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Le critiche e la diffusione del sistema monistico a livello interno e internazionale: il caso delle società bancarie

2. Le ragioni dell’insuccesso in Italia.

La scarsa diffusione in Italia dei modelli alternativi di amministrazione e controllo è imputabile ad una molteplicità di fattori344 (oltre quelli precedentemente trattati).

341 G.D.MOSCO S.LOPREIATO, Brevi note su opportunità e limiti attuali del sistema monistico, in Analisi giuridica dell’economia, 1, 2016.

342 Cfr. S.FORTUNATO, op. cit., p. 311.

343 Per il rilievo che i vari sistemi di amministrazione e controllo si sono affermati in base agli assetti proprietari di ciascun paese: in A.M.FLECKBER – K.J HOPT, Comparative Corporate Governance, A Functional and International Analysis, in Cambridge University Press, 2013, p. 22 e S. BRUNO, Efficienza e modelli di amministrazione e controllo, in Riv. dir. comm., I, 2004, p. 256. Inoltre, in relazione al funzionamento del board delle società degli Stati Uniti, si v. C. MOSCA, op. cit., cit. p. 745 «L’attività di controllo ‒ che fa del board delle società americane un organo dedicato al monitoraggio più che alla gestione ‒ è dunque esercitata nei confronti dei soggetti ai quali l’amministrazione attività è invece delegata».

125 In primo luogo, una delle cause maggiormente discusse in dottrina è, senza dubbio, la lacuna conoscitiva dei modelli alternativi che deriva dall'assenza di una disciplina normativa autonoma e dalla prevalenza della tecnica del rinvio al sistema tradizionale, sia per ciò che concerne il Codice Civile che per il Codice di Autodisciplina di Borsa Italiana. A questo, si affianca l’atteggiamento di prudenza dell’imprenditore e la sua resistenza culturale nell’accettare e sperimentare nuovi modelli di governance, di origine straniera, che stravolgono la prassi e le regole di governo fino ad ora adottate.

Come rilevato, l’attuale disciplina non del tutto autonoma sui sistemi alternativi di amministrazione e controllo ha implicato difficoltà, per la dottrina e gli imprenditori, nell’assimilazione di questi nuovi sistemi. Ancor di più, perché tale alternatività rischia spesso di indebolirsi data la predominanza del sistema tradizionale, il quale, non solo è un sistema più strutturato e maggiormente regolamentato, ma è ancora il modello “preferito” dalle aziende italiane.

La mancanza di autonome discipline per i modelli alternativi è aggravata dall’eccessivo libertà riconosciuta dalla Riforma all’autonomia privata, il che ha comportato l’introduzione di «infiniti modelli»345 alternativi, minando l’obiettivo

principale di semplificazione della disciplina in tema di governo e controllo societario. Una libertà nella scelta del modello di amministrazione e controllo che è stata, probabilmente, percepita dagli interpreti più “conservatori” come un elemento di disordine che ha condotto la maggior parte delle società (quotate e non) a non abbandonare il modello tradizionale346.

Per di più, sulle ragioni dello scarso ricorso al modello monistico, la dottrina si è ampiamente cimentata.

Le note critiche della naturale vicinanza tra controllori e controllati e l’assenza di una disciplina autonoma sono argomentazioni che, con riguardo alle società quotate, sono destinate ad amplificarsi dati gli ulteriori interventi effettuati

345 Cfr. M. VIETTI, Nuove società, p. 7. Secondo il Codice di Autodisciplina (luglio 2014), «i sistemi alternativi prevedono significativi margini di libertà che consentono all’autonomia statutaria di adattarne le caratteristiche alle specifiche esigenze di governo societario dell’emittente, con la conseguenza che uno stesso modello applicato in modi differenti può presentare, nel caso concreto, caratteristiche eterogenee che rischiano di rendere inefficace la previsione di regole generali ed astratte» (v. Commento art. 1).

126 non solo nel codice civile, ma anche tra quelli contenuti nel TUF e nell’autoregolamentazione.

Sotto il profilo pratico il monistico affronterebbe, infine, una difficoltà ulte- riore e specifica dell’ordinamento italiano. Trattandosi di sistema di amministrazione e controllo tuttora poco utilizzato dai tecnici, la sua adozione sarebbe scoraggiata anche dalla «barriera culturale»347 che è certamente più difficile da superare in un contesto come quello italiano, in cui la molteplicità di fonti della corporate governance rende inaffidabile la scelta di modelli poco conosciuti.

Il sistema monistico è stato colto dagli interpreti del nostro ordinamento come un sistema nel quale «l’eliminazione del collegio sindacale comporta un taglio netto delle tutele per i soci di minoranza e gli investitori». L’Italia non sembra, infatti, essere un paese culturalmente adatto a tale modello che vede controllori e controllati insieme nello stesso board, poiché, le aziende italiane sono solite adottare un collegio sindacale in cui si possono esternalizzare alcuni compiti di monitoraggio e vigilanza, al fine di evitare i contrasti tra componenti degli organi sociali. Il monistico funziona, invece, bene in quei paesi dove controllori e controllati riescono a far emergere e gestire culturalmente la dialettica decisionale, ed è proprio per questo che non si può negare l’impatto delle differenze culturali nazionali nelle definizioni delle strutture aziendali348.

Chiaramente però, l’ondata di discussioni sui controlli interni a livello internazionale ha investito anche il sistema italiano influenzando la percezione del sistema monistico, poiché, se da un lato gli interventi di regolamentazione del dopo-riforma hanno “complicato” il disegno dei controlli societari, dall’altro lato hanno offerto diverse configurazioni delle funzioni di amministrazione e controllo, in grado di garantire maggiore flessibilità e competitività anche al modello italiano. In conclusione, si ravvisa che il problema principale della disciplina societaria italiana sui i tre diversi sistemi di amministrazione e controllo e, in

347 E si tratta di un’obiezione non solo «italiana». V. G.B.PORTALE, La corporate governance delle società bancarie, in Riv. soc., 2016, I, p. 51, il quale ricorda che già negli anni ’20 parte della dottrina tedesca si mostrava scettica dinanzi all’accoglimento del modello (americano) che «non appariva adatto all’ambiente».

127 particolare, in relazione alla possibilità di adottare il modello monistico, si indirizza verso due aspetti349.

Il primo riguarda «l’effettiva equivalenza dei modelli»350, ossia che attraverso il confronto tra la disciplina dei controlli prevista per il modello monistico e quella del modello tradizionale è possibile assicurare adeguati e penetranti controlli. Il secondo aspetto riguarda l’alternatività, nel senso di una reale differenziazione delle funzioni di amministrazione e controllo adattabili alle diverse esigenze delle aziende.

La constatazione dell’esistenza di questi due aspetti su cui la dottrina351 discute è influenzata dal principio per cui la disciplina del codice civile del modello monistico si applica a tutte le società per azioni, senza tener conto delle peculiarità delle società aperte. Da questo deriva che l’analisi in termini di equivalenza e alternatività tra i modelli porta a risultati diversi in riferimento alla disciplina che può essere applicata, nei due casi di esclusività del codice civile, o quella che comprende anche le norme del TUF.

In relazione al caso dell’applicabilità delle sole norme del codice civile, si individua la possibilità di adozione “di base” del modello monistico, pensato per le società di grandi dimensioni, anche alle società chiuse, il che comporta, da una parte, il rischio di «eccessiva onerosità della struttura amministrativa della società»352e, dall’altra, un’apparente scomparsa dei poteri imposti al collegio sindacale.

Pe quanto riguarda, invece, le società quotate a cui si applicano anche le norme del TUF, da una primaria critica osservazione sull’inferiorità dei poteri del comitato, il legislatore ha operato con il d.lgs. 6-2-2004 n. 37353 un arricchimento

349 C.MOSCA, op. cit., p. 740 e ss. 350 ID., op. cit., cit. p. 741.

351 Sul tema che la valutazione basata su questi due aspetti dipenda dalla tecnica legislativa adottata, alcuni si sono espressi criticamente: G. PRESTI E M.RESCIGNO, Corso di diritto commerciale, 2, Bologna, 2005, p. 187; S.FORTUNATO, La struttura organica delle s.p.a tra modello tradizionale e modelli

alternativi, in La riforma del diritto societario, a cura di N. Di Cagno, Bari, 2004, p. 106. 352 ID., op. cit., cit. p. 743.

353 Decreto Legislativo 6 febbraio 2004, n. 37, "Modifiche ed integrazioni ai decreti legislativi numeri 5 e 6 del 17 gennaio 2003, recanti la riforma del diritto societario, nonché al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo n. 385 del 1° settembre 1993, e al testo unico

128 della disciplina in termini di equivalenza del comitato con il collegio sindacale, attraverso innanzitutto il mutamento della denominazione della sezione V del Titolo III del TUF da «collegio sindacale» a «organi di controllo», includendo, dunque, anche il comitato per il controllo sulla gestione (artt. 149, comma 4 ter e 151 ter); il che dovrebbe, in qualche modo, placare le incertezze relative ai due aspetti finora trattati che rappresentano la principale impostazione del problema nell’ordinamento italiano.