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La dignità da valore etico a principio giuridico e il suo collegamento con i diritti fondamentali

Nel documento Lessico della Dignità (pagine 164-167)

Gabriella Luccioli

2. La dignità da valore etico a principio giuridico e il suo collegamento con i diritti fondamentali

La declinazione della dignità da valore etico in principi giuridici si realizza già nelle dichiarazioni dei diritti delle colonie americane del XVIII secolo e nella

Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino redatta in Francia nel 1789, lì

dove si afferma che tutti gli uomini nascono egualmente liberi e indipendenti e sono titolari di diritti innati e imprescrittibili.

Più tardi, la centralità del valore della persona umana, al di là delle appar-tenenze nazionali e delle diverse culture, ideologie e religioni, e l’intangibilità della sua dignità trovano pieno riconoscimento sia nelle costituzioni del XX secolo, sia nel Preambolo della Carta dell’ONU del 1945, sia ancora nella

Di-chiarazione universale dei diritti umani del 1948 che, memore delle dittature e

degli orrori della seconda guerra mondiale, all’art. 1 sancisce che «tutti gli es-seri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti».

La Carta di Nizza nel suo Preambolo pone la dignità umana come primo valore fondativo dell’Unione, considerato indivisibile e universale, e nel primo articolo afferma che «la dignità umana è inviolabile e deve essere rispettata e tutelata». Nel corpo della Carta numerose disposizioni rimandano al concetto di dignità, quale valore essenziale di riferimento nella tutela di specifici diritti, secondo una prospettiva concreta e relazionale che ha riguardo alle singole ipotesi di contatto sociale, tanto da doversi attribuire a tale reiterato richiamo una portata fondamentale nel processo di costituzionalizzazione del diritto privato europeo.

Ne risulta che nel sistema europeo e internazionale il principio di dignità si pone come il valore di base che dà fondamento all’affermazione dei diritti in-dividuali. Peraltro, come pone in evidenza Resta (2001, 821), la moltiplicazione dei riferimenti testuali costituisce un indice evidente del crescente prestigio della clausola di dignità.

Quanto al nostro ordinamento, la Costituzione non fornisce una definizione del concetto di dignità, ma conferisce piena tutela a tutti i diritti che in essa si fondano, così che la dignità della persona assurge a valore di base, a nucleo assiologico centrale dell’ordine costituzionale, anche nella sua dimensione so-ciale, come sancito nell’art. 3. Ed è importante richiamare al riguardo la sen-tenza n. 388 del 1999 della Corte costituzionale, che mise in risalto la stretta connessione tra i diritti inviolabili dell’uomo e il principio di dignità, rilevando che essi sono sempre più avvertiti dalla coscienza contemporanea come coes-senziali alla dignità della persona.

Secondo il pensiero di Stefano Rodotà, «non si tratta solo di affermare un principio morale astratto, ma di concretizzare il riconoscimento dell’eguale valore delle persone – soprattutto quando sono più esposte e vulnerabili – nei contesti in cui si svolge la loro vita: nell’ambiente di lavoro, nei luoghi di cura, a scuola, in famiglia»2.

La relazione diretta posta dall’art. 2 Cost. tra il riconoscimento dei diritti fondamentali e «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» impone di coordinare il principio di dignità con quello di solidarietà, che deve connotare ogni rapporto che si instaura nella vita delle persone. Le diverse direzioni verso le quali i doveri di solidarietà si indirizzano configurano non già una categoria chiusa, ma un insieme di obblighi che fanno capo alla politica, alla pubblica amministrazione, all’economia e alla società, dispiegandosi nell’intero sistema giuridico.

Viene quindi a delinearsi un forte collegamento tra solidarietà, dignità ed eguaglianza, così che l’elusione della prima si risolve nella violazione della

di-2 Così il documento di presentazione del Festival del Diritto sulla ‘dignità’ svoltosi a Pia-cenza il 23-25 settembre 2016.

Persona

gnità e dell’eguaglianza. Insieme ai valori di eguaglianza e solidarietà la dignità costituisce pietra angolare del sistema e principio fondante di un ordinamento pluralistico.

Al tempo stesso, il disposto dell’art. 2 rivela l’attenzione del costituente per le reali condizioni di vita di ogni essere umano e attesta che la dignità della persona non può esplicarsi se essa non è messa nella condizione di liberarsi dai bisogni che le impediscono di realizzare se stessa in ogni contesto esistenziale, rimuovendo gli ostacoli non solo economici che non consentono la sua effettiva partecipazione alla vita economica, politica e sociale (cfr. Politi 2020, 278). Si configura in tale modo un’ulteriore connessione, quella tra dignità e bisogni, in quanto la dignità si garantisce se l’uomo è posto nella condizione di esprimere liberamente la sua personalità (cfr. Nussbaum2002). È questa la prospettiva alla base dell’art. 36 Cost., che sancisce il diritto del lavoratore a una retribu-zione «in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza li-bera e dignitosa».

Si profila pertanto nella Carta fondamentale una visione dinamica della di-gnità, che attraverso il valore della libertà come possibilità dell’uomo e della donna di autodeterminarsi collega la pari dignità sociale al pieno sviluppo della persona umana (cfr. Ridola2006, 128).

Peraltro l’ancoraggio del nostro assetto costituzionale al principio persona-lista vale a collocare la dignità in una dimensione non solo oggettiva, ma anche soggettiva, avendo riguardo all’essere umano nella sua vita di relazione, come soggetto inserito nella società. In varie disposizioni della Carta si fa riferimento alla dignità acquisita e alla possibilità di differenziare gli individui in ragione del merito o del demerito conseguito nel corso della loro esistenza: l’art. 34, co. 3, riconosce ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, il diritto allo studio fin nei gradi più alti; l’art. 48, ultimo comma, individua l’‘indegnità morale’ come possibile causa di limitazione del diritto di voto; l’art. 59, co. 2, prevede la nomina da parte del Capo dello Stato a senatori a vita di cittadini che hanno illustrato la Patria ‘per altissimi meriti’.

Non più contrapposte, vengono in tal modo a coesistere nel sistema le due richiamate accezioni della dignità, come dote innata e indisponibile e come ri-sultato da raggiungere attraverso l’autodeterminazione di soggetti liberi e re-sponsabili. E se pure è vero che la dignità acquisita, in quanto legata alla qua-lità delle prestazioni e quindi prodotto del merito o del demerito dei compor-tamenti concretamente assunti, può portare al raggiungimento di posizioni differenziate, la dignità innata preclude – come già osservato – ogni possibilità di trattamenti comunque lesivi dell’umanità della persona.

Le riflessioni innanzi svolte consentono di superare l’annoso contrasto sul significato del principio di dignità, giustificato dall’evidente polisemia del ter-mine, tra coloro che tendono a esaltare il profilo soggettivo del concetto, e

quindi il principio di autodeterminazione, l’autonomia morale, i convincimenti più profondi di ciascuno, e coloro che propendono per una concezione ogget-tiva della nozione, ravvisando in essa un nucleo assoluto, una dimensione co-mune a tutta l’umanità che ha riguardo all’essere di ogni persona3.

Sembra infatti possibile sottrarsi al dilemma posto da tale dibattito attri-buendo al concetto di dignità un contenuto ampio, comprensivo sia del valore originario e non comprimibile che la Costituzione e le Carte dei diritti assegna-no alla persona sia del ricoassegna-noscimento delle esperienze, delle aspirazioni e delle sensibilità che caratterizzano il patrimonio spirituale di ognuno. Tale ca-pacità inclusiva consente di declinare il principio secondo direttrici diverse, in relazione alle situazioni concrete oggetto di esame: se il diritto di morire con dignità non può non essere ancorato, come tra poco vedremo, alla visione sog-gettiva del malato e alla sua personalissima percezione della dignità nel mo-mento estremo del distacco dalla vita, altre situazioni, come quella esaminata dalla giurisprudenza francese del famoso ‘lancio dei nani’ sparati da un canno-ne in una gara che ha per ficanno-ne il diletto degli spettatori, richiamano il valore assoluto della dignità innata, che appartiene al patrimonio della persona umana e che per questo non lascia spazio a scelte di volontaria rinuncia.

Appare peraltro evidente che assumere il concetto di dignità quale valore assoluto, oggettivo e irrinunciabile a fronte di comportamenti lesivi, così da identificare il bene tutelato non solo o non tanto nella dignità del soggetto coinvolto, ma in quella di ogni essere umano, vuol dire caricare il giudice di una forte responsabilità, in quanto lo si impegna a rifiutare ogni ancoraggio ai suoi valori personali e a riferirsi unicamente al rispetto dovuto a ciascun individuo.

Nel documento Lessico della Dignità (pagine 164-167)