Valeria Filì
3. Quale invecchiamento attivo?
Le misure per la permanenza degli anziani nel mercato del lavoro volte a pro-muovere sul serio l’invecchiamento attivo, devono avere una duplice anima: da un lato, rendere ancora utile e produttiva la prestazione dei lavoratori agé, va-lorizzando i loro punti di forza e minimizzando le debolezze, anche in quei settori in cui l’obsolescenza delle conoscenze è sempre in agguato; dall’altro, consentire comunque una gestione dei tempi e dei modi di lavoro consoni a persone che, traguardata una certa soglia d’età, possono manifestare esigenze mutate rispetto al passato e nuove fragilità.
In ogni caso, una seria programmazione di misure per l’inclusione degli anziani e il loro invecchiamento attivo deve tenere conto dei diffusissimi stere-otipi legati all’età che spesso inibiscono ex ante l’efficacia di certe azioni ovvero condizionano fortemente le scelte dei lavoratori e delle lavoratrici più anziane e delle organizzazioni produttive e lavorative (Toppan 2014, 27).
Anziano/a
Nelle grandi aziende si ragiona ormai di age management, facendosi riferi-mento a quelle azioni che le organizzazioni aziendali pongono in essere per affrontare e gestire il fenomeno dell’invecchiamento della forza lavoro. In que-sto conteque-sto, sempre di più per combattere gli stereotipi e conseguentemente la discriminazione legata all’età (c.d. ageism) si stanno facendo strada strategie di «job envolvement» (Rita 2014, 35) dirette agli over 50, quindi azioni mirate a sostenere il grado di identificazione della persona con il proprio lavoro e ad alimentare l’importanza che ricopre il lavoro nella definizione dell’immagine che una persona ha di sé stessa. Per l’organizzazione, i vantaggi competitivi di una tale strategia possono essere notevoli e impattare sia sulla qualità del lavo-ro sia sulla plavo-roduttività individuale.
Nella categoria delle c.d. misure per l’inclusione vengono fatte rientrare quelle destinate alla flessibilità; quelle rivolte al benessere lavorativo; quelle che riguardano la preservazione del know-how acquisito; e quelle rivolte all’ap-prendimento lungo tutto l’arco della vita lavorativa e all’aggiornamento profes-sionale.
Per quanto concerne le misure destinate alla flessibilità, va in premessa evi-denziato che questa può essere intesa sia come flessibilità di orario sia relativa alle modalità di espletamento della prestazione. Sotto il primo profilo si deve certamente menzionare il contratto di lavoro a tempo parziale (ex artt. 4-12 d.lgs. 81/2015), che consente alla popolazione più anziana di essere ancora pienamente inserita in un contesto lavorativo, pur potendo al contempo gode-re di un maggior ‘tempo di non lavoro’, con conseguenti benefici per la propria salute psico-fisica. Un lavoro a tempo ridotto consente, inoltre, di ipotizzare un prolungamento della permanenza nel mercato del lavoro di persone che, altri-menti, opterebbero per le vie di fuga sopra menzionate. Per funzionare, il tempo parziale dovrebbe però essere economicamente incentivato o sostenuto, altrimenti le connesse ricadute peggiorative sui redditi da lavoro e pensionisti-co ne spensionisti-consigliano spesso l’utilizzo.
La messa in opera di una misura che si pone in questa direzione è stata ef-fettuata dalla legge di stabilità per il 2016 (ex art. 1, co. 284, l. 208/2015, come modificato dall’art. 2-quater, co. 3, d.l. 210/2015, convertito con modificazioni in l. 21/2016; decreto Min. Lav. 7 aprile 2016; circ. INPS n. 90/2016) che ha introdotto il c.d. ‘part-time agevolato’ diretto ai lavoratori dipendenti del set-tore privato, iscritti all’assicurazione generale obbligatoria o alle forme sostitu-tive o esclusive della medesima, che avessero raggiunto il requisito anagrafico per il diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia entro il 31 dicembre 2018, a condizione che avessero già maturato i requisiti minimi contributivi per il diritto al predetto trattamento. L’accesso a tale misura doveva essere autoriz-zato dall’INPS, su domanda del datore di lavoro e previo accordo tra le parti, nei limiti delle risorse stanziate dalla legge.
L’impatto di questa misura, finanziata per gli anni 2016, 2017 e 2018, non è stato, evidentemente, così positivo come si sperava, tanto da non essere ripro-posta. Le imprese non hanno reagito entusiasticamente a una misura che pone-va a loro carico un costo non ritenuto proporzionale rispetto al promesso be-neficio. In altre parole, il fatto di trattenere in servizio molti lavoratori anziani, sostenere degli oneri e dover comunque provvedere anche alla loro parziale sostituzione con manodopera più giovane, non è risultata una politica vincente.
Molte imprese continuano a preferire la vecchia strada dell’incentivo all’e-sodo dei lavoratori, piuttosto che gestire una uscita di scena a tappe progressi-ve. Il punto concerne sempre il valore aggiunto che il lavoratore rappresenta per l’impresa: al lavoratore insostituibile o difficilmente sostituibile saranno create le condizioni più favorevoli pur di tenerlo in servizio, anche solo al fine del trasferimento dei saperi ai più giovani.
Questa constatazione ci porta a ulteriori riflessioni che spingono verso l’ado-zione di altre misure: sia quelle che coniugano l’obiettivo della flessibilità con quello del benessere lavorativo, come l’utilizzo del lavoro in modalità agile (Brollo 2020, 553) e l’approntamento di «accomodamenti ragionevoli» (Garo-falo 2019), sia quelle prevenzionistiche, che in questo caso si traducono nella formazione lungo tutto l’arco della vita e nell’aggiornamento professionale.
Prevenire è meglio che curare, si dice, ebbene questo è valido anche quando si ragiona di inclusione degli anziani nel mercato del lavoro e invecchiamento attivo.
Se quindi il c.d. smart working può costituire un’ottima opportunità di con-ciliazione tra le esigenze lavorative e quelle del benessere personale – proprio in quanto misura di accomodamento ragionevole –, il vero vaccino contro la ‘rottamazione’ dei seniores è rappresentato dalla professionalità che più è ele-vata più costituisce ricchezza per l’azienda e diventa l’elisir di lunga vita per i lavoratori agé considerati, a questo punto, essenziale cinghia di trasmissione del sapere verso le nuove generazioni (Brollo 2019a).
Il c.d. know-how, quindi le competenze, va però costruito nel corso del tempo, tramite una formazione continua e un aggiornamento costante lungo tutto l’arco della vita (Tiraboschi 2019, 93, 195; Brollo 2019b).
Su questo aspetto è importante, e lo sarà sempre di più, un cambio cultura-le che faccia capire che la formazione permanente è uno strumento di vera e propria sopravvivenza (Barabaschi 2018; Paterniti, Pozzi 2007; Garofalo 2005) e non solo quando è legato alle politiche attive, quindi per la ricerca di una nuova occupazione, ma proprio per il mantenimento del posto di lavoro.
In questo risultano strategici i fondi interprofessionali per la formazione continua (cfr. circ. ANPAL 10 aprile 2018), i fondi bilaterali (ex art. 12, co. 4, d.lgs. 276/2003) e l’INAPP (ex ISFOL; cfr. art. 4, co. 1, lett. f), d.lgs. 185/2016; art. 1, co. 1, lett. s), d.lgs. 218/2016), tutti compresi nella Rete dei servizi per le
Anziano/a
politiche del lavoro di cui all’art. 1 del d.lgs. 150/2015, i cui sforzi dovrebbero essere diretti a realizzare il c.d. Upskilling Pathways Initiative di cui alla Racco-mandazione del Consiglio europeo del 19 dicembre 2016 (cfr. anche ANPAL 2018, 85-113).
Le politiche formative sono dunque la ‘stampella’ delle politiche attive e il principio di condizionalità, ormai introiettato completamente nel DNA del nostro sistema, lega fortemente il percepimento degli ammortizzatori sociali anche agli adempimenti del dovere di formazione (Garofalo 2016, 89).
Anche lo strumento dell’incentivo economico o normativo (art. 4, co. 8 e ss., l. 92/2012; art. 29 e ss. del d.lgs. 150/2015; decreto Min. Lav. 17 ottobre 2017) è certamente utile per rendere conveniente l’assunzione e l’occupazione di ca-tegorie di lavoratori tendenzialmente svantaggiati nel mercato del lavoro e tra questi rientrano per definizione di legge proprio i lavoratori ultracinquantenni (art. 2, punto 4, lett. d) del Reg. UE n. 651/2014).
Ancora, un altro istituto che può avere un effetto positivo sul trattenimento nel mercato del lavoro dei seniores è quello del cumulo del reddito da lavoro con il trattamento pensionistico (cfr. art. 19, d.l. 112/2008, conv. in l. 133/2008; Circ. INPS n. 108/2008). La sostanziale ammissibilità del cumulo, salvo ecce-zioni (ad esempio chi percepisce la c.d. ‘pensione quota 100’, art. 14, co.3, d.l. 4/2019, conv. con modif. in l. 26/2019), consente al pensionato, successivamen-te al conseguimento della pensione, di rioccuparsi presso il precedensuccessivamen-te datore di lavoro o uno diverso sia a tempo pieno sia a tempo parziale e, ovviamente, se il reimpiego avviene a tempo pieno gli effetti negativi sono due: il primo concernente la concorrenza che a questo punto si innesca con i lavoratori più giovani; il secondo riguarda il fatto che in tal modo non si crea alcun migliora-mento nello stile di vita dei lavoratori anziani e il passaggio in quiescenza è solo finalizzato a ottenere un incremento reddituale complessivo. Se però il reimpiego dei pensionati viene realizzato tramite contratti a tempo parziale, questo apporta un beneficio sia all’anziano, che continua a rimanere attivo nel mercato del lavoro, sia al giovane che può occupare il tempo liberato dalla ri-duzione di orario del senior.
Infine, va menzionato il ruolo che può essere svolto dalle parti sociali per includere e trattenere nel mercato del lavoro le persone più mature. La contrat-tazione collettiva, specie aziendale, in particolare con quelle misure che vengo-no definite di welfare aziendale, può fornire un sostegvengo-no all’occupazione della popolazione anziana. Negli ultimi anni, nella contrattazione si è registrato (ADAPT 2019) un ampliamento delle opportunità di usufruire di permessi e di congedi, di flessibilità dell’orario di lavoro, di percorsi formativi, di assistenza sanitaria ed è evidente che in generale lo sviluppo del welfare aziendale è frutto della politica legislativa che ne ha stimolato l’utilizzo tramite la detassazione, in particolare con la l. 232/2016, che ha novellato l’art. 51 del TUIR.