Luca Baron
6. Nuovi percorsi di umanità: la restorative justice
Muovendo dalla sopra ricordate criticità che la logica carcerocentrica ha pale-sato, nel dibattito contemporaneo sulla pena è andato proponendosi con cre-scente intensità un ‘nuovo paradigma’, quello della c.d. giustizia riparativa.
Nella sua formulazione più radicale, la restorative justice (RJ) ambisce a porsi come soluzione alternativa alla tradizionale logica punitiva: un percorso di «giustizia senza spada» (Mannozzi 2003), che si «svolge lungo un impegna-tivo itinerario di reciproco riconoscimento dell’altro, di ascolto e di messa a nudo del vissuto delle due parti coinvolte, fino ad arrivare al superamento sia della lacerazione dei legami sociali sofferta dalla vittima sia della ferita inferta nel suo profondo “esistenziale”» (Viganò, Palazzo 2018, 192).
Nell’accezione più ‘moderata’ – quella che peraltro ha trovato qualche timi-do riscontro anche a livello legislativo (si pensi alla sospensione del processo con messa alla prova, all’estinzione del reato per condotte riparatorie, ecc.) – la RJ costituisce un modello di giustizia complementare rispetto a quella tradizio-nale: l’idea riparativa non soppianta la caratura afflittiva della risposta al reato, ma affianca quest’ultima, riportando al centro della dinamica punitiva la vitti-ma, il reo, la società e il rapporto intercorrente tra questi tre poli della fenome-nologia criminosa.
Pena
L’idea di fondo è che la commissione del reato creerebbe una frattura socia-le, la cui composizione non potrebbe essere affidata alla pena – che punisce e però non risana – ma richiede un percorso di partecipazione dialettica tra i protagonisti della vicenda. Dal confronto, maturerebbe un mutuo
riconosci-mento, potenzialmente idoneo a generare benefici: per la vittima, nel senso di
riacquisire il controllo sulla propria vita e sulle proprie emozioni; per la collet-tività, nel senso di ripristinare il senso di sicurezza dei consociati.
Lo stesso reo potrebbe trarne vantaggio, in quanto il dialogo con la vittima potrebbe catalizzare un percorso di auto-riconoscimento critico del disvalore della propria condotta.
In questo senso, si colgono le potenzialità della RJ in chiave di contributo alla ri-umanizzazione della pena detentiva. Ferma l’ineliminabile componente afflittiva della sanzione penale, la prospettiva di un confronto costante con la vittima (e anche con collettività) consentirebbe non solo di mantenere un legame tra il reo – recluso – e la società civile (scongiurando il rischio di segregazione e ‘rottamazione’ detentiva), ma potrebbe altresì condurre a risultati più profondi e solidi, in termini di risocializzazione: quello intrapreso dal reo sarebbe infatti un percorso rieducativo autentico, in quanto auto-fondato e non etero-imposto.
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Lo scritto, muovendo dal principio personalista che ispira la nostra Costituzione, pone in evidenza la stretta connessione tra detto principio e quello di dignità. Si sofferma quindi sulle radici storiche e sull’evoluzione del concetto di dignità, oltre che sulle diverse accezioni, soggettiva e oggettiva, statica e dinamica, in cui la dignità può essere declinata. Esamina, infine, le applicazioni concrete del principio di dignità nell’esperienza giurisprudenziale anche straniera, con particolare riguardo alla detenzione in carcere, allo sfruttamento della prostituzione, alla salute del lavoratore, ai trattamenti sanitari, alle scelte di fine vita, alla maternità surrogata.
The essay, moving from the personalist principle that inspires our Constitution, points out the strong connection between this principle and the principle of dignity. Then it lingers over the historical roots and the evolution of the dignity concept and its different perspectives, subjective and objective, static and dynamic. Finally, it examines the real applications of the dignity principle in the national and foreign jurisprudential experience, with particular reference to the detention, the prostitution exploitation, the workers’ health, the medical treatments, the end-of-life choices, the surrogacy.
Sommario 1. Persona e dignità nell’ordinamento italiano. La dignità come
‘dote’ o come ‘conquista’? | 2. La dignità da valore etico a principio giuridico e il suo collegamento con i diritti fondamentali. | 3. I tanti volti della dignità nella giurisprudenza e nelle previsioni normative. | 4. Conclusioni.
1. Persona e dignità nell’ordinamento italiano. La dignità come ‘dote’ o come ‘conquista’?
Nell’avviare una riflessione sul concetto e sul valore della ‘persona’ nel nostro ordinamento il riferimento immediato è all’ordine del giorno Dossetti del 9 settembre 1946, con il quale il suo presentatore, rivolgendosi all’Assemblea costituente, la invitava a riscoprire il principio personalista e a porlo a fonda-mento della Costituzione. In forza di tale principio, destinato a trovare espres-sione negli artt. 2 e 3 della Carta, andava riconosciuta «la precedenza sostan-ziale della persona umana (intesa nella completezza dei suoi valori e dei suoi