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Il criterio composito

Nel documento Lessico della Dignità (pagine 54-58)

Martina Della Bianca

4. Il criterio composito

L’intenso dibattito dottrinale e giurisprudenziale venutosi a creare all’indomani della pubblicazione della sentenza Lamorgese ha portato a un nuovo

interven-to chiarificainterven-tore delle Sezioni Unite, che hanno operainterven-to una rilettura dell’art. 5, co. 6, l. div., alla luce dei principi costituzionali di libertà, autoresponsabilità e pari dignità, che rinvengono il loro fondamento negli artt. 2, 3 e 29 Cost.

In particolare, con la sentenza 11.07.2018, n. 18287, i giudici di piazza Ca-vour, senza riabilitare il pregresso parametro del tenore di vita, che poteva fa-vorire ingiuste locupletazioni, né negare rilievo al principio dell’autoresponsa-bilità, hanno superato il tradizionale giudizio bifasico e la distinzione tra crite-ri attcrite-ributivi e determinativi dell’assegno, optando per un ccrite-ritecrite-rio composito assistenziale-perequativo-compensativo, idoneo a valorizzare l’impegno profu-so nella vita familiare, i sacrifici, le rinunce, le legittime aspettative esistenziali e gli affidamenti frustrati dal divorzio e a riequilibrare le posizioni economiche dei coniugi al momento della cessazione del rapporto.

In questa prospettiva, secondo le Sezioni Unite, l’adeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente «deve essere valutata non solo in relazione alla loro man-canza o insufficienza oggettiva ma anche in relazione a quello che si è contri-buito a realizzare in funzione della vita familiare e che, sciolto il vincolo, pro-durrebbe effetti vantaggiosi unilateralmente per una sola parte».

In altre parole, lo squilibrio patrimoniale-reddituale non è più di per sé sufficiente per il riconoscimento dell’assegno, a meno che il divario non derivi «dal sacrificio di aspettative professionali e reddituali fondate sull’assunzione di un ruolo consumato, esclusivamente o prevalentemente, all’interno della famiglia e dal conseguente contributo fattivo alla formazione del patrimonio comune e a quello dell’altro coniuge».

Nella valutazione cui è chiamato il giudice del divorzio un ruolo centrale assumono, quindi, i parametri della durata del matrimonio e dell’età del richie-dente, con la conseguenza che nei matrimoni di breve durata, caratterizzati dall’assenza di prole, tendenzialmente prevarrà il principio dell’autoresponsa-bilità, con conseguente esclusione del diritto all’assegno. Viceversa, nei matri-moni di lunga durata, allietati dalla nascita di figli, l’assegno potrà essere rico-nosciuto laddove si accerti che il non superabile divario tra i coniugi sia la conseguenza del ruolo prevalentemente endofamiliare assunto da uno dei due, in attuazione di un indirizzo familiare concordato.

In tal modo, l’assegno divorzile finisce per divenire «l’architrave» sul quale poggia il riconoscimento della pari dignità dei ruoli e trova conferma la piena equiparazione tra lavoro casalingo ed extradomestico – espressamente ricono-sciuta dall’art. 143 c.c. in costanza di matrimonio – anche nella fase patologica del rapporto (Marella 2010, 233; Al Mureden 2018b, 1021).

In questo contesto, l’assegno divorzile non è più né un mezzo idoneo ad assicurare al richiedente il mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, né un mero strumento assistenziale. Pur non avendo perso la propria funzione assistenziale, esso assicura piuttosto, in chiave perequativa,

Divorzio

una tutela in tutte quelle situazioni in cui il dislivello reddituale sia la conse-guenza delle scelte concordemente assunte in costanza di matrimonio.

La lettura costituzionalmente orientata dell’art. 5, co. 6, l. div., è stata salu-tata con favore dalla giurisprudenza successiva, che ha giudicato «felice» la scelta di abbandonare «l’impostazione ideologicamente individualista […] fatta propria dalla pronuncia del 2017» e la «riaffermazione, anche nella fase successiva allo scioglimento del vincolo, dei principi di solidarietà fondati sui canoni costituzionali offerti dagli artt. 2 e 29 Cost.», che consente di realizzare «un giusto equilibrio tra libertà e responsabilità, ovvero tra autodeterminazio-ne e solidarietà postconiugale» (Corte app. Napoli, 10.01.2019, n. 52, in Il

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Donna

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