Arriviamo quindi al terzo maggior problema per le teorie dinamiche del tempo. Esso è con tutta probabilità quello più generale poiché le riguarda tutte, presentismo compreso (almeno in una sua formulazione). Si tratta del problema della velocità dello
scorrere del tempo. Come abbiamo visto, nel dibattito attuale spesso il passaggio del
tempo viene concepito in maniera simile a un fenomeno naturale, sia che si tratti di un cambiamento nelle proprietà degli istanti e degli eventi, sia che si parli di un blocco che si ingrandisce o che viene eroso. Nel linguaggio comune spesso si adopera la metafora del tempo come di un fiume; e di qui deriva appunto il parlare di scorrere del tempo. Tutte queste rappresentazioni nascondono però, come abbiamo notato, delle insidie. Da
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un lato una ipostatizzazione del tempo: pensiamo che esista qualche cosa che è “il” tempo, un qualcosa di difficile comprensione e che per aiutarci a spiegarne la natura paragoniamo a un fiume che scorre. È stato per primo Smart (1949) a notare che il paragone del tempo a un fenomeno naturale si porta dietro anche un altro problema:
“Un’ulteriore preoccupazione sorge quando ci chiediamo quanto velocemente scorre questo fiume. Se il tempo è un fiume che scorre allora agli eventi serve del tempo per navigare lungo la corrente […] come abbiamo pensato alla prima dimensione temporale come un fiume, così dovremo pensare anche alla seconda dimensione temporale come un altro fiume; ora però, la velocità di scorrimento di questo secondo fiume è un ritmo di cambiamento rispetto a una terza dimensione temporale, e così potremmo andare avanti a postulare indefinitamente nuove dimensioni senza mai arrivare a una soluzione soddisfacente” (pag. 484)
L’obiezione che fa Smart a una certa concezione del tempo è che rischia di cadere in un regresso all’infinito. Infatti, è alla dimensione temporale che noi facciamo riferimento quando diamo misure della durata di cambiamenti. Se però parliamo del passaggio del tempo stesso come di un cambiamento – come lo scorrere di un fiume, in senso metaforico, oppure come di un cambiamento nelle proprietà temporali – allora diventa legittimo parlare anche della durata di tale cambiamento. Tuttavia, in questo caso come in tutti gli altri, per poter parlare della durata dobbiamo far riferimento al tempo: ed ecco che la nostra concezione del passaggio del tempo diventa o completamente circolare, oppure cade in un regresso all’infinito. Diverrebbe infatti legittimo domandarsi quanto velocemente avviene il cambiamento che costituisce lo scorrere del tempo (o da quanto avviene, o per quanto):
“Un treno espresso, per esempio, potrebbe muoversi a 88 piedi al secondo. La domanda ‘Quanto velocemente si muove?’ è una domanda che ha un significato e una risposta definita: ‘88 piedi al secondo’. Potremmo non conoscere la riposta ma a ogni modo sappiamo che tipo di risposta bisogna fornire. Facciamo il confronto con la pseudo-domanda ‘Quanto velocemente sto avanzando nel tempo?’ o ‘Quanto velocemente è scorso il tempo ieri?’. Qui non sappiamo come trovare una risposta. Che tipo di misura dovremmo effettuare? Non sappiamo nemmeno in che tipo di unità dovrebbe essere espressa la nostra risposta. […] In tal caso il massimo che potremmo ottenere è di fare la non illuminante osservazione che il tempo passa di un secondo ogni secondo” (ibid. pag. 485)
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Il teorico A, se vuole difendere l’oggettività del passaggio del tempo, dovrebbe in qualche modo riuscire a fornire una risposta soddisfacente alla domanda sulla velocità dello scorrere del tempo.
Prima di vedere come ciò possa essere fatto, domandiamoci ancora una volta quali sono le teorie A che vengono colpite da tale obiezione. Sicuramente lo è la moving
spotlight, che si riconferma di nuovo come la teoria dinamica del tempo più
problematica. In essa il passaggio del tempo è rappresentato dallo scorrere della proprietà Presente lungo la linea ordinata degli istanti, per cui è in linea di principio possibile chiedersi “Quanto velocemente scorre tale proprietà?”. Le teorie growing
block e shrinking block fanno a meno del presente come proprietà ma non della
rappresentazione del passaggio del tempo come di un cambiamento: il cambiamento delle dimensioni del blocco degli eventi. Anche qui ha allora senso chiedersi “Quanto velocemente vengono aggiunti/sottratti nuovi eventi al blocco?”.
Per quanto riguarda il presentismo, invece, la situazione è leggermente più complessa. La versione del presentismo che contempla l’esistenza di istanti vuoti, che di volta in volta possiedono la proprietà Presente venendo così “riempiti” di eventi, è esposta al problema in questione. In questa versione la domanda sulla velocità dello scorrere del tempo assume lo stesso senso che ha nella teoria della moving spotlight. Che dire invece del presentismo privo di istanti? Come abbiamo sottolineato, in questa versione del presentismo è lecito parlare del tempo solo in un senso metaforico. In questa teoria tutto ciò che esiste è il presente, ed è il suo contenuto a cambiare di volta in volta. Il problema è semmai quello di specificare in che senso si possa qui parlare di passaggio del tempo o di divenire assoluto; non è infatti del tutto chiaro se l’affermazione che esista solo il presente e quella per cui ci sia passaggio del tempo siano tra loro coerenti. Possiamo allora fare la seguente considerazione: in generale, il presentismo può sfuggire alla domanda sulla velocità dello scorrere del tempo ma al prezzo di non rendere immediatamente scontata la sua coerenza interna come teoria.
Vediamo allora come si può rispondere all’obiezione originariamente formulata da Smart, forse la più stringente tra le tre che abbiamo incontrato poiché non solo colpisce almeno una versione di tutte le teorie dinamiche del tempo, ma mette in discussione la coerenza stessa dell’idea del passaggio del tempo.
La risposta più ovvia, che viene fornita dallo stesso Smart solo per essere subito catalogata come insoddisfacente, è che il tempo passi un secondo ogni secondo. L’idea è efficacemente espressa da Maudlin (2002):
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“Cominciamo considerando la logica delle misure del cambiamento. Se qualcosa, un fiume per esempio, scorre, allora possiamo domandarci quanto velocemente scorre (quante miglia per ora, relativamente alle rive). Chiedere quanto velocemente scorre un fiume vuole dire chiedere quanto si sarà allontanata l’acqua dopo che un certo periodo di tempo è passato […] Su questa base, se ci chiediamo quanto velocemente passa il tempo dobbiamo chiederci come lo stato temporale delle cose sarà cambiato dopo che un certo periodo di tempo è passato. In un’ora di tempo, per esempio, come sarà cambiata la mia posizione temporale? Chiaramente, sarò un’ora più avanti nel futuro, un’ora più vicino alla mia morte, un’ora più lontano dalla mia nascita. Quindi di fatto il tempo passa alla velocità di un’ora per ora…” (pag. 239)
La risposta sarebbe dunque semplice: il tempo passa alla velocità di un secondo per secondo, un’ora per un’ora, un anno per un anno, e così via. Si tratta di una risposta soddisfacente? Non è forse anch’essa una risposta circolare?
Il problema potrebbe essere posto nei seguenti termini: se rispondo che il tempo scorre alla velocità di un secondo per secondo dove entrambi i termini “secondo” si riferiscono alla stessa dimensione temporale, allora rischio di produrre una risposta circolare; se invece affermo che si riferiscono a dimensioni temporali diverse, rischio di generare un regresso all’infinito.
La difesa migliore della risposta per cui il tempo passi un secondo per secondo è stata data da Markosian (1993). Egli mostra innanzitutto come l’argomento di Smart si basi su due assunzioni implicite. La prima riguarda la dimensione temporale nella quale è espressa la misura del cambiamento, e può essere così formulata:
(A1) Per ogni dimensione temporale T, se T scorre o passa, allora deve esserci qualche altra dimensione temporale, T’, tale che T’ è distinta da T, e che il passaggio di T deve essere misurato rispetto a T’.
La seconda assunzione è invece necessaria a generare il regresso all’infinito:
(A2) Per ogni serie di dimensioni temporali, T1, …, Tn, il passaggio di ognuno dei
primi Tn-1 membri deve sempre essere misurato rispetto al membro successivo della
serie; o più in generale, Tn deve sempre essere misurato rispetto a Tm, dove Tm è una
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Date queste due assunzioni può essere sviluppato un primo argomento contro la coerenza della nozione di scorrere del tempo. L’argomento è così articolato:
(P1) Se il tempo scorre o passa, allora c’è qualche seconda dimensione temporale rispetto alla quale il passaggio del tempo normale deve essere misurato.
(P2) Se c’è qualche seconda dimensione temporale, allora anche questa seconda dimensione temporale deve scorrere o passare.
(P3) Se la seconda dimensione temporale scorre o passa, allora deve esserci una terza dimensione temporale rispetto alla quale il suo passaggio viene misurato, e così via all’infinito.
(P4) Non si dà il caso che vi siano infinite dimensioni temporali.
(C) Il tempo non passa.
Per poter resistere a questo argomento bisogna negare una delle sue premesse. Si potrebbe per esempio scegliere di negare (P4) e assumere l’esistenza di infinite dimensioni temporali. In questo modo la coerenza del passaggio del tempo sarebbe salvata ma al prezzo di una pesantezza ontologica della teoria semplicemente assurda. Oltre al fatto che non sembra esserci nessuna prova indipendente dell’esistenza di infinite dimensioni temporali.
La seconda e la terza premessa si basano sull’assunzione (A2), mentre la prima su (A1). Entrambe queste assunzioni sono necessarie a generare il regresso all’infinito, ma la prima – cioè quella per cui il passaggio del tempo come cambiamento deve essere espresso facendo riferimento a un’altra dimensione temporale – è più fondamentale. Markosian sceglie di rifiutare proprio quest’ultima. Egli argomenta che non ci sono motivazioni plausibili per accettare tale assunzione. Non c’è niente che in linea di principio impedisca di parlare del passaggio del tempo facendo riferimento al tempo stesso.
Non si incorre allora nella circolarità? Markosian fa i conti con questa possibile obiezione e si domanda se una risposta del tipo “n unità di tempo per unità di tempo” – un secondo per secondo, un’ora per un’ora ecc. – si possa considerare una risposta coerente alla domanda sulla velocità dello scorrere del tempo. Avendo rifiutato la premessa principale del precedente argomento si trova comunque costretto a fare i conti con un nuovo argomento:
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(P1’) Se ha senso dire che il tempo passa, allora ha senso domandare “Quanto velocemente passa il tempo?”
(P2’) Se ha senso domandare “Quanto velocemente passa il tempo?”, allora esiste una risposta coerente a questa domanda.
(P3’) Non si può fornire una risposta coerente a questa domanda.
(C’) Non ha senso parlare del passaggio del tempo.
Markosian ribatte a questo argomento negando naturalmente la terza premessa. Per far questo egli riflette sulla struttura logica delle misurazioni di cambiamento. Prendiamo ad esempio l’enunciato per cui “La vettura si muove con la velocità di 40 chilometri all’ora”. Markosian sostiene che, se c’è passaggio del tempo, qui non si sta paragonando il cambiamento della posizione della vettura a un altro cambiamento qualsiasi, come per esempio allo spostamento delle lancette di un orologio; qui si starebbe paragonando, in maniera più o meno accurata, un cambiamento di posizione al passaggio del tempo stesso. Ecco allora che questo paragone non ci fornisce informazioni solamente sulla velocità di spostamento di un corpo ma anche sulla velocità dello scorrere del tempo stesso. Se infatti affermo che “La vettura si muove con la velocità di 40 chilometri all’ora”, non solo affermo che in un’ora la vettura sarà 40 chilometri più avanti, ma anche che ogni 40 chilometri percorsi dalla vettura sarà passata un’ora di tempo, e questa è anche un’informazione sulla velocità dello scorrere del tempo. Così, Markosian può rifiutare (P3’), poiché secondo questa analisi noi forniamo risposte coerenti alla domanda sullo scorrere del tempo ogni qual volta formuliamo giudizi che esprimono il cambiamento nei termini della dimensione temporale. Inoltre, questa risposta permette di rifiutare ulteriormente la premessa (P1) del precedente argomento, poiché abbiamo visto che possiamo esprimere giudizi che parlano della velocità del passaggio del tempo senza far riferimento a nessun’altra dimensione temporale. In quest’ottica la considerazione che il tempo passa un secondo ogni secondo non è circolare per il semplice fatto che è banale e non informativa: stiamo infatti paragonando un cambiamento con se stesso. Allo stesso modo potremmo dire che “La vettura si muove di 40 chilometri ogni 40 chilometri”; anche questo giudizio non è circolare ma semplicemente triviale.
Un ulteriore approfondimento di questo tipo di risposta è stato dato da Skow (2010, 2011a). Egli fa notare come la risposta alla domanda sulla velocità del passaggio del tempo debba sì trovare una risposta coerente, ma occorre che sia una risposta che il
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teorico B non possa dare, essendo la teoria B una teoria statica del tempo. Per esempio, il teorico B potrebbe ribattere che un giudizio del tipo “La vettura si muove di 40 chilometri all’ora” può essere analizzato in una maniera che non richiede l’introduzione del passaggio del tempo. Per esempio, potrei riscriverlo nel modo seguente: “La vettura si muove di 40 chilometri per ogni spostamento delle lancette del mio orologio che convenzionalmente chiamo ‘ora’”. In questo giudizio noi confrontiamo due cambiamenti senza far menzione dello scorrere del tempo e in un certo senso sembra possibile analizzare in questa maniera tutti i giudizi che fanno riferimento alla dimensione temporale. Il teorico B potrebbe allora obiettare che, seppur la risposta fornita al suo argomento sia di per sé coerente, essa non aggiunge nulla di sostanziale poiché non si capisce che utilità abbia postulare un puro e semplice passaggio del tempo se tutte le misure dei cambiamenti possono essere espresse senza farvi riferimento. Il teorico A è costretto qui a pagare il pegno del suo aver considerato fin dall’inizio il tempo come un fenomeno naturale, e la realtà del tempo come affine allo spazio; dopotutto, in questo paragrafo si è adoperata numerose volte l’espressione “dimensione temporale”, che già spinge verso una spazializzazione del tempo poiché la nozione di dimensione è una nozione prettamente spaziale.
Skow fa anche notare che la risposta alla domanda “Quanto velocemente scorre il tempo?” non fornisce come risposta una misura ma una quantità. Un secondo al secondo (1 s/s) non è infatti una misura ma un numero. Questo potrebbe essere ritenuto un esito paradossale ma è in realtà solamente il risultato banale di una banale richiesta di specificazione di una quantità (“Quanti secondi ci sono in un secondo?”, “Quanti chilometri ci sono in quaranta chilometri?”). Arriviamo qui a esprimere con maggiore chiarezza le perplessità che Smart ha cercato di esprimere rivolgendo per primo l’obiezione in questione alla teoria A: se c’è passaggio del tempo, perché non è possibile effettuare delle misurazioni che misurano solo quello? Markosian risponderebbe che di fatto lo misuriamo ogni qualvolta vi facciamo riferimento nella misura di altri cambiamenti, ma il teorico B potrebbe ribattere che quando effettuiamo tali misurazioni abbiamo primariamente di mira il cambiamento che misuriamo facendo riferimento al tempo e non il passaggio del tempo stesso. Nasce cioè ancora una volta il sospetto che il teorico A stia postulando una sorta di cambiamento addizionale – il passaggio del tempo – del quale non c’è alcuna necessità per spiegare i fenomeni.
Su questo punto si deve allora dire che tra il teorico A e il teorico B si verifica una situazione di pareggio. La domanda “Quanto velocemente scorre il tempo?” può trovare
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una risposta coerente, anche se estremamente banale. Tuttavia, la nostra pratica di misurare i cambiamenti facendo riferimento a unità temporali non può essere una ragione sufficiente per postulare la realtà del passaggio del tempo (o meglio: del passaggio del tempo concepito alla maniera del cambiamento). Il teorico A dovrà allora trovare motivazioni indipendenti per rivendicare il carattere dinamico della realtà.