• Non ci sono risultati.

Le varietà di presentismo

Un primo modo in cui il presentista può salvare le verità passate è trovando loro spazio nel presente. Questa è sostanzialmente la scelta che corrisponde all’accettare (P2) del paragrafo precedente – “Niente esiste a un dato istante che non sia presente” – senza però accettare che questo ci impedisca di affermare in maniera fondata che Cesare ha attraversato il Rubicone.

Una maniera standard in cui ciò può essere fatto è quella proposta da Bigelow (1996). Egli prende in esame l’obiezione al presentismo che si basa sulla relazione di causazione. Questa è uno dei tanti tipi di obiezioni che si possono fare al presentismo riguardanti la realtà del passato. Le soluzioni che vengono proposte dai difensori del presentismo cercano solitamente di trovare una maniera uniforme di rispondere complessivamente a tutte le obiezioni, in quanto sono strettamente collegate. Sarà facile vedere come la risposta di Bigelow può funzionare altrettanto bene per il problema delle verità passate.

L’argomento che Bigelow ha preso in considerazione è il seguente:

18

Per esempio: come fa il presentismo a trovare un riferimento per i nomi propri che si riferiscono ad entità passate? Oppure: come fa il presentismo a fornire un modello soddisfacente delle relazioni transtemporali, cioè di quelle relazioni che sussistono tra un’entità presente e una passata?

63

“La causazione è simmetrica rispetto all’esistenza: se un evento esiste ed è causa di un qualche altro evento, allora anche l’altro evento esiste; e se un evento esiste ed è causato da qualche altro evento, allora anche l’altro evento esiste. Alcuni eventi presenti sono causati da eventi che non sono presenti. […] Quindi esistono cose che non sono presenti.” (1996, pag. 40)

Vediamo come il problema riguarda sempre e comunque le risicate assunzioni ontologiche del presentismo. Col solo presente non si può rendere conto, ci dice l’obiezione, della nozione di causazione, poiché essa richiede l’esistenza di eventi che esistono in tempi diversi. Per il presentista solo un istante è effettivamente esistente, quello presente: quindi, poiché abbiamo ragione di credere che esistano relazioni di causa tra eventi, il presentismo è falso. Per rispondere a questa obiezione Bigelow si rifà al filosofo latino epicureo per eccellenza, Lucrezio. L’ontologia del De Rerum Natura non prevede che atomi e vuoto, ma allo stesso tempo Lucrezio ha cercato di difendere una teoria del tempo assimilabile al presentismo dall’obiezione basata sulla causazione. Per far questo ha cercato di salvare l’esistenza del passato nel presente: gli eventi passati sono da lui pensati come “accidenti” – nel linguaggio filosofico attuale: delle proprietà – della materia e dello spazio presenti. Come spiega Bigelow (1996):

“Il suo ragionamento è che gli eventi passati non possono esistere nello stesso modo che la materia e lo spazio, e ciò significa che non possono essere sostanze nel modo in cui lo sono la materia e lo spazio. Le sostanze, infatti, sono ciò la cui esistenza non dipende dall’esistenza di nient’altro. […] Tutto ciò che è presente sono la materia, il vuoto, e le proprietà e gli accidenti di quest’ultimi; e tra queste proprietà e accidenti alcuni vengono espressi nel linguaggio tramite il passato o il futuro tensionale.” (pag. 45-46)

Lo spunto che Bigelow trae dalla filosofia di Lucrezio è in sostanza quello di salvare la realtà degli eventi passati pensandoli come proprietà delle cose presenti. Questa costruzione metafisica, che potrebbe apparire stravagante, riflette in realtà un modo di parlare proprio del senso comune: l’attribuire alle cose la proprietà di aver preso parte ad eventi passati (“Questa è la casa dove ha abitato tuo padre da piccolo”; “Quella laggiù è la montagna dove siamo andati in gita l’estate scorsa”). Più in particolare, per Bigelow tali proprietà sono proprietà dell’universo. Per esempio, l’universo è adesso tale per cui possiede la proprietà di essere stato il teatro di due guerre mondiali. Partendo da questa base – e prendendo spunto da un’altra filosofia di matrice ellenistica,

64

quella degli stoici – Bigelow propone di risolvere il problema della causazione concependo la relazione di causa come una relazione tra proprietà che sono tutte presenti, alcune delle quali “rappresentano” (o meglio, derivano da) eventi passati.

Lasciando per un momento da parte il tema della causazione, si può osservare che la soluzione di Bigelow sembra funzionare piuttosto bene per il problema delle verità passate. La realtà del passato è assicurata attraverso queste peculiari proprietà dell’universo, e saranno dunque queste a fare da fattori di verità per gli enunciati che parlano del passato. Questa posizione, in ragione del suo ispiratore, ha preso il nome di

lucrezianesimo.

È stato utile essersi soffermati brevemente su questa proposta poiché esemplifica bene i problemi legati al tentativo di salvare la realtà del passato “scaricandola”, per così dire, sul presente. Ci si può infatti domandare: che tipo di proprietà sono quelle di cui parla Bigelow? Al di là delle loro utilità teorica per il presentista e di un appiglio più o meno sicuro al discorso del senso comune, è lecito chiedersi: sono proprietà intrinseche o estrinseche? La seconda opzione è da escludere in partenza, poiché se fossero proprietà estrinseche il fatto che l’universo le possieda dipenderebbe da qualcos’altro; visto che si parla di proprietà la cui esistenza deriva da eventi passati esse sarebbero possedute in virtù dell’esistenza di tali eventi, ma ovviamente ciò non può essere accettato dal presentista. Bisogna allora concepirle come proprietà intrinseche. Tuttavia, se sono proprietà intrinseche perché non sono in alcun modo rintracciabili? Esse sarebbero infatti proprietà che non sortiscono al cui tipo di effetto. Il presentista potrebbe a questo punto rispondere che esse hanno, al contrario, un effetto rintracciabile: sono gli effetti del passato sul presente. In questo modo però si rischia di far dipendere la realtà del passato dalla sua conoscibilità. Infatti, se diciamo che tali proprietà consistono nell’effetto che il passato ha lasciato sul presente diciamo di per ciò stesso che tutti gli eventi del passato il cui effetto non è più rinvenibile nel presente non esistono più: ad esempio, se il fossile lasciato dallo scheletro di un dinosauro andasse distrutto, e con esso sparissero tutti gli effetti lasciati dall’esistenza di quel dinosauro nel presente, per l’impostazione lucrezianista quel dinosauro smetterebbe di essere reale; questa è evidentemente una conseguenza assurda.

La posizione lucrezianista, e con essa tutte quelle che cercano di salvare la realtà del passato affidandola al presente, si trovano quindi prigioniere del seguente dilemma: o le proprietà che postulano non sono legate ad effetti presenti, e allora il loro status metafisico di proprietà intrinseche diventa particolarmente oscuro; oppure, sono legate

65

ad effetti presenti, e così la realtà del passato viene a dipendere dalla sua rintracciabilità nel presente ed è di per ciò stesso messa a rischio proprio in quanto realtà.

A fronte di questi problemi i sostenitori del presentismo hanno esplorato altre soluzioni. Per esempio, si è cercato di allargare in qualche modo l’ontologia del presentismo senza per ciò rinunciare alla sua tesi principale, e cioè il fatto che il presente occupi un ruolo privilegiato all’interno della realtà. Un modo di farlo è ammettere l’esistenza degli eventi passati e futuri ma sostenere che essi sono in qualche modo “meno reali” del presente o dipendenti da esso. Prendiamo per esempio il

presentismo gradualista di Smith (2002). Esso consiste nella seguente tesi:

“Essere temporalmente presente è il più alto grado di esistenza. Essere passato ed essere futuro di una quantità appena infinitesimale è il secondo più alto grado di esistenza. Essere passato di un’ora ed essere futuro di un’ora sono gradi di esistenza più bassi, ed essere passato di cinque miliardi di anni ed essere futuro di cinque miliardi di anni sono gradi di esistenza ancora più bassi” (pag. 119-120)

In sostanza, questa teoria merita davvero il nome di teoria presentista poiché solo il presente esiste pienamente. Il passato e il futuro esistono anch’essi, ma con un grado di esistenza inferiore. Esistono, anche se in una forma indebolita, fanno parte a pieno titolo della realtà come il presente. In questo modo la realtà del passato – e non solo, persino quella del futuro – è fatta salva dai gradi di esistenza, e con essa lo sono anche i fattori di verità per gli enunciati al passato. Questa posizione è motivata da Smith in base a considerazioni fenomenologiche:

“Io non sto semplicemente stipulando che ‘gradi di esistenza’ significhi ‘distanza dal presente’; io sostengo che questo sia il modo in cui facciamo esperienza dell’esistenza, come qualcosa di graduato, e che quindi l’affermazione ‘grado di esistenza = distanza dal presente’ descriva accuratamente la nostra esperienza [acquaintance] immediata dell’esistenza e del tempo” (2002, pag. 122)

Un altro esempio di questo tipo di approccio è dato dal presentismo della priorità, proposto da Baron (2014). Anche in questa teoria esistono sia passato che il futuro, oltre naturalmente al presente. Però è solo il presente ad esistere in maniera fondamentale, mentre il passato e il futuro sono fondati (grounded) nel presente. In sostanza, tutto qui si basa sulla distinzione tra entità fondamentali ed entità derivate; gli eventi/entità presenti sono fondamentali, mentre quelli passati e futuri derivati. Tale impostazione

66

rende questa versione del presentismo piuttosto simile alla moving spotlight view. Ciò di cui c’è bisogno affinché questa impostazione possa essere coerente è una nozione di “grounding diacronico”, cioè di relazione di dipendenza metafisica che possa stabilirsi tra entità che esistono in tempi diversi. Nelle parole dell’autore:

“Quali sono, quindi, le entità presenti che fondano diacronicamene [diachronically ground] le entità passate e future? […] l’opzione che adotterò qui è di fondare il passato e il futuro in proprietà tensionali istanziate nel presente, possedute dal mondo stesso: proprietà primitive che, in qualche senso non analizzabile, ‘puntano verso’ il passato e il futuro. (2014, pag. 7)”

E che dire invece del presentismo moderato di Orilia (2012, 2016)? Anche secondo questa versione di presentismo il passato esiste. Però, le entità passate non sono entità concrete ma ex-concrete (un concetto che Orilia riprende dal filosofo inglese Timothy Williams). Quando delle entità o degli individui cessano di essere presenti non cessano di esistere ma:

“…cessano di essere concreti (divenendo così ex concreti), nel senso che cessano di avere proprietà concretizzanti quali un certo peso o una certa forma o un certo colore. Questa perdita di concretezza però non esclude che essi possano essere, per esempio, referenti di termini singolari” (2012, pag. 125)

“Nell’accettare l’esistenza degli oggetti ex-concreti non c’è nessun impegno ontologico verso cavalli, o altre creature, o più in generale oggetti fisici come tavoli e pietre, ma stranamente privati di tutte le loro usuali caratteristiche fisiche. C’è invece un impegno ontologico verso oggetti con proprietà tensionali passate come ‘essere stato un cavallo’ (a un dato tempo), o ‘essere stato un tavolo’ (a un dato tempo)” (2016, pag. 596)

Dunque, la realtà del passato e la possibilità di riferirvisi sarebbero salvate attraverso la loro esistenza ex-concreta.

Ora, al di là dei dettagli delle costruzioni metafisiche appena prese in esame (presentismo gradualista, presentismo della priorità e presentismo moderato), possiamo vedere che ci sono diverse caratteristiche che le accomunano. La prima è la mancanza di una certa chiarezza sui punti essenziali. Cosa significa infatti dire che il passato ha un grado di esistenza minore, o che è metafisicamente derivato dal presente, o che è ex- concreto? Cosa cambierebbe nell’esperienza che facciamo del mondo se, poniamo, il

67

passato non fosse metafisicamente derivato? O in altre parole: che ragioni positive ci sono per adottare uno qualsiasi di questi tre modelli? Smith (2002) sostiene che è l’esperienza in prima persona che spingerebbe verso la concezione della realtà come esistente in diversi gradi, ma non è assolutamente chiaro quale sia il collegamento. L’esperienza della realtà come soggetta al passaggio del tempo è una motivazione a sostegno di ogni teoria A, ma non sembra esserci nessun collegamento particolare con la proposta di Smith; tanto più che non si vede in che modo l’esperienza dovrebbe portarci ad asserire che esistono ancora eventi accaduti cinque miliardi di anni fa. Il punto è che tutte queste sofisticate costruzioni metafisiche sembrano più dei tentativi di salvare una teoria che non solo può essere meglio difesa con molto meno ma che oltretutto, se spinta in queste direzioni, rischia di diventare una costruzione puramente

ad hoc.

Un secondo problema è che, reintroducendo l’esistenza del passato, il presentismo si riaccolla tutta una serie di concetti problematici – quali la nozione di istante e la concezione del passato e del futuro come proprietà – la cui assenza era proprio il punto di forza della teoria originale, uno dei motivi principali per il quale potrebbe essere preferita ad altre teorie A. Con tutto questo armamentario di concetti non grati ritornano infatti anche i problemi. I tre problemi più frequenti per le teorie A, presi in esame nel capitolo precedente e dai quali il presentismo nella sua versione standard potrebbe dirsi quasi completamente immune, rischiano invece di essere reintrodotti non appena la teoria viene appesantita con certi tipi di assunzioni ontologiche e metafisiche. La proposta di Smith (2002), per esempio, reintroduce in tutta la sua forza il problema del presente ed è inoltre costretta a trovare una risposta al paradosso di McTaggart. Considerazioni simili valgono per il presentismo di Baron (2014), mentre quello di Orilia (2016) può forse salvarsi dal problema del presente, applicando il passaggio all’ex-concretezza anche alle esperienze coscienti (specificare come ciò possa essere fatto al livello teorico è naturalmente altra storia). Sicuramente tutte e tre queste versioni di presentismo sono soggette al problema della velocità dello scorrere del tempo: dal momento che il tempo è concepito come lo scorrere della piena presentezza (o della concretezza, o delle proprietà tensionali fondamentali) è lecito chiedersi quanto velocemente avvenga questo scorrimento.

Un approccio leggermente più popolare al modo in cui il presentismo può arricchire la sua ontologia è quello che è stato chiamato presentismo ersatzista. La sua idea di base è sempre quella di arricchire l’ontologia del presentismo ma, invece di farlo

68

attraverso entità concrete (o ex-concrete) si opta per entità astratte, che potrebbero risultare meno problematiche o, soprattutto, meno in conflitto con la tesi centrale del presentismo. Il presentismo ersatzista introduce altri istanti oltre o quello presente ma come entità astratte: più in particolare, come insiemi coerenti e massimali di proposizioni. La differenza tra l’istante presente e gli istanti futuri e passati sta nel fatto che solo l’istante presente è concreto – cosa che rende vere tutte le proposizioni di cui la sua controparte astratta è composta – mentre invece gli altri istanti sono astratti. Si può quindi parlare di una B-serie19 astratta, composta da tali insiemi di proposizioni che sono appunto chiamati “ersatz”, e correlativamente di una A-serie che consiste nel diventare concreto di un istante dopo l’altro.20 È proprio negli ersatz che questa versione di presentismo troverebbe i fattori di verità degli enunciati al passato.

Questa versione di presentismo si è rivelata sicuramente la migliore tra tutte quelle che propongono di arricchire l’ontologia presentista. Le entità astratte sono effettivamente più adeguate di quelle concrete, se non altro perché permettono di non generare il paradosso di McTaggart o il problema del presente.21 D’altra parte, è vero che le entità astratte non sono quelle più disponibili ad essere accettate entro un’ontologia del tempo, specialmente se immessa in un quadro teorico a forte deriva naturalista, come non è certo infrequente in filosofia analitica. Al di là di questo, anche accettando di ammettere entità astratte nella propria ontologia, per il presentismo ersatzista rimangono tre problemi più gravi.

Il primo concerne il solito rischio di costruzione ad hoc, quasi sempre presente quando si tratta di ontologie così complesse: che motivi positivi, oltre la difesa di una teoria presentista, vi possono essere per postulare l’esistenza di una serie ordinata di istanti astratti che consistono in insiemi di proposizioni? Quale fenomeno o parte della realtà dovrebbe spiegare questa costruzione? C’è forse qualche connessione tra la serie degli ersatz e l’esperienza del tempo che facciamo nella nostra vita cosciente? Non appare certo immediata una riposta positiva.

Il secondo problema, strettamente connesso al primo, riguarda proprio la capacità di questa posizione di render conto del passaggio del tempo. È chiaro che, se scelgo di chiamare “tempo” una B-serie astratta e sostengo che di volta in volta i componenti di

19

Cioè di una serie di istanti ordinata secondo relazioni di precedenza.

20

Questo approccio è stato difeso nella maniera più precisa e sofisticata da Bourne nei capitoli 2 e 3 del suo libro A Future for Presentism (2006).

21

Discorso diverso vale per il problema della velocità dello scorrere del tempo, al quale il presentismo ersatzsita è sottoposto. Per esso vale infatti un discorso simile che per le tre versioni precedenti.

69

questa serie diventano concreti, c’è un senso in cui possa aver definito qualcosa come uno “scorrere del tempo”. Ma questa definizione ha una qualsivoglia valenza reale? Vogliamo seriamente sostenere che ciò di cui parliamo quando parliamo del tempo non sia nient’altro che una complessa faccenda di proposizioni astratte? Non sembra un’opzione molto plausibile.

Il terzo problema, sul quale la maggior parte dei critici hanno insistito è che questo approccio rischia di incappare in una formulazione circolare:

“…il momento presente dovrebbe essere considerato come la congiunzione di tutte le proposizioni che sono presentemente vere, cioè vere simpliciter; e, generalizzando, ogni momento è una congiunzione di tutte le proposizioni… che sono vere in quel momento” (Bourne 2006, pag. 53)

Non è difficile vedere dove stia qui il rischio di circolarità. Un momento è definito come l’insieme di proposizioni vere in tale momento; ciò che si deve definire ricorre già nella definizione: per definire il momento astratto è in certo modo necessario far riferimento alla sua controparte concreta che ha reso vere le proposizioni di cui il primo è costituito.

Alternativa a tutte le proposte esaminate fino ad adesso è quella di Tallant e Ingram (2015). Essi, parlando di presentismo ‘nefarious’, col quale si propongono di offrire un’alternativa tanto agli approcci che vogliono trovare nel presente i fattori di verità degli enunciati al passato (come il lucrezianesimo di Bigelow), quanto a quelli che mirano ad arricchire l’inventario ontologico del presentismo (come il presentismo graduato o quello ersatzista). La loro soluzione è semplice: poter parlare di fattori di verità non ha implicazioni ontologiche. Ossia: il fatto che un enunciato al passato sia vero non ha implicazioni riguardo all’ontologia. È vero che Cesare ha attraversato il Rubicone ma ciò non richiede in alcun modo di arricchire l’ontologia presentista con entità aggiuntive oltre a quelle meramente presenti per poter rendere conto di tale verità. Invece, come spiegano gli autori:

“Questa è una verità tensionale sul mondo, e non c’è una spiegazione per la sua verità che debba essere data in termini di ontologia. In termini generali, il presentista ‘nefarious’ pensa che si possa dire che <Si è dato il caso che p> è vero, poiché si è dato il caso che p” (2015, pag. 356)

70

Si può considerare questa proposta come un’estensione al problema dei fattori di verità di ciò che, in relazione alle discussioni sul paradosso di McTaggart, abbiamo chiamato “prendere la tensionalità seriamente”. Con questa espressione ci si riferisce alla scelta di alcuni teorici A di non concepire Presente, Passato o Futuro come proprietà ma di trattarle come nozioni primitive, legate a quella caratteristica della realtà che è il passaggio del tempo. Contrariamente quindi all’impostazione di McTaggart, che concepiva il tempo come una successione di istanti che nella sua interezza esiste atemporalmente, il teorico A che prende seriamente la tensionalità vede le nozioni di Passato, Presente e Futuro come irriducibili ad analisi di questo tipo, che vorrebbero ridurre le tre “dimensioni” temporali a una realtà più fondamentale (come quella degli istanti e delle proprietà temporali). Il presentista ‘nefarious’ attua un ragionamento simile nel caso dei fattori di verità: non c’è una cornice unitaria che dovrebbe contenere,