un’interruzione: riprenderà nel 1971 con due articoli pubblicati su “L’Unità” e poi, stabilmente, dal 1974.
Il nostro cronista ha, a questo punto, ventidue anni, una car- riera universitaria avviata, una militanza politica nella FGCI e nel PCI e un gran desiderio di trovare sbocchi alla passione per la scrittura. A Cagliari, la città dove vive, ha sede la redazione de “L’Unità”, il quotidiano dedica ampio spazio alla Sardegna (per lungo tempo anche un’intera pagina) ed ha quindi necessità di collaboratori che affianchino il responsabile della redazione, il giornalista Giuseppe Podda.
Sono le condizioni, per così dire naturali, che favoriscono l’inserimento di Atzeni e la sua affermazione nel mondo giorna- listico. D’altra parte quella redazione è stata, per tutti gli anni Settanta e per i primi anni Ottanta, un laboratorio nel quale hanno compiuto il loro apprendistato non pochi giovani attratti dal lavoro pubblicistico cui sono rimasti, negli anni successivi, legati a vario titolo. Vi si respirava uno strano clima di libertà espressiva condizionata soltanto, e non è poco, dalla durezza delle contrapposizioni politiche (ma quale stagione della storia d’Italia non è stata caratterizzata da nette contrapposizioni poli- tiche?) che impediva, alle volte, la sottigliezza del ragionamento, non di rado imponeva il ricorrere delle formule rituali e, di con- seguenza, limitava in parte la volontà di quanti avrebbero voluto cimentarsi nella ricerca di più elevate espressioni stilistiche.
Se tali erano i limiti di quell’esperienza, bisogna anche dire che essa rappresentava una delle poche possibilità in un mondo isolano altrimenti avaro di occasioni di scrittura e di contatti con l’esterno. Non a caso anche i più insofferenti alla disciplina, e Atzeni era fra questi -meno disposto a sopportare l’intervento redazionale sui suoi pezzi, i tagli e le interpolazioni, se ancora in tempi recenti ne parlava con rammarico-, continuarono per lun- ghi anni in un’attività, generosa e disinteressata, che trovava giu- stificazione nella passione politica e nell’amore per il giornali- smo.
Con “L’Unità” Atzeni collabora assiduamente fino al 1980, cimentandosi praticamente in tutti i settori del lavoro redazio- nale, dalla cronaca all’inchiesta, dal fondo politico al corsivo, esprimendo un’attenzione non circoscritta a un singolo tema ma anche un’evidente maturazione di interesse nei confronti delle problematiche culturali. Come, d’altra parte, si contempla in ogni buon apprendistato giornalistico, un giovane cronista non può non misurarsi con la cronaca, a partire dagli avvenimenti cittadini e, specie in un giornale quale “L’Unità”, con i fatti po- litici e sindacali, con le agitazioni popolari e la vita delle sezioni di partito, con le indagini sui diversi aspetti dei quartieri, so- prattutto quelli popolari e del centro storico. Comincia così a manifestarsi un interesse nei confronti di un mondo proletario vario e difficile da interpretare, ad esempio quello che popola il quartiere cagliaritano di Is Mirrionis: il giovane Atzeni ne è at- tratto e da questo interesse derivano non pochi pezzi inizial- mente condizionati dai limiti di un approccio che, a guardare con gli occhi di oggi, può anche apparire schematico, ma costi- tuisce l’incunabolo di molte pagine narrative composte negli an- ni seguenti.
Epperò, come detto, è anche possibile osservare il manifestar- si di interessi più definiti, l’esprimersi di una specializzazione nel giornalismo culturale. Atzeni segue puntualmente l’attività tea-
Sergio Atzeni: a lonely man 81
trale e musicale in una stagione di particolare fervore e di con- fronto fra quanto si elabora in Sardegna (con particolare atten- zione al recupero di valori tradizionali) e quanto le compagnie teatrali o i gruppi musicali in tournée propongono del repertorio nazionale e internazionale. Occorre dire che, a dispetto della cronica mancanza di spazi dedicati all’attività spettacolare e dei non sempre felici indirizzi politici in materia, la Sardegna vive anni di notevole fervore, con una ricca sequenza di iniziative che il cronista descrive e commenta. Ma l’aspetto più vitale di quel periodo è soprattutto rappresentato dal tentativo di definire, in termini moderni, la peculiare identità culturale dei sardi, come si è formata nel corso di una vicenda storica che comincia ad essere conosciuta anche al di là degli ambiti specialisti e con strumenti linguistici (le diverse varietà del sardo) e di espressione artistica (tanto tradizionale quanto culta) che sembrano meritevoli di re- cupero. Il problema centrale è rappresentato dal quesito riguar- dante le prospettive di quel recupero: se debbano essere mera- mente descrittive e di tipo archeologico, o se invece non debbano dar luogo, nel necessario confronto con la modernità, a nuove forme espressive proprie ma non chiuse, non ripetitive, piuttosto capaci di innovare secondo stilemi che siano rispettosi della tra- dizione e insieme sperimentali. Di grande interesse è il lavoro che, sotto questo profilo, viene compiuto nel campo musicale, soprattutto per opere di gruppi giovanili che conoscono la musi- ca tradizionale e popolare non solo sarda (grande seguito ha, per citare un solo esempio, la musica bretone e la rivisitazione che ne fa Alan Stivell) ma non possono non percepire come conge- niali le espressioni del rock o del sinfonismo contemporaneo. A questa temperie Atzeni partecipa attivamente, e la rappresenta in numerosi articoli che formano un tutt’uno coerente con gli altri articoli (minori per numero, in corrispondenza con le caratteri- stiche del giornale su cui scrive) dedicati alle recensioni librarie o a tematiche quali quelle linguistiche specificatamente riferite al
rapporto tra il sardo e l’italiano. Sotto questo profilo merita di essere citata una garbata polemica che Atzeni svolse, nel 1980, con Tonino Mario Rubattu, traduttore dell’Odissea in un logu- dorese classico. La scelta della lingua alta, proposta, per giunta, come rappresentativa dell’intera Sardegna e non solo di un’area delimitata, non convince l’estensore dell’articolo che argomenta: “Viviamo in una città che, volente o nolente, è buona parte di Sardegna e nella quale una forma di italiano regionale ha quasi completamente soppiantato l’uso della lingua sarda”88.
È la prima volta che compare un concetto sul quale si eserci- terà a lungo la riflessione del futuro scrittore, che darà luogo ad interessanti esiti narrativi e che verrà ribadito, come vedremo, nel corso degli anni avvenire: contro ogni atteggiamento puristi- co o normativo, d’ora in avanti Atzeni, con crescente sicurezza, si esprimerà a favore di un meticciato linguistico, mostrerà di trova- re “affascinante” il misturo di lingue che caratterizza la parlata cagliaritana.