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Conclusioni: un approccio ‘occidentocentrico’ alla dignità?

Nel documento Lessico della Dignità (pagine 47-50)

Matteo Borzaga

4. Conclusioni: un approccio ‘occidentocentrico’ alla dignità?

Se, come si è detto nelle pagine precedenti, nel mondo occidentale (o, quanto meno, nei Paesi europei), si è venuto affermando un concetto di dignità dei bambini incentrato sul rispetto, divenuto nel tempo decisamente stringente, del diritto al non lavoro e del diritto all’istruzione in connessione tra loro (at-traverso la fissazione di un’età minima mobile condizionata più dal compimen-to dell’obbligo scolastico che di una precisa età anagrafica), va peraltro messo in luce, in conclusione, che tale concetto non è universalmente condiviso.

Per comprenderlo, è sufficiente ripercorrere brevemente le strategie che l’OIL ha elaborato negli ultimi decenni, con particolare riferimento a quella relativa ai c.d. core labour standards (Maupain 2005, 439 ss.). Del resto, tale strategia – racchiusa in una Dichiarazione adottata dall’organizzazione nel 1998 – contempla sì, tra i core labour standards, il contrasto al lavoro infantile, ma lo fa in termini almeno parzialmente nuovi, come dimostra la circostanza che, nel 1999, la medesima organizzazione sia intervenuta nuovamente sul tema (anche sulla scia della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e

dell’adolescenza del 1989) con la Convenzione n. 182, dedicata alle peggiori

forme di lavoro infantile e immediatamente inserita tra le 8 fondamentali, ac-canto alla Convezione n. 138 del 1973, ad opera del Consiglio di Amministra-zione (il ‘Governo’ dell’OIL) (Dennis 1999, 943 ss.).

Se si prende in esame tale strumento normativo, ci si rende immediatamen-te conto degli elementi di novità che contiene. Più nel dettaglio, esso non fa alcun riferimento alla necessità di fissare un’età minima di accesso al lavoro, né all’obbligo scolastico, ma si concentra, per l’appunto, sulle peggiori forme di lavoro infantile che, ai sensi del suo art. 1, debbono essere prioritariamente e immediatamente eliminate con riguardo a tutti coloro che abbiano un’età infe-riore ai 18 anni. Si tratta, ai sensi del successivo art. 3, di schiavitù e lavoro forzato, di prostituzione e pornografia, di attività illecite quali lo spaccio di stupefacenti e di tutte le altre attività che, ai sensi di quanto previsto dalla legi-slazione nazionale, rischino di compromettere la salute, la sicurezza e la mora-lità dei bambini (Borzaga 2018, 138 ss.).

Ebbene, al di là delle analogie tra quest’ultima parte della citata norma e l’art. 3 della Convenzione n. 138 del 1973, è piuttosto evidente che con il prov-vedimento normativo in discorso l’OIL ha tentato di dimostrarsi più inclusiva nei confronti di molti Paesi emergenti che non concordano sulla necessità di prevedere, in capo ai bambini, un diritto al non lavoro inteso in senso presso-ché assoluto, al fine di garantire loro l’assolvimento dell’obbligo scolastico. In tali Paesi, infatti, assume altresì importanza il fatto che costoro, potendo lavo-rare, contribuiscano al benessere della propria famiglia (White 1994, 849 ss.). Di qui, l’idea che vi siano alcune forme di lavoro, le peggiori per l’appunto, del

Bambino

tutto inaccettabili e quindi da eliminare al più presto, ma che, al contempo, in altri contesti il lavoro dei bambini non debba essere vietato.

Ne scaturisce un concetto di dignità dei bambini senza dubbio assai meno pervasivo di quello elaborato in sede europea e che ai nostri occhi di occiden-tali appare fors’anche inaccettabile. Va peraltro messo in luce che la Conven-zione OIL n. 182 del 1999 è l’unica adottata dall’organizzaConven-zione a essere stata universalmente ratificata (nell’estate 2020), oltre ad avere avuto un ‘effetto trascinamento’ sulle adesioni alla precedente Convenzione n. 138 del 1973, che sono negli ultimi anni decisamente aumentate. Il fatto di aver incluso la lotta al lavoro infantile tra i core labour standards e di aver riservato particolare atten-zione alle sue peggiori forme ha poi avuto anche importanti risultati concreti, attesa la diminuzione del numero di bambini in esso coinvolti a livello globale (sebbene il fenomeno continui a essere, purtroppo, assai radicato: ILO 2017). Risultati che ovviamente fanno ben sperare in ordine alla possibilità che sempre più bambini possano dedicare l’infanzia all’istruzione anziché al lavoro, veden-do così rispettata la propria dignità; sempre che, ovviamente, le istituzioni in-ternazionali continuino a investire energie e risorse su questo tema, cosa pur-troppo non scontata in tempi di crisi economiche e sanitarie come quelli in cui stiamo vivendo.

Riferimenti bibliografici

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Divorzio

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