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La necessità (e le difficoltà) dell’inclusione attiva

Nel documento Lessico della Dignità (pagine 119-124)

Claudio Melchior

5. La necessità (e le difficoltà) dell’inclusione attiva

Il processo di cui ci stiamo occupando è dunque molto complicato, perché ci costringe tutti ad auto-riflettere su noi stessi, sulle nostre appartenenze e iden-tità, e a cercare di modificarle in un senso maggiormente inclusivo.

Per essere più chiari e puntuali, l’inclusione è un processo socialmente dif-ficile da mettere in atto per le seguenti ragioni:

1. è un processo che non riguarda tanto l’individuo ‘escluso’, che in qualche misura lo vive passivamente, bensì il gruppo di maggioranza o di riferi-mento;

2. il gruppo di riferimento per ‘imparare a includere’ deve diventare consape-vole del gruppo stesso e quindi comprendere che le sue norme svantaggiano gli esclusi;

3. il gruppo deve, auto-riflessivamente, decidere di modificare le sue regole interne, in particolare quelle riguardanti i confini del gruppo, e allargarle in modo da accogliere gli outgroups al suo interno;

4. il gruppo non può essere stimolato in questo processo da obiettivi di gruppo o di identità personale, in quanto queste motivazioni spingono a chiudere il gruppo e non ad aprirlo, bensì da motivazioni più ampie ed esterne al grup-po stesso.

Inclusione

In altre parole è un processo di consapevolezza e contemporaneamente di auto-riflessione critica, che raramente viene messo in atto, in particolare da parte dei gruppi maggiormente istituzionalizzati e in qualche modo ‘dominan-ti’. L’inclusione è un processo di ‘scioglimento’ in qualche misura dei confini del gruppo e delle sue regole interne a favore di una ricomposizione in un ‘noi’ più ampio, con confini maggiormente inclusivi. È quello che sembra sottoline-are Habermas quando parla della necessità di una ‘comunità morale’ che per poter accogliere il diverso deve avere come base «l’idea di eliminare qualsiasi discriminazione e di includere ogni emarginato» (Habermas 1998, 9).

Quindi come detto il processo di inclusione è un processo che riguarda principalmente i gruppi maggioritari e non i soggetti da includere, che all’inter-no di questo processo assumoall’inter-no sostanzialmente una posizione passiva. La parte attiva di questo processo viene svolta tutta dai membri del gruppo che per riuscire a essere inclusivi devono mettere in discussione se stessi, la propria appartenenza e le norme interne del gruppo stesso. Questo non è facile prima di tutto per una questione di interesse. È normale pensare che la persona ‘bi-sognosa di inclusione’ sia interessata al fatto che questo processo si svolga, mentre per definizione il gruppo di riferimento non ha interesse a realizzare l’inclusione. Anzi, nel funzionamento stesso delle dinamiche di gruppo, affer-mare con forza chi ne è escluso è uno dei meccanismi più forti per ribadire i confini, l’identità e l’appartenenza al gruppo stesso. Sono queste discrasie a rendere difficile il processo dell’inclusione. In pratica non solo i membri del gruppo per poter includere devono i) rendersi conto dell’esistenza del gruppo stesso, mettere in discussione le sue regole interne i suoi confini e di conseguen-za la propria identità personale a cui in qualche misura il gruppo è collegato; è necessario anche che ii) i membri del gruppo sviluppino un interesse specifico a mettere in atto queste pratiche, mettendo da parte l’interesse crasso del grup-po stesso che di sua natura sarebbe più legato a un mantenimento dei confini che a un loro allentamento.

Descritte le specifiche difficoltà di questo processo, come possiamo fare per stimolare l’inclusione e promuoverla a livello sociale?

1. Innanzitutto, il processo è aiutato e reso possibile a partire da un’autocon-sapevolezza diffusa dei meccanismi di gruppo e di come, sebbene rassicu-ranti per i suoi membri, queste dinamiche siano svalutanti e ‘ingiuste’ nei confronti di chi sta all’esterno ‘dei confini’. Quindi diffondere la consape-volezza di questi meccanismi di chiusura del nostro cervello e delle nostre appartenenze sociali aiuta a rifletterci e dunque a metterli in discussione. 2. Anche il contatto e la frequentazione tra membri appartenenti a gruppi

di-versi hanno un effetto di avvicinamento, di riduzione del bias intergruppo, dell’ignoranza reciproca e della cogenza dei confini che ci dividono (Eller, Abrams, Zimmermann 2011; Capozza et al. 2013) e sono uno strumento

utile per la riduzione del pregiudizio (Pettigrew, Tropp 2008). La comuni-cazione interpersonale faccia a faccia, in particolare, permette di creare un riconoscimento reciproco che vada al di là delle etichette e delle apparte-nenze, mettendole in secondo piano e diminuendone la cogenza.

3. L’inclusione è aiutata anche dall’avere un obiettivo sovraordinato, che vada oltre agli obiettivi del singolo gruppo; uno scopo o un orizzonte di destino comune che metta ‘tutti sulla stessa barca’, ‘interni’ ed ‘esterni’ alle specifi-che appartenenze. È quanto sperimentato da Sherif nell’esperimento di cui abbiamo parlato in precedenza: l’esistenza di un obiettivo comune che met-ta insieme i vari gruppi può contribuire a ridurre la cogenza dei confini di ogni singolo gruppo creando un ‘noi’ allargato che ne comprenda più di uno.

Quale tipo di obiettivo potrebbe svolgere questa funzione di accomunarci, di spingerci a una maggiore vicinanza? Un obiettivo di tipo civile legato alla consapevolezza e alla percezione dell’importanza di determinati tipi di diritti di cui ogni persona è portatrice indipendentemente da ogni sua specifica caratte-ristica personale. Facendo un esempio preso da un altro campo della realtà, nel caso degli Stati nazionali gli egoismi delle singole nazioni si contemperano creando una responsabilità solidale a livello internazionale, che viene raggiunta con i) alleanze, trattati e organismi sovranazionali, che stabiliscono nuove nor-me che uniscono gli Stati anziché contrapporli e attraverso ii) l’universalizza-zione di un diritto internazionale che appartenga a ogni singolo Stato indipen-dentemente da altre caratteristiche e quindi trascenda i confini e le divisioni rendendole meno cogenti.

Allo stesso modo, la diffusione della consapevolezza delle dinamiche di gruppo e di come funziona il nostro cervello e le sue specifiche limitazioni, unita alla promozione di un’idea di cittadinanza e partecipazione ampia alla vita sociale e civile, che venga stimolata dalla percezione dell’importanza di diritti universali che sono inalienabili e in quanto tali ci pongono ‘tutti sulla stessa barca’, sono gli stretti percorsi che ci possono portare a società maggior-mente eque, coese, civili e inclusive.

Riferimenti bibliografici

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International Journal of Psychology, 2013, 48, 4, 527 ss.

Eller, Abrams, Zimmermann, Two Degrees of Separation: A Longitudinal Study of Actual and

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Inclusione

Leyens, Demoulin, Vaes, Gaunt, Paladino, Infra-humanization: The Wall of Group Differences, in

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Melchior, La rappresentazione commerciale della disabilità. Il caso Bebe Vio, in Salute e società, 2020, 2, 121 ss.

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Pettigrew, Tropp, How Does Intergroup Contact Reduce Prejudice? Meta-Analytic Tests of Three

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Turner, Hogg, Oakes, Reicher, Wetherell, Rediscovering the Social Group: A Self-categorization

La libertà è un tema attuale che tiene vivo l’interesse circa il modo in cui si può parlare di libertà del volere e della relazione tra libertà, dignità e i diritti dell’essere umano. Solitamente la dignità dell’essere umano viene fondata a partire da una concezione della libertà intesa come autodeterminazione assoluta. Questa idea, tuttavia, presenta non pochi problemi sul piano normativo e ontologico. Infatti, confrontandosi con la realtà della libertà è possibile rilevare che l’agente individua nel suo agire dei vincoli normativi in cui la volontà si orienta liberamente verso un oggetto visto nella sua dimensione di bene. In questo senso, la dignità etica non sembra dipendere tanto dall’esercizio della volontà, quanto piuttosto dalla capacità della volontà di cogliere e perseguire il bene reale nell’azione. Similmente, sul piano ontologico, la dignità a fondamento dei diritti individuali sembra scaturire da quel bene che è dato dalla natura dell’essere umano e il cui riconoscimento non dipende dal semplice esercizio contingente della volontà.

Freedom is a current issue that keeps interest alive in the way in which we can talk about freedom of will and the relationship between freedom, dignity and the rights of the human being. The dignity of the human being is usually founded on the basis of a conception of freedom understood as absolute self-determination. This conception, however, presents some problems on the normative and ontological level. In fact, when confronted with the reality of freedom, it is possible to note that the agent identifies in his actions normative constraints in which the will freely orientates itself towards an object seen in its dimension of good. In this sense, ethical dignity does not seem to depend on the exercise of the will, but rather on the ability of the will to grasp and pursue the real good in action. Similarly, on the ontological level, the dignity of human being, seen as the ground of individual rights, seems to arise from the good that is given by the nature of the human nature and whose recognition does not depend on the simple contingent exercise of the will.

Sommario 1. Libertà di esecuzione, libertà di scelta e libertà di esercizio.

2. Libertà negativa e dignità. | 3. Comprendere la realtà del volere: libertà,

dignità e bene.

Libertà

Nel documento Lessico della Dignità (pagine 119-124)