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Dopo un lungo apprendistato durante il quale aveva spe-

Nel documento A lonely Man (pagine 73-77)

rimentato diverse forme di scrittura -da quella giornalistica a quella teatrale, dalla fiaba al racconto- Sergio Atzeni era appro- dato al romanzo con l’Apologo del giudice bandito e con Il figlio di Bakunìn. Due prove segnate dalla tensione di una ricerca stili- stica che si misura con la complessità di costruzioni narrative

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ivi, p. 419. 79

non lineari, con un processo di scarnificazione del linguaggio da un lato ridotto alle sue dimensioni essenziali, dall’altro arricchito con neologismi attinti dal parlato e, particolarmente, da un par- lato di connotazione regionale, sardo e cagliaritano.

I temi, le situazioni e i personaggi, in coerenza con una poe- tica più volte ribadita, provenivano dalla storia e dalla cronaca della propria terra: al narratore il compito di aggiungere un pa- ziente esercizio di scrittura che si affina nel confronto con la più alta tradizione letteraria. Così, ad esempio, se per l’Apologo del giudice bandito era stato possibile parlare di un modulo in cui risuonano gli echi fantastici della letteratura sudamericana, per l’architettura delle umili vicende in cui è impegnato Tullio Saba ne Il figlio di Bakunìn i rimandi vanno verso Mentre morivo di Faulkner e La fine di Horn di Cristoph Hein: nell’un caso e nell’altro, comunque, l’orizzonte degli accadimenti è intera- mente sardo.

Il quinto passo è l’addio segna, sotto un certo profilo, una svolta importante. Non che la terra d’origine venga ripudiata, tutt’altro: è che questa volta viene introdotta un’angolatura vi- suale che agisce da filtro, rende inevitabile e necessario, organico al racconto, il confronto interno-esterno. Per ottenere tale risul- tato è sufficiente collocare il protagonista non più sulla terra nella quale ha “amato, sofferto e fatto il buffone”80, ma poco più in là, sul ponte di una nave che si allontana dal porto mentre lo sguardo e la mente del viaggiatore sgranano la sequenza delle immagini e dei ricordi: la città amata e perduta, gli episodi della vita, l’una e gli altri strettamente intrecciati in un itinerario di formazione che necessariamente si conclude col fallimento.

Un cambio prospettico capace di generare immagini dense di significato: la fuga non è da un luogo verso un altrove possibile ma da un tempo per il quale è impossibile trovare alternative. “La mitezza non incute rispetto né suscita vero compatimen-

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Sergio Atzeni: a lonely man 75

to”81

: nella terra di Ruggero Gunale come in ogni altro posto. Così accade che l’irrinunciabile Sardegna, senza perdere il ruolo centrale che la narrativa di Atzeni le assegna, acquisti valore em- blematico per rappresentare una qualunque parte dell’Italia e del mondo in cui domina la forza e la diversità non ha diritto d’esistere. E “gli sbandati”, “i fuori dal mondo”, i “pazzi”, quelli che hanno “tentato di cambiare il mondo” senza sapere “che lo schifo ha costruito in millenni strutture solidissime di resisten- za”82, non solo sono condannati all’esilio di “un viaggio illimi- tato” ma finiscono col perdere la parola.

Tale perdita viene espressa nella frantumazione del testo che si articola in blocchi di dimensione ineguale, alle volte brevissi- mi, una frase, una parola, un’immagine che colpisce il lettore e gli chiede di esercitare un ruolo attivo, di saper ricollegare l’insieme delle immagini nella generale sintassi del romanzo.

Una scrittura non semplice, quella di Atzeni, che tale si pre- senta fin dal livello lessicale. Prosegue in questo romanzo, e tro- va nuove soluzioni -in parte provvisorie, se altri esiti verranno raggiunti nel successivo Passavamo sulla terra leggeri, e altri anco- ra in Bellas mariposas- una volontà sperimentale che si era ma- nifestata già nell’Apologo del giudice bandito e ne Il figlio di Ba- kunìn. Atzeni è convinto che la “mescolanza” e la “contami- nazione” delle lingue producano arricchimento, che la ricchezza linguistica sia un bene prezioso verso il quale lo scrittore deve tendere: “quando cerco una parola che abbia un suono diverso, che porti anche una specificazione più precisa, uso il sardo. Cre- do che questo sia il contributo che ogni etnia regionale dovrebbe portare”83. Tra i nomi di quanti hanno utilizzato “con merito artistico” le parlate locali ricorda, tra gli italiani, Carlo Emilio Gadda e, tra i francesi, Patrick Chamoiseau. Avrebbe potuto ag-

81 ivi, p. 8. 82

ivi, pp. 204-205. 83

giungere Andrea Camilleri, del quale aveva letto i romanzi pub- blicati fino al 1995, comprendendone gli intendimenti e giudi- cando positivamente i risultati narrativi.

Del cagliaritano di cui in modi vari si serve dice che è un “idioma straordinariamente ricco, adatto all’insulto, all’invettiva, al racconto buffo”84. Soprattutto lo apprezza perché in esso si condensa una lunga storia, molto spesso dolente, di guerre, di lutti, di dominazioni, ma anche di rapporti fra gli uomini, di in- contri che hanno prodotto come risultato linguistico, “un mi- scuglio di campidanese, logudorese, castigliano, italiano e persi- no siciliano e napoletano giunti di galera”85.

L’ipotesi di una lingua pura, mondata dalle incrostazioni se- dimentate nei secoli, non può attirarlo perché in contrasto con la sua concezione di eventi che, sommandosi, determinano il ca- rattere dei popoli, la loro fisionomia individuale, il tratto che li distingue l’uno dall’altro.

Ecco, allora, che Il quinto passo è l’addio può esser letto come il romanzo non di una gioventù moderna e disadattata, ma della di- versità di chi, sapendo di venire da una lunga storia di sopraffa- zione e violenza rifiuta gli attuali modi nei quali si manifesta l’antica prevaricazione del potere. Ruggero Gunale, nato in un luogo “battuto da tutti i venti, abitato da tutti i profumi e fetori e da ogni genere d’ingegno e vizio e da qualche virtù, come ovun- que siano uomini”86, diviene il campione di un’umanità che resi- ste, che tenacemente afferma il diritto ad esistere, che della “mitezza” si fa scudo per difendere la propria individualità, sociale, psicologica e linguistica, rispetto a ogni tentativo di omologazione.

Ancora una volta, sotto questo profilo, un apologo che, senza tradire la realtà da cui nasce, sa parlare un linguaggio compren- sibile in ogni parte del mondo.

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ivi, p. 37. 85

Con i khmer rossi in Pelikan Straße, cit., p. 12.

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III

D a l g i o r n a l i s m o a l l a n a r r a t i v a

Nel documento A lonely Man (pagine 73-77)

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