SFERA PUBBLICA E SFERA PRIVATA 1 Concetti e ness
3. Dal confine alla frontiera
Sintetizzando alcuni punti salienti della riflessione precedente, si può affermare che la sfera pubblica non è un luogo ma uno spazio sociale che in alcuni casi può essere definito come luogo terzo. In un contesto come quello attuale è impossibile stabilire una divisione ed una separazione, ma piuttosto è necessario soffermarsi sulle intersezioni e analisi da un punto di vista storico ma soprattutto dal punto di vista dei nuovi media. In particolare i saggi di Tursi, (Dalla sfera pubblica letteraria alla blogosfera in Jedlowski, Affuso 2010 p.93-106 ), di Balbi-Isabella (I media ed il privato in pubblico. Una storia. in Jedlowski, Affuso 2010 p. 107-128 e di Veltri (La sfera pubblica in rete? In Jedlowski, Affuso 2010 p. 129-168) mettono in gioco nuove concettualizzazioni che elaborano la sfera pubblica a partire dall’assenza di spazi condivisi fisicamente, e di sovrapposizioni ed interscambi tra sfera privata sfera pubblica.
Carmelo Buscema, in La rappresentazione del mondo nella sfera generale mette in discussione le definizioni di privato e pubblico formulando una sfera della privatezza ed una sfera generale. Scrive: “Tuttavia, un bacio ed una rivolta, una manifestazione d’amore ed un accadimento collettivo, un atto erotico ed un’occupazione, pur essendo propriamente fatti sociali e relazionali, egualmente passibili di interpretazione sociologica, vengono solitamente trattati da scienza e coscienza come realtà separate, reciprocamente avulse ed indipendenti. Una delle principali direttrici di sviluppo del pensiero moderno, nelle sue varie declinazioni disciplinari, è consistita precipuamente di questa netta cesura divisoria tra gli uni e gli altri, costituita al centro del continuum tra pubblico e privato – quasi le sublimazioni disinnescanti, rispettivamente, di politica ed intimità.Almeno sino all’avvento delle società di massa e l’evenienza dello Stato sociale nel secondo dopoguerra,il carattere marcatamente patriarcale delle relazioni famigliari da un lato, e la struttura dell’economia capitalistica basata sulla pressoché libera disponibilità dei beni da parte dei loro legittimi proprietari dall’altro, hanno storicamente sostanziato sia la sfera della privatezza (sociale,culturale ed economica) che quella della pubblicità (culturale, giuridica e statuale), innervandone il corso di sviluppo. (Buscema in Jedlowski, Affuso 2010 p.170).
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sugli sconfinamenti tra le due sfere. Ancora, riprendendo le ultime citazioni di Habermas del paragrafo precedente, emerge l’idea del movimento e del passaggi tra una sfera e l’altra. La riflessione si sposta adesso sulla linea che divide la sfera privata da quella pubblica. Quando si attraversa un confine si ha a che fare “con una distinzione che si traduce nello spazio” (Cella, 2006) e l’uso del confine come immagine e come metafora permette di riflettere sulla costruzione sociale delle differenze, sulle categorie e definizioni, confini sui quali si costruisce l’alterità.
In generale si può affermare che la prima distinzione del confine è quella che a livello spaziale e, come direbbe Pierre Bourdieu, anche a livello simbolico e sociale, stabilisce un dentro ed un fuori: un principio escludente ma anche includente, che fonda l’unità interna e la distinzione con l’esterno; si tratta quindi di una costruzione di un noi ed un loro a partire dal confine. Nell’esperienza migratoria, passare un confine significa andare oltre uno spazio che è familiare, sicuro, è esperienza che cambia anche l’individuo: “al di là di esso si diventa stranieri, emigranti, diversi non solo per gli altri ma talvolta anche per se stessi. E non sempre il ritornare al punto da cui siamo partiti ci fa ritrovare tutto quello che abbiamo lasciato” (Zanini, 1997).
Considerare la migrazione come percorso mette a lavoro, nel significato francofortese del termine, il confine come concetto chiuso facendolo diventare dinamico e processuale. È necessaria una complessificazione del confine, sottolineando la sua natura creativa e paradossale, considerandolo come luogo altro, luogo di dinamicità e transizione. Il carattere processuale del confine lo rende frontiera, a partire da un approccio teorico sviluppatosi negli ultimi anni negli studi postcoloniali, ed in quella che da alcuni autori viene chiamata “epistemologia delle frontiere” (Brambilla, 2009). Utilizzare la frontiera come categoria analitica permette di approfondire l’aspetto dialettico della ricerca, enfatizzando quella che Cella chiama la funzione relazionale del confine. La frontiera è uno spazio, un luogo in cui collocare e collocarsi, un luogo in cui vengono messe in atto strategie di sconfinamento tra le sfere, tra i concetti, tra i campi. La frontiera è lo spazio del riconoscimento dell’alterità nel momento in cui implica necessariamente ridefinire il confine della distinzione di un noi ed un loro, di pensare la differenza nella prospettiva relazionale, cogliendo “il carattere principale delle dialettiche fra le differenze costituito oggi dalla globalizzazione delle diversità”
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(Brambilla, 2009). Considerare le potenzialità delle frontiere significa anche presupporre “un’apertura ed un’integrazione necessaria con l’Altro” (Zanini, 1997), che quindi supera la distinzione del confine per fare spazio, o meglio, creare uno spazio altro, nuovo. Le frontiere come afferma Chiara Brambilla (2009) rivelano il loro “carattere polifonico” della tradizione e della modernità, “anello di congiunzione tra locale e globale”, e non possono essere considerate come fondamento dell’ordine (Buscema, 2007) ma come strutture paradossali, che non hanno più la funzione di separare ma che, continuamente attraversate, diventano luogo dell’incontro e della convivialità delle differenze “generando un traffico transnazionale di narrazioni ed immagini” (Brambilla, 2009). Quella che si può definire come la costruzione sociale delle frontiere, l’espace perçu di Lefebvre (1974) e ciò che Zanini (1997) nella sua analisi chiama creazione delle frontiere, intendendo con ciò un processo “sociale, politico e discorsivo all’interno del quale sono veicolati significati simbolici, culturali, storici e religiosi condivisi dalle comunità”. Un ulteriore passo in avanti nella riflessione sulle migrazioni è caratterizzato dal valorizzare il carattere processuale delle frontiere, ovvero enfatizzare il potenziale di creatività, facendolo “diventare una pratica sociale dinamica e processuale di differenzazione spaziale” (Zanini, 1997), e traducendo le frontiere in interstizi creativi in cui permettere nuove narrazioni che superano le distinzioni includenti ed escludenti (dentro e fuori) o identificanti ed individualizzanti (noi e loro).