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Il lavoro per le donne migrant

Nel documento Esperienze di frontiera (pagine 125-130)

IL LAVORO, IL CASO FRANCESE

2. Il lavoro per le donne migrant

La visione della donna migrante è da sempre legata all’immagine delle spose che raggiungono i proprio mariti in Francia e che sono confinate nella sfera domestica. Oggi, le statistiche de l’INSEE (1999) dimostrano che le donne immigrate sono sempre più attive, anche se consideriamo il lavoro poco qualificato, e per il 37% di lavoro a tempo parziale.

Possiamo considerare il lavoro come « vettore di cambiamento » che, “si adatta personalmente in risposta a questo nuovo ambiente, che implica cambiamenti dei valori, stile di vita e identità” (Calonne 2004).

Si parla di cambiamento nei rapporti con i paesi di origine, per quanto riguarda il ruolo delle madri e delle spose. Le ricerche condotte in Francia (in Haute- Garonne nel 2002), hanno considerato le due concezioni del lavoro per le donne migranti: da un lato, le donne ricevono gli aspetti positivi e « rivendicano generalmente il fatto di essere attrici del proprio lavoro” (Calonne 2004). Dall’altro lato, il lavoro è vissuto come qualcosa che va contro la loro vita personale e privata, soprattutto per ciò che riguarda il ruolo di madri e mogli. A partire dai risultati delle ricerche (2002), possiamo parlare di lavoro come il mezzo che permette di cogliere le differenze tra i contesti dei paesi di partenza e quelli della società francese.

Un elemento che viene preso in considerazione è la lingua: le donne migranti che non conoscono la lingua non possono lavorare. Molte sono le spiegazioni possibili, si parla anche di « “si parla di conflitti interni, da un lato a causa di un desiderio di integrazione, dall’altro a causa della resistenza più o meno consapevole ai valori e alle modalità di ragionamento del paese ospitante”. (Calonne 2004). Ancora, si deve parlare dell’assenza di informazioni, soprattutto sui diritti del lavoro ed i rapporti con i datori di lavoro che cercano di sfruttarle. Spesso, le donne migranti non osano rifiutare ciò viene loro proposto dai datori di lavoro, anche in condizioni di lavoro difficili.

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La domanda che può essere posta è: quale cambiamento il lavoro porta nei percorsi delle donne migranti ?

La risposta, anche per le donne migranti, è messa in relazione ai tempi di lavoro, ed è sempre un problema di conciliazione. Ma, ci sono donne che continuano a dare priorità alla loro appartenenza culturale e vogliono rispondere al ruolo di madri e mogli. Per altre donne, il lavoro è “ "Un'altra vita, che ti permette di dimenticare e sfuggire ai vincoli della famiglia e reti sociali" e "il lavoro è a volte l'occasione per superare i conflitti con la propria identità culturale“. (Calonne 2004)

Il valore centrale è soprattutto quello della possibilità di essere autonome, pertanto il lavoro può essere considerato come lo spazio di indipendenza per queste donne, che soprattutto, vengono viste come spose. L’autonomia finanziaria diventa, in concreto, potere di decisione e contribuisce all’auto-percezione delle donne come sostegno per la famiglia. Ancora, il lavoro permette di rompere l’isolamento, di essere in continua formazione, anche linguistica.

Il lavoro permette alle donne di conoscere altre donne : « vogliono lasciare il loro status di madre / moglie, e non provano a partecipare alle attività di quartiere, corsi di alfabetizzazione e di formazione. Queste strutture sono uno spazio privilegiato per consentire loro di riunirsi per parlare e imparare. Questo spazio è un luogo intermedio tra lo spazio sociale e spazio famiglia” (Calonna 2004).

Per l’autrice di questa ricerca : « Il lavoro può essere visto come un fattore di emancipazione. Le donne che lavorano si sentono responsabilizzate e più sicure. Hanno acquisito un certo orgoglio. Occupano un posto di lavoro"(Calonna 2004)

3. La ricerca

In base a ciò, la questione alla base della riflessione sul lavoro in Francia è: qual è il cambiamento che il lavoro apporta nei percorsi delle donne migranti?

Uno degli aspetti da sottolineare è la grande differenza con il caso italiano, laddove la maggioranza delle donne migranti sono impiegate nel lavoro domestico e di assistenza alle persone. La motivazione di ciò è legata alla differenza dei due sistemi politici, per cui in Francia si ritrova una organizzazione delle politiche sociali si un altro tipo ed a livello istituzionale. In Italia, la domanda e offerta nel mercato del lavoro si sviluppa a

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livello informale ed è legata alle dinamiche specifiche del mercato del lavoro. Considerando le ricerche che sono state condotte in Francia, possono essere formulate le seguenti ipotesi di ricerca:

1. la prima fa riferimento a tutto ciò che chiamiamo, nel dibattito sul tema, i tempi di conciliazione Anche per le donne francesi, si possono utilizzare le categorie della doppia presenza (Balbo 2008) per comprendere le situazioni delle donne migranti.

2. c’è una tipologia delle donne che non vogliono rinunciare al ruolo di madri e spose e che non lavorano.

3. Ma, ci sono altre donne che, cercano un lavoro per scappare dai ruoli tradizionali.

4. L’accesso al lavoro è considerato come mezzo per l’indipendenza e l’autonomia ma è anche l’occasione per rompere l’isolamento dovuto alle situazioni familiari o comunitari.

Per quanto riguarda la prima ipotesi, è stata incontrata la responsabile del CORIF, (Collectif Régional pour l’Information et la Formation des Femmes), un’associazione avente come finalità principale, quella di promuovere l’uguaglianza delle donne e degli uomini, soprattutto a livello professionale.

Il CORIF si occupa di formazione, per offrire una risposta ai bisogni delle donne che desiderano avviare un’attività professionale. Da sempre, le proposte ruotano intorno all’aiuto, all’orientamento e alla definizione di un progetto professionale. I progetti, in generale, hanno come obiettivo quello di dare alle donne tutti i mezzi per accedere ad ogni tipo di impiego, in modo particolare ampliando le scelte professionali, favorendo l’accesso ai settori di lavoro non tradizionalmente considerati per le donne. In particolare, il Corif si occupa dell’accompagnamento, sia individuale, sia collettivo, nella creazione di bilancio, nella definizione del progetto, offrendo l’expertise, e contribuendo a garantire l’uguaglianza nel lavoro tra le donne e gli uomini.

Afferma la volontaria dell’associazione : “Tutte le donne hanno percezioni diverse di lavoro", e ancora "Abbiamo bisogno di lavorare sul pregiudizio, sulla discriminazione e sugli stereotipi che riproducono. Si deve anche lavorare sul rapporto tra privato e pubblico", Per raggiungere questo obiettivo, l’associazione interviene "Sulla

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metodologia di scelta, perché la mixitè non è disuguaglianza, ma è qualcosa che permette di costruire l'uguaglianza. Quindi stiamo lavorando anche sulla formazione per la mixitè a lavoro”.

«Per il lavoro domestico, si parla di processo- continua la volontaria-Quando le donne arrivano all’ ufficio per l'accoglienza dei migranti, viene loro detto di andare al centro per l’impiego, e le inviano nel lavoro domestico, assistenza alla persona, ci sono accordi tra l'ufficio e questo tipo di lavoro. Quindi non si ha più la considerazione dei percorsi individuali e di formazione di donne migranti. Così dobbiamo intervenire sulle possibili strategie per un primo orientamento e di negare tale meccanismo. Inoltre, dobbiamo pensare alla umiliazione per la donna di essere inviate direttamente lì”

Quindi, la prima ipotesi può essere verificata perché, ciò che si ritrova nelle proposte e nelle parole delle donne che lavorano al Corif, è la necessità di elaborare delle nuove categorie per designare la doppia presenza delle donne nel mondo del lavoro e nella sfera privata. Una necessità che passa attraverso la decostruzione dell’immagine delle donne legata ai lavori « emozionali » e che si sviluppa con la formazione per i lavori professionali e tecnici (come nei cantieri edilizi, nella conduzione dei bus).

La seconda ipotesi - vi è una tipologia di donne che non vogliono rinunciare al ruolo di madri e spose e che non lavorano- è sempre confermata dalla maggior parte delle donne incontrate. Le frasi che le donne ripetono sono : « no, non ho mai lavorato, ci sono i bambini, poi la casa.. tutto questo » e ancora «non c’è tempo, devo pensare alla casa, ed i bambini sono piccoli ». A dire ciò, sono le donne più anziane, che non hanno una formazione nei paesi di origine, che hanno difficoltà per la lingua francese e che sono in Francia da molto tempo. Per queste donne, il lavoro non è una « cosa da donne » che devono invece pensare alla famiglia, poichè è il marito che lavora.

La situazione è molto diversa per le donne migranti giovani. Per loro, si può parlare di desiderio del lavoro, il lavoro è voluto e soprattutto cercato. Racconta una giovane donna algerina: « Parlavo già francede, ed ho lavorato, e lavoravo anche con buone prospettive. Prima lavoravo ma adesso no, ho 29 anni”, ed un’altra afferma : « mi sono specializzata in diritto ma qui non ho avuto il riconoscimento dei diplomi. Bisogna fare altri esami e poi aspettare la risposta.ma vorrei davvero continuare a lavorare in questo campo e constinuare a studiare »

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Pertanto, questa tipologia di donne è differenziata in base all’età, ma anche per le diverse esperienze vissute nei paesi di origine. Sia che si parli di lavoro, sia che di studi, queste donne vogliono continuare un percorso di formazione che è soprattutto personale e non è legato alle famiglie. Per queste donne, il lavoro fa parte del percorso individuale che deve essere condiviso dai congiunti e dalla famiglia.

In questo senso, anche la terza ipotesi - ci sono delle donne che cercano un lavoro per scappare dai ruoli tradizionali - risulta essere verificata perché tutte queste giovani donne non rispondono alla chiamata della tradizione che le vuole come madri e mogli. Infine, si può affermare che, anche l’ultima ipotesi, trova riscontro per le donne che hanno un lavoro. Molte di loro sottolineano la possibilità di “guadagnarsi da vivere ed essere autonome”, come conferma una donna algerina, ed ancora un’altra donna. « ho bisogno di lavorare. In Algeria non lavoravo, ma adesso lavoro e sto bene, sono sola e non ho problemi”. Una situazione particolare è quella delle donne in situazioni di divorzio, per esempio racconta una giovane madre di due figli « mio marito era molto severo. Mi picchiava, è stato doloroso. Ma ho trovato la forza per andare avanti, per ricominciare. Ma solo quando ho trovato un lavoro. per vivere sola, indipendente».

4. Conclusioni.

Concludendo questa riflessione sul lavoro delle donne migranti nel Nord Pas de Calais, non si ritrova la centralità di questa esperienza nel percorso migratorio. In primo luogo, le donne non emigrano per trovare un lavoro, cosa che accade per le donne migranti in Italia, per le quali la scelta di partenza è fortemente legata alla conoscenza della possibilità di avere un lavoro.

Il lavoro per le donne migranti, può essere definito come lavoro negato, o lavoro desiderato, in base all’età ed alla formazione delle donne. Ma, il lavoro, non influenza i percorsi di integrazione, e non può essere considerato come spazio di frontiera, nel senso di questa ricerca, tra la sfera privata e la sfera pubblica, in quanto, nel momento in cui si parla del lavoro per le donne migranti in Francia si parla già di sfera pubblica.

127 Capitolo 3 LE ASSOCIAZIONI 1. Introduzione

La scelta dello studio delle associazioni si inquadra nell’analisi generale dei percorsi delle donne nei paesi di accoglienza sulla base della constatazione dell’incremento del fenomeno associativo sia in Italia che in Francia. La domanda di ricerca può essere così sintetizzata: qual è il ruolo delle associazioni per le donne migranti? Ed in particolare, in contesti diversi per storia dell’immigrazione, per assetto ed implementazione delle politiche sociali, come la partecipazione alla vita delle associazioni ha cambiato i percorsi delle donne? Si può realmente parlare di un ruolo delle associazioni nel favorire i passaggi tra le sfere del privato e del pubblico?

La ricerca è stata condotta in Sicilia e nel Nord Pas de Calais, sono state raccolte informazioni sulle singole associazioni e si è poi proseguito con le interviste ai rappresentanti e responsabili delle associazioni, ed alle donne stesse.

Conoscere le associazioni attraverso le voci degli attori coinvolti ha permesso di avere una visione completa, non solo descrittiva, delle attività e dei fini delle associazioni, ma anche di cogliere l’importanza che le donne stesse attribuiscono alla partecipazione ed alla presenza delle associazioni nella loro quotidianità. A partire dalla consapevolezza della complessità dei vissuti e delle diverse esperienze che vengono attraversate da queste donne, è possibile rintracciare una intersezione tra le traiettorie individuali e quelle di gruppo, tra dinamiche che, pur essendo prima di tutto individuali, possono diventare attraverso le associazioni, anche collettive.

Nel documento Esperienze di frontiera (pagine 125-130)