• Non ci sono risultati.

Comprendere la realtà del volere: libertà, dignità e bene

Nel documento Lessico della Dignità (pagine 128-132)

Tommaso Allodi

3. Comprendere la realtà del volere: libertà, dignità e bene

La relazione tra dignità e libertà presentata fino a ora ha il limite, sul piano normativo, di non riconoscere che la tesi per cui è bene ciò che è voluto è pro-blematica. Sul piano ontologico, ciò si traduce in un’ancora più problematica concezione del funzionamento della volontà. Infatti, se è vero che entrambe le posizioni finora esposte rivelano qualcosa di come viene esercitata la volontà,

allo stesso tempo mancano di cogliere un aspetto essenziale della relazione tra volontà e libertà ossia: la relazione con il bene. Infatti, è vero che la volontà è condizionata e talvolta è difficile comprendere dove si collochi la libertà del volere. In maniera opposta, è vero che l’essere umano è caratterizzato dalla possibilità di autodeterminarsi e incominciare un nuovo percorso causale che trova nell’atto volitivo il suo inizio.

Tuttavia, in entrambi i casi manca il riconoscimento della strutturale rela-zione tra volontà, libertà e bene. Infatti, rispetto al determinismo è possibile rilevare che l’essere umano è in grado di ‘voler volere’, è in grado cioè di in-tervenire sulle stesse volizioni al fine di cambiarle per riorientare l’agire. Ri-spetto alla tesi per cui l’essenza dell’essere umano consiste nell’autodetermina-zione assoluta, invece, ciò non tiene conto di come la volontà in realtà voglia qualcosa sempre per una ragione. La volontà vuole ciò che vuole sempre per delle ragioni e nel sillogismo pratico l’agente compie un confronto tra diversi corsi d’azione, valutando, prescrivendo e compiendo una vera e propria ricer-ca cirricer-ca il bene da perseguire. In altre parole, non è vero che l’essere umano è libertà assoluta, libertà che si traduce nel rendere normativo ciò che si vuole e che, rispetto ai fini, è normativamente indifferente. Piuttosto la struttura stes-sa del volere e quella dell’agire rimandano a una tensione verso il bene, o al-meno a ciò che è visto come bene, che esprime il vincolo formale e contenuti-stico che l’oggetto della volontà, visto come bene, esercita sulla volontà stessa. In questo senso Aristotele, seguito da Tommaso d’Aquino (Botturi 2010, 6397), mette in luce una relazione tra libertà, dignità e bene in grado di coglie-re le caratteristiche di psicologia morale che intervengono nell’esecuzione di un’azione. In tale ottica, la volontà è una facoltà dell’essere umano che permet-te di iniziare un nuovo corso di eventi, di autodepermet-terminare il proprio movi-mento, ma anche di intervenire sulle proprie volizioni sulla base del riconosci-mento di ciò che è bene.

In tal senso, ritornando all’esempio del guidatore senza casco, la domanda che ci si dovrebbe porre è prima di tutto psicologica e dovrebbe addentrarsi nelle ragioni che spingono il guidatore a comportarsi in quel modo. Lo fa per un rifiuto a priori delle regole imposte da una legge di uno Stato in cui non si riconosce? Guidare senza casco lo fa sentire adrenalinico e gli dà un senso di onnipotenza? Cogliere il perché si compie un’azione permetterebbe di iniziare a comprendere il perché la volontà vuole quello che vuole. In secondo luogo, analizzando l’esperienza personale ci si potrebbe rendere conto facilmente che vi sono molti casi in cui cambiamo idea, interveniamo sulla nostra volontà, sul nostro modo di vedere la realtà, sui nostri desideri e modifichiamo il nostro agire (De Anna 2018, 185). Ciò significa che l’idea di una volontà che è etero-nomamente orientata mal si accorda con ciò che compiamo in realtà, ma anche che non è vero che ciò che vogliamo è sempre degno di essere voluto.

Libertà

La questione della libertà della volontà va quindi intesa nei termini di una libertà di esercizio in cui l’agente è padrone del proprio volere. Allo stesso tempo, l’agente riconosce dei vincoli normativi nella realtà da cui dipende la concezione di bene e di dignità che si forma e che lo porterà ad agire in un certo modo. Lo spazio delle ragioni che un agente è in grado di fornire permet-te a questo punto di specificare in che modo avvenga la relazione tra volontà libera e bene, inteso come criterio di ciò che è degno.

Per Tommaso d’Aquino l’essere umano non può che volere qualcosa visto sotto l’aspetto di bene. Vedere una cosa per l’aspetto di bene che manifesta non è ancora sufficiente per cogliere il bene reale, per quanto evidenzi che la volon-tà libera si orienta verso qualcosa secondo un criterio che ha a che fare con l’oggetto della volontà. Non c’è ‘libertà di indifferenza’ nella scelta. Per questa ragione, cogliere e volere il bene reale è il vero compito che l’agente si propone nell’azione. Comprendere, volere e desiderare di mettersi il casco quando si guida un motorino può essere, per alcuni, particolarmente arduo perché talvol-ta il modo di scaricare la frustrazione o ‘di sentirsi vivi’ sembra passare sola-mente attraverso questo tipo di azione malvagia. Tuttavia, è possibile pensare che retrospettivamente un agente sia in grado di riconoscere come il bene perseguito guidando senza casco sia un bene solo apparente, un bene che in realtà mette a repentaglio un bene maggiore come la propria vita (un bene che di fatto non vorremmo mettere a repentaglio, a meno che non ci proponessimo intenzionalmente il suicidio attraverso l’azione ‘guidare senza casco’). L’agente potrebbe riconoscere, per esempio, che ci sono molti altri modi per scaricare la frustrazione, per ‘sentirsi vivi’, ma anche giungere a conclusioni del tipo ‘devo cambiare la mia vita, perché il lavoro che faccio mi rende troppo nervo-so’. In quest’ottica, quindi, l’individuazione del bene reale è un compito che l’agente cerca di eseguire ogni qualvolta agisce: non è vero, perciò, che un agente reputa degno ciò che vuole per il semplice fatto che lo vuole o perché è stato colto da una voglia improvvisa di guidare senza casco.

La libertà del volere, quindi, non si configura come una libertà indifferente rispetto ai fini, piuttosto è una libertà che si determina sempre in relazione a fini visti come beni. Per questa ragione, la dignità morale è una dignità che si stabilisce in base al bene che viene perseguito e che, quindi, individua un cri-terio che è al di fuori dal semplice volere dell’agente. O meglio: la dignità mo-rale ha a che fare con il volere dell’agente perché il bene deve poter essere vo-luto. Tuttavia, un’azione è degna per il bene che persegue e non viceversa.

In questo modo, anche la dignità in senso ontologico e, in particolare, la dignità che appartiene all’essere umano in quanto tale ha a che fare con il rico-noscimento che vi sono alcuni beni che hanno a che fare con la natura dell’es-sere umano indipendentemente dalla scelta contingente di un agente. Anche, qui, il criterio non risiede nella volontà di un agente, quanto piuttosto nel

rico-noscimento di come la natura umana si sviluppi solo attraverso il perseguimen-to di certi beni che dipendono dal riconoscimenperseguimen-to della natura razionale-voli-tiva dell’essere umano. In questo caso, quindi, l’essere umano non è libertà, quanto piuttosto la libertà del volere è una caratteristica della natura umana che si specifica nel suo orientamento al bene reale.

In conclusione, il percorso fatto sulla libertà e sulla relazione che questo concetto intrattiene con la dignità ci ha permesso di mettere in luce i risvolti ontologici che questo tema solleva. In particolare, libertà e dignità sembrano richiedere sul piano ontologico una più attenta e sempre rinnovata riflessione intorno: alla natura umana, al bene per l’essere umano e alle forme che la na-tura umana può prendere per come viene plasmata dalle culture e dalle condi-zioni esistenziali individuali. Un discorso sulla dignità dell’uomo e sulla sua li-bertà, perciò, se prescinde da un’analisi di questo tipo rischia di mancare un confronto con la realtà dell’agire, cogliendo solo alcuni aspetti che vengono assolutizzati. È vero, infatti, che l’essere umano è padrone del proprio volere, ma tale autodeterminazione non è assoluta. L’orientamento al bene della volon-tà permette di comprendere che gli esseri umani e le azioni non sono buoni perché sono voluti, ma piuttosto perché volontà, intelletto e desiderio sono in grado di riconoscere che l’essere umano ha valore e che vi sono azioni che sono degne e altre no. La libertà è una caratteristica della volontà. L’essere umano, in questo senso, è padrone del proprio volere. Allo stesso tempo, il possesso della volontà non indica una libertà assoluta, quanto una libertà che si esercita nell’orientamento verso (ossia nella tensione a cogliere) il bene reale.

Riferimenti bibliografici

Aristotele, Etica Nicomachea, Natali (a cura di), Milano, 1993. Botturi, Enciclopedia Filosofica, Milano, 2010.

De Anna, Virtue Ethics and Human Nature as a Normative Constraint on Practical Reason, in

Ragion pratica, 2018, 50, 179 ss.

Samek Lodovici, L’emozione del bene, Milano, 2010. Sandel, Giustizia, Il nostro bene comune, Milano, 2010.

Tommaso D’Aquino, La Somma teologica, Perotto (a cura di), Bologna, 1985.

Tommaso D’Aquino, Commento all’Etica Nicomachea, Perotto (a cura di), Bologna, 1995. Turco, Dignità e diritti. Un bivio filosofico-giuridico, Torino, 2017.

Nel medioevo, avendo fatto proprio la Chiesa il principio romanistico

consensus facit nuptias, l’unico elemento essenziale nella formazione del

vincolo era il libero consenso degli sposi; in età moderna, i protestanti imposero invece ad validitatem il consenso genitoriale per i minorenni, la Chiesa, al Concilio di Trento, la presenza del curato e di almeno due testimoni. Volti ad assicurare la certezza del vincolo e la legittimità della prole, nonché un più stretto controllo delle famiglie sui matrimoni dei figli, questi interventi comportarono allo stesso tempo una evidente limitazione della libertà nuziale dei singoli.

In the Middle Ages, making the Church its own the Roman principle

consensus facit nuptias, the only essential element in the formation of the

bond was the free consent of the spouses; in the modern age, Protestants instead imposed parental consent ad validitatem for minors, while at the Council of Trent the Church imposed the presence of the curate and at least two witnesses. Aimed at ensuring the certainty of the bond and the legitimacy of the offspring, as well as a tighter parental control over children’s marriages, these interventions involved at the same time an evident limitation of the nuptial freedom of individuals.

Sommario 1. Libertà nuziale, certezza del vincolo e controllo delle famiglie

tra il medioevo e l’età moderna. | 2. Qualche riflessione sui matrimoni

post tridentini.

1. Libertà nuziale, certezza del vincolo e controllo delle famiglie tra il medioevo

Nel documento Lessico della Dignità (pagine 128-132)