A fronte degli argomenti affrontati finora, possiamo riassumere il confronto dialettico tra teoria A e teoria B dicendo che quest’ultima ha sostanzialmente un solo argomento diretto a suo favore, e cioè quello di Putnam-Rietdjik. Abbiamo esaminato nel dettaglio l’argomento e le sue possibili risposte, vedendo come sia ben lungi dall’essere decisivo. Per il resto, la teoria B, che è quella che raccoglie il maggior consenso tra i filosofi che si occupano del tempo (almeno nell’area analitica), non ha altri argomenti che giocano direttamente a suo favore ma si appoggia invece sul fatto che più o meno ogni versione della rivale teoria A soffra di grossi problemi. Tuttavia, nei primi due capitoli abbiamo visto che esistono diversi modi coi quali il teorico A può rispondere agli argomenti considerati maggiormente stringenti, i quali dovrebbero mettere fuori gioco la sua proposta (due su tutti, il paradosso di McTaggart e la velocità dello scorrere del tempo). Ammettendo che tutto ciò che abbiamo detto finora sia corretto, quindi, la teoria A e la teoria B sembrerebbero trovarsi in una situazione di pareggio. Nessuna delle due avrebbe forti argomenti contro o a suo favore. Esiste allora un argomento che possa portare una teoria dinamica del tempo in posizione di vantaggio?
Abbiamo sottolineato più volte che la teoria A cerca di catturare ed esprimere la forte intuizione che la realtà abbia un carattere dinamico. Perché la visione per cui il tempo passa dovrebbe risultarci più intuitiva di quella per cui il tempo non passa? Molti sostengono che sia per via dell’esperienza che facciamo del mondo. Si parla quindi di
argomento dell’esperienza in relazione al fatto che l’esperienza sembri favorire una
teoria dinamica del tempo rispetto ad una statica.
In che senso l’esperienza dovrebbe porre dei problemi alla teoria B? Non vi è qui né lo spazio né l’intenzione di esaminare nel dettaglio tutti i vari sviluppi dell’argomento dell’esperienza e le eventuali risposte. Considereremo solo alcuni esempi e, più che sugli argomenti, ci concentreremo sul modo in cui sono strutturati e pensati.
La prima cosa su cui soffermarsi è il modo in cui viene inteso in questo contesto il termine “esperienza”. Quando nel dibattito in filosofia del tempo si parla di “esperienza del passaggio del tempo” la si intende come se si dovesse trattare letteralmente di un
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fenomeno esperibile che è il passaggio del tempo. Il passaggio del tempo dovrebbe cioè essere un qualche cambiamento, presumibilmente inerente alla struttura fisica fondamentale del mondo, che potrebbe essere in linea di principio accessibile all’esperienza. Per dirla più brevemente, il passaggio del tempo viene trattato come un qualsiasi contenuto empirico.
Ora, come viene solitamente concepito il passaggio del tempo in una teoria A? Detto sommariamente, come lo scorrere lungo la linea degli istanti della proprietà Presente. Per fare esperienza del passaggio del tempo noi dovremmo quindi far esperienza di un cambiamento in ciò che – che sia un istante, un evento o un’esperienza – possiede la proprietà Presente. Se a questo aggiungiamo che ciò che possiede la proprietà Presente è, nelle teorie A standard, una classe di eventi simultanei, arriviamo al risultato che percepire il presente degli eventi implica percepire correttamente quali eventi sono simultanei tra loro. Abbiamo quindi una tempesta di confusioni.
Il passo più immediato da muovere per il teorico B è naturalmente negare che noi possiamo percepire accuratamente le relazioni di simultaneità tra eventi. I nostri giudizi di simultaneità possono infatti essere spesso erronei e non servono le scienze cognitive per capire che la capacità discriminatoria della nostra percezione ha dei limiti. Se il Presente è quindi pensato come una classe di eventi uniti da relazioni di simultaneità, allora è escluso che noi si possa percepire il Presente (e quindi tantomeno lo “scorrere” di tale Presente). Inoltre, il fatto che noi possiamo percepire – qui nel senso letterale di vedere con gli occhi – gli eventi solo una volta che un segnale luminoso da loro emesso ci abbia raggiunti fa sì che noi non si possa mai entrare in contatto col “presente degli eventi”. La percezione degli eventi non può quindi dirci se essi siano presenti o meno e, anche se lo fossero, non c’è motivo di pensare che al livello qualitativo la nostra percezione cambierebbe in qualche modo:
“Supponiamo che io guardi degli eventi nello spazio attraverso un telescopio. Vedo due eventi e l’ordine nel quale essi occorrono: quale prima e quale dopo. Non vedo i loro A-tempi: il telescopio non mi mostra quanto tempo fa gli eventi sono occorsi. […] Quindi, a seconda della teoria che adotto, potremmo localizzare questi eventi ovunque nella A-serie, da qualche minuto fa a milioni di anni fa. Essi sembreranno comunque identici. In altre parole, contrariamente a come comunemente si pensa, non vediamo gli A-tempi di questi come di nessun altro
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evento. L’osservazione non può neanche dirci se ciò che vediamo è passato piuttosto che futuro” (Mellor 1998, pag. 16)
Pur ammettendo che i nostri giudizi sulla simultaneità o sulla posizione della A-serie degli eventi siano corretti, rimane un problema di fondo. Cosa vorrebbe dire “percepire il Presente”? Cioè: cos’è che noi dovremmo percepire o in generale cogliere di un evento – sia esso un evento fisico o un evento mentale della nostra esperienza soggettiva – perché lo si possa definire Presente? La risposta più sensata a questa domanda sembra essere: niente. Non sembra aver senso dire che si percepisce la presentezza degli eventi:
“Ricordiamoci che in questa discussione ‘passaggio’ significa un aggiornamento di quale istante è ‘speciale’ [cioè metafisicamente privilegiato], per esempio quale istante è l’unico che esiste, o l’ultimo istante venuto in esistenza, o quello che è oggettivamente presente. Quindi, affinché possa sembrare che il tempo passi, un istante e il suo contenuto dovrebbero apparire ‘speciali’. Ma è così? Supponiamo che oggi sia martedì. Le tue esperienze di martedì hanno forse uno speciale carattere fenomenico?” (Deng 2019, pag. 11)
La risposta all’ultima domanda posta in questa citazione sembra essere “Ovviamente no”. Le esperienze che ho oggi – od ora – non sembrano avere un carattere fenomenico speciale né in qualche modo privilegiato rispetto a quelle che ho avuto ieri o un attimo fa. Un esempio43 che può aiutare a chiarire questo punto è il seguente: supponiamo che io abbia una capacità infallibile e infinitamente precisa di descrivere la mia esperienza al livello fenomenico. Per esempio, sono in grado di dare una descrizione esaustiva e inappuntabile del sapore di un boccone di bistecca al sangue (dobbiamo naturalmente suppore che abbia senso parlare dell’esperienza fenomenica in questi termini, cioè come di un oggetto da descrivere). Poniamo allora che io stia provando un’esperienza analoga ad un’altra provata ieri. Essendo le due esperienze identiche, ed essendo io in grado di darne descrizioni minuziose e infallibili, posso operare una sorta di perfetta comparazione tra di esse. C’è motivo di supporre che le due esperienze abbiano una qualche differenza fenomenica solo perché una è di oggi mentre l’altra è di ieri? Sembra proprio di no. Se è così, però, il fatto che un’esperienza sia Presente non aggiunge
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niente al suo carattere fenomenico. Quindi44, non c’è nessun senso in cui noi percepiamo qualche cosa come il “presente degli eventi”.
Di qui segue naturalmente la mossa del teorico B:
“Ovviamente percepire qualcosa è diverso dal ricordarlo o dall’attenderlo. Quindi, in questo senso, c’è una connessione tra la presentezza e l’esperienza. In ogni istante, uno percepisce solo alcune cose e non altre. Ma questo tipo di ‘specialià’ della presentezza è perfettamente compatibile con l’universo blocco: ogni istante è ‘presente’ e quindi ‘speciale’ per se stesso, così come ogni locazione spaziale è ‘qui’ per se stessa” (Deng 2019, pag. 11)
Se è vero che non percepiamo la proprietà Presente ne segue che il teorico B ha due vantaggi essenziali. Il primo è di non dover dichiarare che il passaggio del tempo sia un’illusione: poiché non percepiamo quella proprietà fondamentale sulla quale il passaggio dovrebbe basarsi, non ha senso parlare di illusione. Illusione c’è solo se ci può essere un errore percettivo, ma poiché non percepiamo il Presente qui non c’è neanche la possibilità di tale errore.
Il secondo vantaggio è quello di poter ricostruire (o quantomeno credere di poterlo fare) la nostra esperienza in termini compatibili con la sua teoria. Abbiamo visto come nella teoria B siano fondamentali le relazioni d’ordine temporale. Se tutto ciò che percepiamo sono eventi in successione, senza che si possa percepire niente di simile alla “presentezza” di questi eventi, allora la teoria B non ha proprio nessun problema a rendere conto della natura della nostra esperienza del mondo. Possiamo chiamare questo il primo controargomento dell’esperienza sviluppato dai teorici B. Esso è così strutturato:
(1) Se potessimo percepire la proprietà Presente allora la teoria B, per la quale questa proprietà non esiste, sarebbe messa in crisi.
(2) Noi possiamo rendere conto dei contenuti della nostra esperienza semplicemente specificando l’ordine di percezione degli eventi e il carattere fenomenico delle diverse esperienze.
(3) Da (2) segue che non fa parte della nostra esperienza nessuna proprietà Presente.
(C) La teoria B è perfettamente compatibile coi contenuti della nostra esperienza.
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Quest’ultimo passaggio può essere fatto solo sotto l’assunzione che il carattere fenomenico sia del tutto determinato dal contenuto della percezione. È quello che viene chiamato intenzionalismo in filosofia delle percezione.
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Questo per quanto la riguarda il Presente inteso come proprietà. Che dire invece del passaggio del tempo? È senz’altro un problema dire che si possa percepire il passaggio del tempo se non possiamo percepire la proprietà sulla quale si fonda. Cerchiamo comunque di trattare le due questioni in modo separato e di domandarci se si possa percepire un qualcosa che merita di esser chiamato “passaggio del tempo”.
Ora, i filosofi impegnati nel dibattito attuale hanno messo al centro di tutta la questione quei fenomeni che noi percepiamo come dinamici. Alcuni esempi immediatamente comprensibili sono: lo sbattere d’ali di un uccello, una palla che si sposta a mezz’aria, un corpo in caduta, lo spostarsi della lancetta dei secondi di un orologio, lo scorrere di un corso d’acqua o, per inserire anche un fenomeno non visivo, lo svilupparsi di una melodia. In tutti questi casi ciò che noi percepiamo non sono una serie di contenuti fissi e per così dire “istantanei”, conchiusi in loro stessi, ma invece un mutamento continuo. Ad esempio, se osserviamo le ali di un uccello che si muovono, non vediamo prima l’ala ferma in una certa posizione, poi ferma in un’altra e così via. Vediamo invece un movimento unico in cui l’ala cambia dinamicamente posizione. Si è pensato che questa continuità dinamica di alcuni cambiamenti fosse il luogo privilegiato dover andar a cercare la percezione del passaggio del tempo. Questo perché, sempre secondo tale linea di pensiero, sembra che solo una teoria A, una teoria dinamica del tempo, sia in grado di rendere conto di questo tipo di esperienze. In breve: solo una teoria dinamica, che postula il passaggio del tempo, sembra poter spiegare adeguatamente un’esperienza di dinamicità.
Esamineremo adesso una risposta a questo secondo tipo di appiglio all’esperienza da parte del teorico A: essa punta a spiegare il contenuto dinamico di queste nostre esperienze tramite una serie di contenuti in se stessi statici. Come spiega efficacemente Deng (2018):
“L’idea centrale è quella che fenomeni illusori di cambiamento (come il fenomeno phi del colore) supportino l’affermazione per cui input statici possono produrre esperienze dinamiche, così che una realtà B-teorica possa essere esperita come una A-teorica e dinamica” (pag. 3)
Un argomento standard in questa direzione è sviluppato da Paul (2010). Esso si basa, come specificato sopra, sul fenomeno phi. Si tratta di illusioni percettive in cui degli stimoli percettivi “statici” (cioè puntiformi) vengono rielaborati dal cervello producendo l’esperienza di un fenomeno dinamico. In sostanza, la nostra esperienza
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fenomenica dinamica non corrisponde alla realtà dei fatti poiché gli stimoli ricevuti erano statici. Per esempio, nel caso del movimento apparente, si ha che al soggetto viene mostrato un punto sulla parte sinistra dello schermo di un computer e, subito dopo, il punto scompare e ne viene mostrato un altro sulla parte destra. Poi quello sulla parte destra scompare, e ricompare quello sulla parte sinistra e così via. Se l’intervallo che separa l’arrivo dei diversi stimoli statici – i punti – è sufficientemente breve, il soggetto ha l’esperienza visiva di un punto che si muove avanti e indietro lungo lo schermo. Questo è quindi un caso in cui input che possiamo considerare statici producono un’esperienza dinamica.
Una variante di questa esperienza è quella in cui i punti sono di colore diverso. In questo caso il soggetto, oltre a percepire un solo punto che si muove invece che due punti che appaiono in successione, percepisce anche che il punto cambia gradualmente di colore durante il movimento. In questo caso si ha dunque un’illusione di cambiamento qualitativo. L’interpretazione generale di queste esperienze è quella per cui il cervello, date le sue limitate capacità discriminative, interpreti gli input statici molto ravvicinati come se si trattasse di un unico oggetto coinvolto in cambiamenti dinamicamente esperiti.
L’idea di Paul è quella di sfruttare una spiegazione analoga per spiegare perché tutti i casi in cui ci sembra di percepire un cambiamento dinamico possano essere considerate delle illusioni, rendendo compatibile l’esistenza di queste esperienze di cambiamento dinamico con la teoria B:
“L’idea è che… il cervello processi la serie degli input e produca una rappresentazione mentale o esperienza di [un oggetto] O che cambia in un certa maniera animata o dinamica dall’essere P all’essere Q. Più in generale, quando abbiamo un’esperienza in cui sembra che ci sia passaggio del tempo [experience as
of passagge], possiamo interpretare questa esperienza come il risultato del fatto che
il cervello produca uno stato neurale che rappresenta gli input dagli stadi temporali precedenti a quelli successivi e che ‘riempia’ la rappresentazione di movimento o cambiamento. Quindi, secondo questo modello proposto [dal teorico B], non c’è nessun reale scorrimento o animazione nel cambiamento che avviene nel tempo. Piuttosto, uno stadio del cervello crea l’illusione di questo scorrimento o flusso, ed è l’effetto apportato dagli stadi precedenti su quest’ultimo” (Paul 2010, pag. 19)
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“Il [teorico B] sostiene che se il cervello può creare l’illusione dello scorrimento nei casi di movimento apparente, allora può creare la stessa illusione nei casi di esperienza del passaggio del tempo” (Paul 2010, pag. 20)
Possiamo quindi raccogliere queste considerazioni e costruire un secondo
controargomento dell’esperienza:
(1) Noi abbiamo esperienze di movimento o di cambiamento dinamico.
(2) Se l’assunzione della realtà del passaggio del tempo fosse il modo migliore per spiegare questo tipo di esperienze allora il passaggio del tempo andrebbe considerato reale.
(3) Vi sono dei modi, di cui anche il teorico B può avvalersi, in cui questi tipi di esperienze possono essere spiegati senza far riferimento al passaggio del tempo. (4) Da (2) e (3) segue che: le esperienze di cambiamento dinamico possono essere spiegate senza assumere la realtà del passaggio del tempo.
(C) La teoria B è perfettamente compatibile coi contenuti della nostra esperienza.
Se dunque il primo controargomento andava a minare la nostra possibilità di percepire la proprietà Presente, il secondo si propone di spiegare senza fare riferimento al passaggio del tempo le esperienze qualitativamente dinamiche che, per un motivo o per un altro, dovremmo essere più portati ad associare al passaggio del tempo.
Più avanti saranno fatte delle considerazioni generali sulla struttura di questi argomenti. Per adesso mi propongo di fornire a una risposta all’argomento elaborato da Paul.
Credo si tratti di un argomento profondamente fallace, poiché sembra esserci una confusione tra tre diversi piani: lo stimolo che produce un’esperienza, il contenuto di un’esperienza e la natura dell’esperienza stessa. Nel caso del fenomeno phi abbiamo una differenza tra il contenuto dell’esperienza – cioè di un unico oggetto che si muove dinamicamente – e lo stimolo che la produce. È per questo che è appropriato parlare di illusione percettiva. Ciò che va notato è che nel caso di questa illusione la natura dell’esperienza è dinamica, non statica.
Come andrebbe interpretata invece l’affermazione che ogni impressione di cambiamento dinamico è illusoria poiché in realtà viviamo in un universo blocco? Non può certo trattarsi di un cambiamento rispetto agli stimoli ricevuti dal cervello, sia perché sarebbe assurdo dire che noi riceviamo stimoli fisici dagli stadi temporali
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dell’universo quadrimensionale, sia perché ad ogni modo le diverse stimolazioni sensoriali avvengono nel tempo – nei diversi istanti –, non sono stimolazioni causate dal tempo stesso. Quello che qui si sta affermando è che in realtà vi è solo una serie di esperienze dal contenuto statico – poiché ogni singola esperienza è limitata a un singolo istante di tempo – le quali, occorrendo in successione, dovrebbero produrre un’esperienza di natura dinamica. Qui lo sfasamento è quindi tra la natura dell’esperienza e il suo contenuto.
Ora, il primo problema è se abbia senso o meno parlare di una differenza tra la natura di un’esperienza e il suo contenuto in questo senso. Se per esperienza dal contenuto dinamico si intende semplicemente che essa ci informa del fatto che un oggetto si muove, allora il contenuto è irrilevante poiché quello che a noi interessa qui è l’aspetto fenomenologico. Se d’altra parte si afferma che parlare d’esperienza dal contenuto dinamico è semplicemente parlare di un’esperienza dalla natura dinamica, e cioè si dice che in sostanza tra i due diversi piani non c’è differenza, allora l’affermazione che ci sia una serie di esperienze statiche è semplicemente falsa.45
Il secondo problema, strettamente connesso al primo, è che qui si sta di fatto introducendo una distinzione interna all’esperienza stessa che non esiste e non ha nessun senso. Nel caso del fenomeno phi accade che una serie di stimoli produca un’esperienza cosciente la quale è di un movimento dinamico continuo. Qui perciò la distinzione è tra stimoli prodotti da input statici ed esperienza dinamica. Però, nel caso dell’illusione della dinamicità in tutto e per tutto, la distinzione dovrebbe essere tra singole esperienze statiche ed esperienza dinamica globale. Ma dove sono questi due piani dell’esperienza? L’idea sembra essere che “scorrendo” o “sfogliando” rapidamente le esperienze esse, pur essendo statiche, si combinino in qualche modo a formare un’esperienza dinamica. Ma un’affermazione di questo genere, oltre a costituire un’impropria reificazione dell’esperienza, sembra basarsi su una distinzione di fondo tra due piani interni all’esperienza che non si trovano da nessuna parte. Una serie di esperienze statiche è una serie di esperienze statiche, per quanto veloci; un’esperienza dinamica è altra cosa. Dal momento che tutti concordano sul fatto che l’esperienza di un punto che si muove o di una palla che cade sono dinamiche in un senso ben preciso, non ha senso dire che c’è in realtà un livello dell’esperienza più profondo – di fatto non esperito – in cui c’è una serie di esperienze statiche. La distinzione tra realtà e
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Per un argomento volto a escludere la possibilità di un’esperienza dalla natura falsamente dinamica si veda Boccardi e Perelda (2018).
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apparenza ha senso nel caso del fenomeno phi poiché là si hanno due livelli diversi: gli input statici dal cervello da una parte e l’esperienza prodotta dall’altra. Qui invece si vuole trovare (o inventare) una distinzione tra un’apparenza di primo livello e una di secondo livello; si tratta di un vero e proprio errore categoriale (anche visto e considerato che una delle due apparenze non appare mai a nessuno).
Una terza risposta, la più generale possibile, che il teorico B può dare all’argomento dell’esperienza nega in tutto e per tutto che si possa percepire qualcosa come il