Come si è visto, l’unica teoria che viene davvero messa in crisi dal paradosso di McTaggart è la moving spotlight. La teoria growing block, la shrinking block e il presentismo possono invece cavarsela piuttosto bene. L’obiezione che andremo invece a prendere adesso in considerazione è tale per cui solo il presentismo sembra poterne essere pienamente immune. Difatti è stata presentata nella sua versione più influente proprio da un teorico presentista, Craig Bourne, nel suo libro A Future for Presentism (2006), probabilmente la difesa più sistematica e soddisfacente della teoria presentista. Bourne l’ha battezzato come il problema del presente:
“C’è qualcosa di più certo della conoscenza che noi abbiamo di essere presenti? Sarebbe uno scandalo se la nostra migliore teoria del tempo non potesse garantirci tale conoscenza; […] Molti tensionalisti difendono una teoria per cui c’è più di un istante che è reale, e tuttavia uno tra essi è privilegiato, cioè il presente. Ciò, tuttavia, fa sorgere la domanda di come noi possiamo sapere di essere presenti e non passati (o futuri)” (2006, pag. 21)
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Il problema è sostanzialmente il seguente: in alcune teorie dinamiche del tempo più di un istante è considerato esistente; tra questi vi è naturalmente l’istante Presente ma noi non possiamo avere la garanzia di trovarci in tale istante. Oltretutto, nella teoria
growing block man mano che il tempo passa aumenta la quantità di istanti esistenti, per
cui le probabilità di trovarsi nell’istante presente si fanno sempre minori.
Si può chiarire facilmente il punto sviluppando un esempio accennato in precedenza. Prendiamo chi scrive nel momento in cui scrive questo paragrafo e Giulio Cesare mentre attraversa il Rubicone. Entrambi, nel momento in cui svolgiamo tali azioni, crediamo di star agendo nel presente. Se però la teoria growing block è vera, entrambi esistiamo allo stesso modo. Date queste premesse, tuttavia, almeno uno di noi due si sta sbagliando: Cesare è sicuramente in errore, visto che l’evento di me che scrivo questo paragrafo è successivo al suo attraversamento del Rubicone. Tra i due eventi, quindi, il suo è automaticamente escluso come candidato ad occupare la posizione del presente oggettivo. Che dire invece di me stesso? Posso essere sicuro di trovarmi nel presente? No, non c’è modo che io possa avere tale sicurezza. Niente dei miei stati di coscienza soggettivi può, nella teoria growing block come in quella shrinking block, testimoniare a favore del mio trovarmi nel presente piuttosto che nel passato (o, rispettivamente, nel futuro), visto che Cesare potrebbe benissimo condividere la mia stessa sensazione di trovarmi nel presente. Come spiega Braddon-Mitchell (2004), che insieme a Bourne è stato uno dei primi a muovere questa critica alla teoria growing block:
“…per sapere che la nostra locazione corrente è il presente oggettivo avremmo bisogno di sapere che non c’è nessun volume di eventi futuri, e noi non abbiamo nessun accesso indipendente a ciò” (2004, pag. 200)
Inizialmente, si potrebbe tendere a sottovalutare l’affermazione per cui sia gli eventi presenti che quelli passati esistono ugualmente. Sulle prime può facilmente essere intesa come un’innocente, seppur pesante, assunzione di tipo ontologico, volta a risolvere alcuni problemi di una teoria dinamica del tempo. Tuttavia, come si vede, le implicazioni di tale assunzione sono ben più pesanti e problematiche di quanto non sembri. Più in particolare, tale assunzione diventa problematica quando unita a quella dell’esistenza di un presente oggettivo.
Vi sono più o meno tre modi in cui chi volesse difendere una teoria growing block può provare a rispondere. Il primo, già accennato, consiste nell’accettare l’obiezione che viene posta ma negando che sia effettivamente un problema per la teoria. Si sostiene
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cioè che effettivamente in una teoria incrementista (o erosionista) non sarebbe possibile avere la certezza di trovarsi nel presente oggettivo, cioè sul bordo del blocco di eventi che costituiscono ciò che esiste; e tuttavia questo non genera nessuna contraddizione all’interno della teoria. Ora, delle tre risposte possibili al problema del presente questa è senza dubbio la meno efficace. Se infatti è vero che in linea di principio l’impossibilità di sapere se si abiti il presente è coerente col resto della teoria, è vero anche che se si accetta questo punto cade la motivazione principale per sostenerla. Infatti, tra i motivi principali per cui si difende una teoria dinamica del tempo vi è l’intuizione per cui noi viviamo, agiamo e facciamo esperienze nel presente. Se le esperienze che facciamo non appartenessero a quello che chiamiamo il presente oggettivo, a che servirebbe costruire una teoria che lo ha proprio come nodo centrale?
La seconda risposta al problema del presente – altrettanto insoddisfacente – consiste nel far rientrare la proprietà Presente, e dichiarare che il presente oggettivo, cioè l’evento sul bordo del blocco, non è definito solo topologicamente ma anche dal possedere quella proprietà. Questa mossa si rivelerebbe particolarmente infelice per due motivi: primo, esporrebbe la teoria al paradosso di McTaggart, per generare il quale sono infatti sufficienti due proprietà temporali incompatibili tra loro. In più, reintrodurre la proprietà Presente non servirebbe a niente in quanto non potremmo comunque essere sicuri di abitare nell’istante che ha tale proprietà. Inoltre, fa notare Bourne (2006), non solo il problema del presente si applica a tutte le teorie che trattano Presente, Passato e Futuro come delle proprietà e che ammettono l’esistenza di eventi non presenti – compresa quindi la moving spotlight view –, ma tali teorie non possono neanche avvalersi dell’opzione di “prendere sul serio la tensionalità” per rispondere al paradosso di McTaggart:
“Dire infatti che c’è stato un tempo in cui Platone è esistito e allo stesso tempo difendere una nozione del passato e del presente come ugualmente reali sarebbe come voler aver la torta e insieme mangiarla” (pag. 28)
Che senso avrebbe infatti sostenere che c’è passaggio del tempo consegnato ad espressioni tensionali irriducibili e, insieme, dire che passato e presente sono ugualmente esistenti? Cosa distinguerebbe a questo punto il presente dal passato in maniera irriducibile se fra di essi la teoria non pone nessuna differenza metafisica e li considera esistenti allo stesso modo? È facile dunque vedere come la reintroduzione delle proprietà temporali porti più problemi che altro.
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La terza risposta possibile, fornita da Forrest (2004), è quella per cui solo chi vive nel presente oggettivo può avere stati mentali coscienti, mentre gli individui del passato sono zombie nel senso filosofico del termine, cioè controparti fisicamente indistinguibili di individui reali ma privi dei loro stati mentali coscienti. Per esempio, io so di essere nel presente oggettivo perché mentre scrivo sono cosciente. Giulio Cesare, al contrario, continua a esistere nel passato come individuo indistinguibile in tutto e per tutto al livello fisico dal Giulio Cesare che un tempo era presente, ed egli è tuttavia privato dei suoi stati mentali coscienti. Per questo, egli non può più pensare di trovarsi ancora nel presente semplicemente perché egli non ha più pensieri in senso stretto. È naturalmente evidente come anche questa risposta sia profondamente problematica. Non soltanto perché la nozione dello zombie filosofico – cioè di un individuo fisicamente indistinguibile da un essere umano ma privo di stati di coscienza – è problematica e contestabile, ma soprattutto perché quella di stabilire che gli individui che abitano nel passato siano zombie in questo senso sembra una scelta completamente arbitraria. Che motivazioni non ad hoc potrebbero esserci per tale scelta teorica?
Il problema del presente risulta quindi un problema particolarmente scomodo per quasi tutte le teorie dinamiche del tempo. L’unica che può resistervi appieno è il presentismo: dato che in esso esistono solo gli eventi presenti, per il semplice fatto di esistere ed avere esperienze sappiamo di trovarci nel presente. Detto in altre parole, in un’ottica presentista avremo sempre ragione quando affermeremo di trovarci nel presente per il semplice fatto che, se possiamo fare un’affermazione simile, non possiamo di per ciò stesso sbagliarci.