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Ai commenti del Gastaldi Millelire e del Prunas Tola, A-

Nel documento A lonely Man (pagine 160-163)

tzeni unisce i suoi, alle volte aspri e risentiti, altre ironici, talora scherzosi e divertiti: sempre, comunque, mossi dal bisogno ra- zionale di analizzare quel che è stato scritto da autori che, evi- dentemente contavano su una sorta di impunità, come se nessu- no avesse mai dovuto chiedersi per davvero di che cosa diamine stessero parlando.

Un tale William Henry Smith184

, ufficiale inglese che compì rilievi geodetici in Sardegna negli anni 1823-1824 ed elaborò una celebre carta nautica dell’isola, pubblicò poi a Londra, nel 1828, un volume dal titolo Sketch of the present state of the island of Sardinia185. L’opera, non priva di informazioni interessanti,

184

Atzeni trova nelle pagine di Smith una ricca elencazione di cibi: “È il viaggiato- re che con più attenzione osserva questo aspetto della realtà; forse era un buongu- staio, o un mangione, o forse soltanto un uomo animato da una visione della vita in qualche modo concreta (o, se preferite, materialista) che l’ha spinto non solo ad occuparsi del cibo, ma anche a disegnare una carta nautica delle coste della Sarde- gna, per il suo Ammiragliato, che fu più tardi molto utile ad Alberto Ferrero Della Marmora, cartografo e scrittore” (Caccia, pesca e cucina, par. I). Per ulteriori in- formazioni sulle attività professionali di W. H. Smith, cfr. A. ASSORGIA, Alberto

Lamarmora e il progresso delle conoscenze geologiche e minerarie in Sardegna nell’Ottocento, Cagliari, Cuec, 1998 (in particolare alle pp. 164, 172, 173).

185

“Privo di qualità letterarie, il libro, molto obiettivo, si divide in quattro parti dedicate alla storia politica, ai prodotti, alle risorse, agli abitanti, alle coste e com- prende un’appendice ricca di note statistiche, di prezzi dei mercati, di ragguagli

Sergio Atzeni: a lonely man 161

scade, in qualche caso, a mero repertorio di banalità generiche, simili a quelle che ogni viaggiatore frettoloso riporta da una qualunque parte del mondo e che propina ai suoi interlocutori, vere o false che siano. W. H. Smith, per parte sua, dichiara con tono serissimo: “I Sardi non amano che si chieda loro l’età e di rado danno una risposta diretta a domande di carattere perso- nale, costume che prevale ancora tra i Mori e gli Arabi della Barbaria”186. Dal 1828 al 1988 nessuno gli ha mai chiesto conto di questa e di simili affermazioni. Poi arriva Sergio Atzeni, che da un canto è un loico, dall’altro un impertinente che non perdo- na niente a nessuno, e scrive: “Gli Inglés, come William Henry Smith, invece, amavano che gli si chiedesse l’età e andavano fe- stosi cantando «chiedimi l’età», e la dicevano anche a un signore che non l’aveva chiesta e che se avesse potuto si sarebbe infor- mato piuttosto sulla strada più breve per arrivare a una Street o a un Palace. A domanda diretta di carattere personale, rivolta loro magari da un Sardo e da un Arabo, gli Inglés rispondevano. «Dimmi qual è il rapporto che ti lega alla donna che cammina al tuo fianco, Inglés». «È la mia amante, Signore, e non le dico i giochini di stanotte, e quelli di ieri, nella Farm, con le gonne sollevate. Non dico se non chiede, naturalmente. A domanda diretta rispondo»” (Superstizioni, par. I).

È uno sberleffo che ha tutta la forza derisoria dei mondi post- coloniali decisi a saldare i conti con chi, in passato, poteva per- mettersi atteggiamenti di superiorità che ora non sono ammissi- bili187. Difatti Atzeni prima affronta Smith da pari a pari (quan-

sulle monete, sui pesi, sulle misure e di dati ittiologici. Molto vive sono le pagine sugli usi e costumi, sulle superstizioni, la cui sopravvivenza da buon protestante ritiene dovuta alla Chiesa di Roma” (A. BOSCOLO, op. cit., p. 16).

186

W. H. SMITH, Impressioni e curiosità, in A. BOSCOLO, op. cit., p. 86. 187

Lo stesso epiteto, Inglés, rimanda a tale contesto. Forse, specificatamente, al film Queimada di Gillo Pontecorvo (che Atzeni ben conosceva), alla sfida tra Josè Dolores e William Walker, l’Inglés, protagonisti di una paradigmatica storia di sfruttamento coloniale e costruzione della coscienza etnica. Ma non è da escludere

do il viaggiatore sostiene che i nativi di alcuni villaggi della Bar- bagia, Ogliastra e Monte Acuto “provano ancora un terrore del tuono e dei lampi come manifestazione dell’ira divina” gli ri- batte: “Gli Inglés, invece, chiacchieravano coi fantasmi nel Cas- tle, belli e tranquilli. Se c’è una cosa che manca del tutto, nel ca- rattere Inglés, è il terrore delle notti di temporale, o i tuoni e i fulmini mandati dal demonio... riservati a pochi poeti sepolcrali, rabbini di Praga e Sardi”) e poi, conclusivamente, colpisce i pre- supposti culturali dei suoi atteggiamenti: “Si potrebbe anche os- servare, in Smith, una certa presunzione Inglés. Una presunzione di superiorità. Guarda dall’alto in basso, come colui che crede falsi soltanto i fantasmi degli altri, gli dei degli altri, i miracoli degli altri” (Superstizioni, par. I)188

.

Così, via via, puntigliosamente senza lasciarne passare una, non la panzana della frutta raccontata dal Fuos189

; non il pedante ma incompleto elenco di pesci di Antonio Bresciani190

; non,

che giochi un suo ruolo anche il ricordo di Robert Jordan, l’Inglés di Per chi suona

la campana.

188

Senza nessuna intonazione polemica ma con il tono dello studioso che rileva un dato ricorrente nei testi dei quali si occupa, l’anglista Miryam Cabiddu propone un’analoga osservazione: “Molte volte come si vedrà, si è ad un passo dall’espressione di sentimenti razzistici. Il viaggiatore britannico vuole sempre apparire ai propri occhi ed a quelli del lettore, l’esponente di una società superiore. Questo atteggia- mento aveva avuto d’altronde in Inghilterra manifestazioni copiose anche nei se- coli precedenti. Il concetto fondamentale che spesso i viaggiatori tenevano ad esprimere era che ciò che non era britannico era grottesco. Non si può fare a me- no di notare nella maggior parte di loro una totale estraneità e distacco dalla vita che si svolgeva nei paesi visitati” (M. CABIDDU, op. cit., pp. 44-45).

189

“Anche quella specie di dibattito internazionale sulle condizioni agricole della Sardegna, che impegna tutti i visitatori stranieri, non risparmia affermazioni buffe. Il solito Joseph Fuos, per esempio, sostiene che il gusto della frutta sarda sarebbe peg- giore di quello della frutta tedesca. O, più esattamente e con le sue stesse parole, «la frutta di qui non è di gusto così buono come in Allemagna»” (Flora, par. II). 190

“Gli mancava un catalogo che comprendesse mumungioni, sardina, gorbagliu,

giarrettu, menduledda, sparedda, palaria, arrocali, carina, maccioni, pappagocciula, cambara e chissà quanti altri” (Fauna, par. I).

Sergio Atzeni: a lonely man 163

dello stesso Bresciani, la descrizione dei “cavallucci piccoletti” da cui il re Carlo Alberto fa trainare il “picciol cocchio” del figlio Umberto e quando questi passa, con tale equipaggio, per le vie di Torino, “il popolo plaude e saluta”191; non la sentenza di un autore anonimo che dice il sardo “pigro, superbo e vendicativo”, unicamente mosso dalla lussuria192; non la convinzione del tede- sco Von Maltzan che il sardo non sia tanto pacifico quanto pre- tende di essere:193.

Nel documento A lonely Man (pagine 160-163)

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