, per richiamare l’opposizione humeana, ma quello che in Hume è esposto in forma di critica387, come un inde-
bito passaggio tra piani diversi non connessi l’un l’altro, è ciò che di meglio il leader totalitario può attendersi dai propri sottoposti. In tal senso, affermazioni come “gli Ebrei sono inferiori” o “solo a Mosca c’è una metropolitana”388 sono immediatamente tradotte in propositi da realiz-
zare, si tratti dello sterminio del popolo ebraico o della distruzione di tutte le linee della metro- politana al di fuori di Mosca. «Without the élite and its artificially induced inability to under- stand facts as facts, to distinguish between truth and falsehood, the movement could never move in the direction of realizing its fiction»389, ed è questo il motivo per cui un’élite fedele è ciò di cui, maggiormente, il leader totalitario necessita.
Infine, al vertice della piramide, troviamo accanto al capo del Partito quanti possono van- tare un rapporto intimo con lui. Costoro non riconoscono nemmeno l’importanza degli elementi ideologici, che concepiscono invece come «mere devices to organize the masses»390, che pos- sono essere cambiati al momento opportuno. Così – e non si tratta di una banalità – l’antisemi- tismo ha motivo di esistere fin tanto che ci sono degli Ebrei, mentre perde qualsiasi utilità con il loro definitivo annientamento. In sostanza, è proprio la libertà più assoluta, compresa «this freedom from the content of their own ideologies, which characterizes the highest rank of the totalitarian hierarchy»391.
Per concludere, ribadisco che l’organizzazione gerarchica del governo totalitario è fon- damentale alla sua sopravvivenza e prosperità, dato che – come si è già visto – ogni gruppo contribuisce alla dinamicità interna del Regime e svolge una funzione di mediazione nei con- fronti degli altri gruppi e del mondo esterno. Così,
386 Ivi, p. 385.
387 Cfr. D. Hume, Treatise, p. 928: «In every system of morality, which I have hitherto met with, I have always
remark’d, that the author proceeds for some time in the ordinary way of reasoning, and establishes the being of a God, or makes observations concerning human affairs; when of a sudden I am surpriz’d to find, that instead of the usual copulations of propositions, is, and is not, I meet with no proposition that is not connected with an ought, or an ought not. This change is imperceptible; but is, however, of the last consequence. For as this ought, or ought
not, expresses some new relation or affirmation, ‘tis necessary that it shou’d be observ’d and explain’d; and at the
same time that a reason should be given, for what seems altogether inconceivable, how this new relation can be a deduction from others, which are entirely different from it».
388 Cfr. OT, p. 385. 389 Ibidem. 390 Ibidem. 391 Ivi, p. 387.
118 the gullibility of sympathizers makes lies credible to the outside world, while at the same time the graduated cynicism of membership and élite formations eliminates the danger that the Leader will ever be forced by the weight of his own propaganda to make good his own statements and feigned respectability392.
Questa complessa organizzazione interna, perciò, rappresenta una segreta e potente arma a disposizione del Regime, che finisce per risultare agli occhi del mondo esterno molto più debole di quanto non lo sia realmente. Le potenze straniere, infatti, credono che le menzogne su cui il Totalitarismo si fonda o l’eccessiva fiducia nelle parole del leader debbano presto condurre entrambi alla rovina. Tuttavia, «the totalitarian system, unfortunately, is foolproof against such normal consequences; its ingeniousness rests precisely on the elimination of that reality which either unmasks the liar or forces him to live up to his pretense»393.
392 Ivi, p. 384.
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CAPITOLO QUARTO
Disumanizzazione del soggetto totalitario
It seemed as if I had become convinced that these horrible and degrading experiences somehow did not happen to “me” as a subject but to
“me” as an object.
Bruno Bettelheim, psicoanalista, deportato a Buchenwald e Dachau394
Of course, one had no conception of what “extermination camp” really meant. I mean, it was beyond – not just experience, but imagination, wasn’t it?
Franciszek Zabecki, controllore del traffico alla stazione di Treblinka395
Nel presente capitolo riprenderemo temi affrontati in precedenza, vedendo ora nel con- creto in che modo il Totalitarismo miri a realizzare un effettivo mutamento dell’essenza stessa degli uomini396. Ci chiederemo se esso riesca nel suo intento e arrivi realmente a rendere l’uomo altro da sé, disumanizzato e de-soggettivato. E qualora ciò fosse possibile, potremmo allora parlare ancora di uomo, là dove gli attributi tipicamente umani sono perduti? dove gli individui non sono più trattati da soggetti, ma come oggetti inutili, o al massimo utili per un arco di tempo limitato? dove non esiste nemmeno più una distinzione netta tra innocente e colpevole, tra vit- tima e carnefice?
Già nel primo capitolo, illustrando i caratteri specifici del Totalitarismo, si è dedicata una parte importante a trattare del soggetto totalitario. Il Regime aspira alla – e insieme necessita della – piena sottomissione dell’uomo, che è funzionale alla sua organizzazione, così come alla sua sopravvivenza, sopravvivenza che richiede continuamente masse di individui pronte per essere sacrificate. Tale sottomissione si compie nei campi di concentramento e di sterminio, che possiamo considerare l’emblema del conseguimento del dominio totale sull’uomo, «labo- ratories in which the fundamental belief of totalitarianism that everything is possible is being verified»397. D’altra parte, essi rappresentano anche l’estrema concretizzazione della politica
394 AA.VV., Nazi Conspiracy and Aggression, vol. VII, cit., p. 824. 395 ITD, cit., p. 164.
396 Cfr. OT, p. 346.
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del terrore, che – come si è visto – non viene meno con la conquista del potere, ma si esprime pienamente, quale essenza del Totalitarismo, proprio quando il leader ha consolidato il potere. È allora, infatti, che i cittadini sono tra loro più divisi che mai, accomunati solo dal timore e dal sospetto reciproco, e che l’ideologia può trovare applicazione anche nei suoi aspetti più crudi. L’indottrinamento ideologico, quando efficace, trasforma gran parte dei cittadini in complici del Regime, funzionari la cui fedeltà è messa alla prova altresì nei campi di concentramento, dove si scopre fino a che punto il pensiero totalitario è riuscito a far breccia nella mente dell’uomo398.
In sintesi, se il terrore è l’essenza del Totalitarismo, «“dwelling on horrors” would seem to be indispensable for [its] understanding»399 e sarà necessario confrontarsi con la realtà dei campi di concentramento e di sterminio, che sono «the true central institution of totalitarian organizational power»400. La loro esistenza, e specie quella dei campi di sterminio, è – nei limiti del possibile – tenuta nascosta, e questo è ben comprensibile, se si pensa a quanto sarebbe po- tuto succedere qualora fosse divenuto di pubblico dominio ciò che accadeva al loro interno. E tuttavia, direi che la segretezza che circonda questa istituzione è indicativa anche del modo stesso in cui viene concepita dal governo totalitario, come qualcosa di radicalmente altro, di definitivamente separato dal mondo dei vivi401. Il soggetto internato è già morto: si deve solo procedere a far sì che non sia nemmeno mai esistito, ma sulla sua morte non c’è da discutere. Perciò, possiamo affermare che «the insane mass manufacture of corpses is preceded by the historically and politically intelligible preparation of living corpses»402.
A questo punto, sorgono altre questioni, cui cercherò di rispondere pur sapendo che, in molti casi, le nostre domande sono destinate a restare senza alcuna risposta soddisfacente. Di fronte a eventi particolari, che non possono non chiamare in causa l’uomo e spingerlo a inter- rogarsi, l’ultima parola, la parola migliore è forse il silenzio; ma il silenzio non deve essere la prima parola. Il silenzio rappresenta il punto di arrivo del percorso che il singolo, dinanzi alla realtà dei campi di concentramento, compie, non il punto di partenza. Non è semplicemente il
398 Cfr. ivi, p. 438.
399 Ivi, p. 441. 400 Ivi, p. 438.
401 Della segretezza come cifra fondamentale del sistema e dell’agire totalitario, già si è detto nel capitolo
precedente, ma possiamo ora aggiungere che essa costituisce un ulteriore elemento di distinzione tra il Totalitari- smo e il semplice dispotismo. Infatti, «i regimi dispotici, che si sono succeduti nella storia, hanno esibito i loro crimini; con l’effetto prodotto dalla messa in scena del terrore si ripromettevano la sottomissione. I romani croci- figgevano sulla via Appia gli schiavi che si erano ribellati seguendo Spartaco. I mongoli elevavano macabre pira- midi di teste tagliate ai nemici. E come dimenticare i roghi dell’Inquisizione […]?». Cfr. Donatella Di Cesare, Se
Auschwitz è nulla. Contro il negazionismo, Il melangolo, Genova 2012, p. 15.
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silenzio che nasce dal “non sapere che dire”, dal “non sapere che fare”, dal fatto che “ciò che è stato è stato”, bensì si tratta di un silenzio che nasce dall’aver guardato in faccia e assunto consapevolmente il male imperante nel Regime totalitario. Troppe volte l’uomo si condanna al mutismo senza affrontare la realtà, trincerandosi dietro la propria debolezza, dietro la propria pochezza di fronte alla grandezza del mondo, ma questo non è da chi sa assumere su di sé la propria storia e fare i conti con quella degli altri. È piuttosto da egoisti, e conduce a esiti che già abbiamo visto all’opera nel Totalitarismo e – in ultima analisi – al Negazionismo403.
Dunque, il leader totalitario pretende sia mantenuto separato il mondo dei vivi da quello dei morti, lo spazio del cittadino da quello dell’internato, che non è più cittadino e forse nem- meno soggetto. Tuttavia, è a tal punto marcata la distinzione tra vivi e morti? L’anziano tedesco che vive a Berlino è davvero vivo? O il giovane tedesco che ha risposto alla chiamata alle armi, seguito una carriera di tutto rispetto, ricoperto posizioni che – prima del 1933 – non aveva neppure pensato di sognare, e ora si trova a gestire un campo di concentramento in Polonia: è realmente vivo? realmente libero? Certo – risponderebbe lui, e risponderemmo noi se identifi- cassimo la libertà con l’assenza di filo spinato o di pareti divisorie, ma la libertà non si riduce a qualcosa di fisico e materiale, a una condizione esteriore. Questo sarebbe un senso solo limi- tato e debole di libertà, mentre c’è una libertà più vera e più profonda, che nemmeno le catene della prigione e le atrocità del campo di concentramento riescono a vincere; forse a sconfiggere in battaglia – questo è innegabile – ma non ad annientare definitivamente.
Ancora – ci domandiamo con Hannah Arendt – «what meaning has the concept of murder when we are confronted with the mass production of corpses»404? Quale il suo senso se – per quanto in una maniera sui generis – spesso il carnefice finisce per essere la vittima, e la vittima si trova a ricoprire il ruolo di carnefice?
Vedremo perciò, nel prosieguo, come la pretesa da parte del Totalitarismo di forgiare un’umanità nuova sia di fatto eccessiva e – storicamente parlando – senza successo. L’insuc- cesso, però, è tale solo se guardiamo al piano complessivo, là dove invece i governi totalitari hanno conseguito molti risultati parziali positivi, almeno secondo le loro categorie. Gli Stati nazista e comunista provocano mutamenti reali nei cittadini e cambiamenti talvolta estremi nei
403 A proposito del silenzio di fronte a grandi tragedie come la Shoah, si veda ad esempio Donatella Di Cesare,
Heidegger e gli ebrei. I “Quaderni neri”, Bollati Boringhieri, Torino 2014, cap. IV, § 2. Qui si fa riferimento in
particolare al silenzio di Heidegger, ma anche alla difficoltà generale di poeti e scrittori a trovare le parole adatte per parlare di quanto accaduto.
404 OT, cit., p. 441. Cfr. anche D. Di Cesare, Heidegger e gli ebrei, p. 248: «Sei milioni per noi rimane una
cifra, mentre se si parla di dieci assassinati forse in noi riecheggia qualcosa, e un solo assassinato ci riempie di orrore. Perché la responsabilità ha a che fare anche con l’immaginazione».
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prigionieri dei campi di concentramento e di sterminio, segno che le profezie di un tempo sba- gliavano nel supporre che «there was such a thing as one human nature established for all time, to identify this human nature with history, and thus to declare that the idea of total domination was not only inhuman but also unrealistic»405. Questo almeno – e non è poco, visto il modo in cui Hitler e Stalin sono stati per anni sottovaluti dalle altre potenze mondiali – ci insegna il Totalitarismo, che la natura umana non è qualcosa di definito per sempre e di immodificabile, e che il potere dell’uomo non deve mai essere sottovalutato e considerato al suo apice.