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Conoscenza tacita e articolazione

ALL’EPISTEMOLOGIA

3.2. Lo sviluppo dell’idea di conoscenza tacita

3.2.2. La dimensione tacita in Personal Knowledge (1958) e Study of

3.2.2.1. Conoscenza tacita e articolazione

Dopo Science, Faith and Society (1946), il problema principale di Personal Knowledge non è la dimensione tacita della conoscenza ma la giustificazione

dell’esistenza della conoscenza personale113. Tuttavia, se nel primo volume non

troviamo alcuna occorrenza di tacit e tacit knowledge, nel secondo abbiamo preso nota della seguente situazione: tre occorrenze di tacit knowledge, una sola di tacit knowing, nessuna di implicit knowledge, circa cinquanta usi dell’aggettivo inarticulate e pre-articulate, accompagnati dalle parole acts, manifestation of intelligence, faculties, behaviour, mental powers.

A nostro avviso, il primo efficace tentativo di sistematizzare la nozione di conoscenza tacita e fondare la distinzione tra tacito ed esplicito si ha con il volume The Study of Man (1958).

Nel nostro schema interpretativo della conoscenza tacita, questa seconda fase mette in luce in primo luogo l’importanza della nozione di articolazione ed abilità e poi la declinazione della conoscenza umana in conoscenza tacita e conoscenza esplicita.

accade v’è la possibilità che la regola dell’arte sia soggetta a una considerevole reinterpretazione ed è importante comprendere chiaramente cosa ciò comporta.

Come possiamo interpretare una regola? Tramite un’altra regola? Ci può essere solo un numero finito di livelli di regole sicché un tale pregresso presto di esaurirebbe. Assumiamo allora che tutte le regole esistenti siano unite in un singolo codice. Tale codice di regole non dovrebbe ovviamente contenere prescrizioni per la sua reinterpretazione» (Polanyi, 1946 [1964b], trad. it. 2007, p. 82).

111

L’articolo appare come appendice all’edizione italiana La logica della libertà pubblicata nel 2002. Come sottolinea Carlo Vinti questo saggio rappresenta la sintesi compiuta dell’intero volume e getta le basi per la relazione tra tradizione, limiti tradizionali, tacitamente compresi e trasmessi.

112 Vedi §§ 2.5 e 2.5.3. 113

100 Il primo punto da affrontare riguarda il problema dell’articolazione. Polanyi afferma che l’elemento che distingue l’essere umano dagli animali è il linguaggio. Partendo dal raffronto tra le capacità di uno scimpanzé e un piccolo umano, riprendendo lo studio dei coniugi Kellogg The ape and the child (1933) Polanyi sostiene l’importanza della comparsa del linguaggio anche se nel corso del suo argomento, intende come essenziali e fondamentali le facoltà ‘non articolate’ dell’esperienza umana. Il punto nodale non è la presenza del linguaggio, che a quel punto sarebbe solo una sorta di accessorio caratterizzantesi solo in virtù del suo comparire o meno, ma ancora di più è l’uso del linguaggio.

In queste pagine non troviamo un preciso riferimento a teorie linguistiche ma può essere utile tenere presente che la pubblicazione di Personal Knowledge precede la rivoluzione cognitiva nello studio del linguaggio ad opera di Chomsky ed è chiaro che essa non può ancora aver costituito un paradigma capace di scuotere dalle fondamenta un lavoro a cui Polanyi lavora da circa otto anni. Invece, deve essere ritenuta decisiva l’influenza del secondo Wittgenstein e di Austin. In chiusura di queste considerazioni preliminari, ribadiamo che in questa fase del pensiero polanyiano non si parla di facoltà di linguaggio, ma solo di uso del linguaggio e di pre-linguistic advantages.

Nella prima riflessione sul linguaggio e sulla capacità linguistica dell’uomo incontriamo l’archetipo della nozione di conoscenza tacita:

the inarticulate faculties – the potentialities – by which man surpasses the animals and which, by producing speech, account for the entire intellectual superiority of man, are in themselves almost imperceptible. Accordingly, we shall have to account for man’s acquisition of language by acknowledging in him the same kind of inarticulate powers as we observe already in animals […] Other intellectual skills of a high order are acquired similarly in the course of a continued formal education; and indeed our mute abilities keep growing in the very exercise of our articulate powers. […] To affirm anything implies, the, to this extent an appraisal of our own art of knowing, and the establishment of truth becomes decisively dependent on a set of a personal criteria of our own which cannot be formally defined (Polanyi, 1958a, pp. 70-71)114.

114 «[…] le facoltà inarticolate, o potenzialità con le quali l’uomo supera gli animali e che, producendo

il linguaggio, spiegano tutta la superiorità intellettiva dell’uomo, sono in se stesse quasi impercettibili. Quindi dobbiamo spiegare l’acquisizione del linguaggio da parte dell’uomo, riconoscendo in lui lo stesso tipo di poteri inarticolati che osserviamo già negli animali. […] Altre abilità intellettive di ordine più alto vengono similmente acquisite nel corso di una prolungata educazione formale; in realtà le nostre mute abilità continuano a crescere proprio mentre si esercitano i nostri poteri articolati. […] Se come sembrerebbe il significato di tutte le nostre espressioni è determinato fino ad un certo punto da un nostro abile atto di conoscere, l’accettazione di una nostra espressione come vera comporta che noi approviamo la nostra stessa abilità. Affermare qualcosa implica, entro questi limiti, una valutazione della nostra arte di conoscere, e la determinazione della verità diventa decisamente

101 L’assenza di articolazione delle nostre facoltà diventa il punto a partire dal quale ridimensionare la portata e la natura della conoscenza umana. Questo è quello che sostiene Polanyi, ma qui, per comprendere la prima e non sistematica formulazione di conoscenza tacita dobbiamo assegnare un significato a ciò che è articolato e a ciò che non può esserlo all’interno della cornice epistemologica polanyiana.

In accordo con Polanyi, dobbiamo intendere i termini articolato e articolazione non solo con riferimento all’ambito linguistico e quindi all’enunciazione, come solitamente accade nel considerare ricerche come quelle di Sheffield Grammar and Thinking (1912).

L’analisi dell’opera di Polanyi attraverso i tre poli - corporeità, percezione, linguaggio - apparentemente non riguarda in maniera esclusiva l’ambito del linguistico e giustifica la proposta dell’articolazione in relazione alla coordinazione del rapporto oculo-manuale, come vedremo nella nostra proposta di lettura della conoscenza tacita.

L’opposizione tra articolato e non-articolato contribuisce a determinare almeno due

versioni della conoscenza tacita: quella forte e quella debole115.

Riprendendo un lavoro di Harald Grimen116 in cui egli specifica i due modi possibili

dell’articolazione, Zenhua Yu esplora i due modi possibile della conoscenza tacita. Questa distinzione, però, a nostro avviso è fuorviante. E’ vero che in Personal Knowledge Polanyi, attraverso i suoi esempi, sembra oscillare tra un versione ‘forte’ della conoscenza tacita e una sua controparte più ‘debole’, ma più che due versioni, noi proponiamo l’esistenza di diversi livelli di conoscenza tacita, i cui estremi sicuramente possono essere quelli che non Grimen ma Polanyi stesso indica.

Concordiamo con Yu nel sottolineare che il punto in questione per Grimen è la presenza o meno dell’articolazione verbale. Grimen intuisce che la conoscenza tacita possa essere articolata anche dall’azione e non solo per il tramite dell’enunciazione. Yu, quindi, delineando la rilettura di Grimen della conoscenza tacita, considera la possibilità che la versione forte della conoscenza tacita non abbia a che fare con la

dipendente da un insieme di criteri personali nostri, che non possono essere formalmente definiti» (Polanyi, 1958a, trad. it. 1990, pp. 162 - 163).

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Riferimento anche all’ultimo volume di Collins, 2010.

116 Il saggio del prof. Grimen dell’Università di Oslo è tratto da un intervento tenuto nel 1991.

Abbiamo preso visione della versione inglese, considerevolmente riscritta tra il 1991 e il 2000. Non essendo poi stata pubblicata la versione inglese dell’intervento, abbiamo preso visione del saggio grazie alla disponibilità dell’autore.

102 distinzione tra cosa è segno di articolatezza e cosa non lo è, ma tra due diversi modi di essere articolati, ossia verbale e non verbale.

Questa nostra lettura della filosofia di Polanyi è interna ad una corrente di interpreti della filosofia polanyiana. Infatti, Polanyi parla di un ‘articolato’ più ampio di quello che possiamo intendere come legato all’enunciazione e ai suoni delle lingue, includendo altre forme simboliche come parole scritte, formule e diagrammi.

La centralità conferita da Polanyi all’uso del linguaggio e la possibilità di oltrepassare la soglia in cui si trovano gli altri animali potrebbero essere considerate proprio il punto debole in contrasto con la sua teoria della conoscenza tacita. Tuttavia, sostenendo che l’attività del conoscere è una abilità che ha radice biologica, la considera come un punto di continuità con l’intelligenza non articolata di primati: l’attività tacita non è prerogativa dell’essere umano ma è presente anche in forme di vita inferiori.

Nella dinamica della conoscenza tacita, il posto dell’emergenza del linguaggio è quello di fattore decisivo che stimola i poteri taciti posseduti dall’uomo senza alterare il loro carattere rendendolo esplicito.

Now we may say further that the process of applying language to things is also necessarily unformalized: that it is inarticulate. Denotation, then, is an art, and whatever we say about things assumes our endorsement of our own skill in practicing this art. This personal coefficient of all affirmations inherent in the use of language will be presently reconsidered in the wider context of ineffable knowledge and ineffable thought (Polanyi, 1958a, p. 81)117.

Anche il fenomeno dell’articolazione presenta delle importanti limitazioni: when arts of knowing are explained by maxims, these never disclose fully the subsidiarily known particulars of the art, so that the powers of articulation are already restricted at this stage. No such limitation is imposed on the articulation of a spatial topography, the particulars of which are fully accessible. The difficulty lies here entirely in the subsequent integration of the particulars, and the inadequacy of articulation consists altogether in the fact that the latter process is left without formal guidance […] We may say in general that by acquiring a skill, whether muscular or intellectual, we achieve an understanding which we cannot put into words and which is continuous with the inarticulate faculties of animals (ivi, p. 90)118.

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«Adesso dobbiamo aggiungere che il processo con cui si applica il linguaggio alle cose è anche necessariamente non formalizzato; esso è inarticolato. Quindi denotare è un’arte, e qualunque cosa noi diciamo intorno alle cose riceve l’impronta dell’abilità che noi possediamo di praticare quest’arte. Questo coefficiente personale di tutte le affermazioni insito nell’uso della lingua sarà ora riesaminato nel più ampio contesto della conoscenza ineffabile e del pensiero ineffabile» (Polanyi, 1958a, trad. it. 1990, p. 177).

118 «Quando le arti del conoscere vengono spiegate mediante massime, queste massime non rendono

manifesti pienamente i particolari sussidiari di tale arte, di conseguenza le possibilità dell’articolazione sono già ristrette a questo livello. Un limite simile non viene imposto

103 As far down the scale of life as the worms and even perhaps the amoeba, we meet a general alertness of animals, not directed towards any specific satisfaction, but merely exploring what is there; an urge to achieve intellectual control over the situations confronting it. Here at last, in the logical structure of such exploring – and visual perception – we found prefigured that combination of the active shaping of knowledge with its acceptance as a token of reality, which we recognize as a distinctive feature of all personal knowing. This is the principle which guides all skills and connoisseurship, and informs all articulate knowing by way of the ubiquitous tacit coefficient on which spoken utterances must rely for their guidance and confirmation (ivi, p. 132)119.

La conoscenza tacita è quella conoscenza di cui non siamo sempre consapevoli o che non è possibile esprimere rigorosamente o tutte e due le cose assieme. Si presenta in attività quotidiane come il camminare, nuotare, suonare il piano, giocare a golf. E si manifesta, avendo un ruolo cruciale, in situazioni in cui l’arte dell’intenditore è principale come nel caso dei wine tasters o dei coffee tasters, o ancora dei critici di estetica.

Alcuni aspetti della conoscenza tacita possono essere espressi come massime, ma anche le massime (a differenza delle norme e delle regole) non rendono completamente il grado di conoscenza di qualcosa. Un esempio di massima è del tipo di quelle che vengono usate nelle ‘istruzioni’ topografiche. In effetti, più che davanti a regole, ci troviamo davanti a regole empiriche che in ogni caso non fanno altro che

finalizzare in una caricatura un’ attività pratica e piena di abilità120.

Attraverso l’uso del linguaggio, a differenza degli animali, l’uomo utilizza simboli che possono essere riprodotti, modificati, trasportati per mezzo della scrittura e questo rappresenta uno dei principi operazionali che Polanyi imputa al linguaggio ma che, in realtà, nella sua teoria accomuna tutti i simboli, anche quelli come le chiese e le piramidi. Qui parliamo di oggetti materiali e quindi il discorso operazionale è

all’articolazione di una topografia spaziale, i cui particolari sono pienamente accessibili. La difficoltà sta qui interamente nella successiva integrazione dei particolari, e l’inadeguatezza dell’articolazione consiste interamente nel fatto che questo processo viene lasciato privo di guida formale. […] In generale possiamo dire che, acquistando una certa abilità, muscolare o intellettiva, noi raggiungiamo una comprensione che non siamo in grado di mettere in parole e che è in continuità con le facoltà inarticolate degli animali» (Polanyi, 1958a, trad. it. 1990, pp. 189-190).

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«Scendendo lungo la gerarchia dei viventi al livello dei vermi e perfino dell’ameba incontriamo un generale stato di allerta degli animali che non è diretto verso alcuna soddisfazione specifica, ma che esplora soltanto ciò che esiste, una specie di bisogno di raggiungere un controllo intellettivo delle situazioni con cui hanno a che fare. Qui, alla fine, nella struttura logica dei movimenti esplorativi che essi compiono e nella loro percezione visiva troviamo prefigurata la combinazione dell’attività modellatrice della conoscenza con l’accettazione della conoscenza stessa come qualcosa che viene dalla realtà; questa combinazione viene riconosciuta da noi come carattere distintivo di ogni conoscenza personale. Questo è il principio che guida tutte le attività e le doti di intenditore; esso informa anche tutto il conoscere articolato attraverso il tacito e onnipresente coefficiente sul quale devono fare affidamento le espressioni che vengono pronunciate, perché risultino guidate e confermate» (Polanyi, 1958a, trad. it. 1990, p. 247).

120 Cfr. Frederick Schauer, Le regole del gioco, trad. it., Bologna, il Mulino, 2000; Georg H. von

104 valido, pensando un referente nel mondo, certo non può essere valido se consideriamo il simbolo della bilancia, che non ha un referente nel mondo tangibile ma risponde all’idea di giustizia. E’ singolare quindi l’osservazione di Polanyi:

language can assist thought only to which its symbols can be reproduced, stored up, transported, re-arranged, and thus more easily pondered, than things which they denote. Churches and pyramids are symbols but they are not language because they cannot be easily reproduced or handled (ivi, p. 81)121.

L’uso dei simboli e del linguaggio è indicato come il corresponsabile della possibilità di organizzazione dell’esperienza ma appunto, si tratta di una corresponsabilità. La possibilità di una riorganizzazione dell’esperienza in termini di simboli (e quindi l’evenienza che si crei nuova conoscenza) poggia sui «tacit powers which constitute

our gift of speech»(ivi, p. 82)122. Anche le scienze utilizzano i simboli, ma riducono

progressivamente il loro rapporto e richiamo formale all’esperienza, tanto che possiamo dire che questo fatto è inversamente proporzionale quando non siamo nel dominio della scienza. Polanyi, infatti, contrariamente a quanto sostiene l’epistemologia contemporanea, afferma la relazione tra esperienza, dicibilità e imprecisione:«in order to describe experience more fully language must be less

precise» (ivi, p.86)123. Questa minore precisione (che richiama proprio quel valore

dell’inesatto a cui Polanyi si riferiva nel 1936) è data da una impossibilità nel formalizzare una esperienza e che infatti egli stesso ha già ravvisato anche nell’atto del denotare.

Though I cannot say clearly how I ride a bicycle nor how I recognize my machintosh (for I don’t know it clearly), yet this will not prevent me from saying that I know how to ride a bicycle and how to recognize my machintosh. For I know that I know perfectly well how to do such things, though I know the particulars of what I know only in an instrumental manner and a focally quite ignorant of them; so that I may say that I know

121 «Una lingua può aiutare il pensiero solo nei limiti in cui i suoi simboli possono essere riprodotti,

depositati, trasportati, riordinati e così più facilmente manipolati che le cose che denotano. Le chiese e le piramidi sono simboli ma non costituiscono una lingua, perché non possono essere facilmente riprodotti o maneggiati» (Polanyi, 1958a, trad. it. 1990, p. 178).

Per completezza, abbiamo qui riportato la citazione di Polanyi, pur non condividendo l’ultimo periodo. Le chiese e le piramidi non sono parti di una lingua (e quindi, ad esempio, non di un linguaggio) e ‘non costituiscono una lingua’ non semplicemente perché non presentano la caratteristica di essere riprodotti o maneggiati. Una miniatura della Tour Eiffel o della Statua della Libertà sono sì simboli (e calcano l’esempio polanyiano) ma non lo sono, ad esempio, nel senso peircean: «[or symbol] is the general name or description which signifies its object by means of an association of ideas or habitual connection between the name and the character signified» (CP 1.369).

122 «poteri taciti che costituiscono per noi il dono della parola» (Polanyi, 1958a, trad. it. 1990, p. 179). 123 «Allo scopo di descrivere l’esperienza in maniera più piena, il linguaggio dev’essere meno

105 these matters even though I cannot tell clearly, or hardly at all, what it is that I know (Polanyi, 1958a, p. 88)124.

Qui troviamo il riferimento alla conoscenza strumentale ossia sussidiaria che Polanyi ha già distinto in precedenza a proposito delle abilità. Questa distinzione diventa cruciale nel sistema polanyiano poiché permette e giustifica la profonda differenza

tra il fare qualcosa, “sapere come” e “sapere che”125. Ma un’altra nozione è

necessaria per reggere quella di conoscenza focale:

Subsidiary or instrumental knowledge, as I have defined it, is not knowledge in itself but is known in terms of something focally known, to the quality of which it contributes; and to this extent it is unspecifiable. Analysis may bring subsidiary knowledge into focus and formulate it as a maxim or as a feature in a physiognomy, but such specification is in general not exhaustive. Although the expert diagnostician, taxonomist and cotton-classer can indicate their clues and formulate their maxims, they know many more things than they can tell, knowing them only in practice, as instrumental particulars, and not explicitly, as objects. The knowledge of such particulars is therefore ineffable, and the pondering of a judgment in terms of such particulars is an ineffable process of thought. This applies equally to connoisseurship as the art of knowing and to skills as the art of doing, wherefore both can be taught only by aid of practical example and never solely by precept (ibidem)126.

Quando poi Polanyi, riprendendo questioni legate alla scienza, alla produzione delle teorie e sulla scoperta scientifica, si dedica alla argomentazione di quelle passioni che lui definisce intellettive, ossia quei sentimenti simili a quelli che prova un animale quando raggiunge uno scopo, una sorta di soddisfazione e di ricerca che permea l’attività dello scienziato. In questa fase non prenderemo in considerazione questo aspetto seppure molto interessante, che costituirebbe un ulteriore

124

«Sebbene io non possa dire chiaramente come faccio ad andare in bicicletta, né come riconosco il mio impermeabile (perché non lo so con chiarezza), tuttavia questo non m’impedisce di dire che so andare in bicicletta e so riconoscere il mio impermeabile. Infatti io so di sapere perfettamente bene come fare queste cose, sebbene io conosca i particolari di ciò che conosco solo in una maniera strumentale, pur non avendone una conoscenza focale; in tal modo posso dire di sapere queste cose, sebbene io non possa dire chiaramente o non possa dire per niente che cos’è che conosco» (Polanyi, 1958a, trad. it. 1990, p. 187).

125

Vedi, § 2.1.1.

126 «La conoscenza sussidiaria o strumentale, così come l’ho definita, non è conosciuta in se stessa,

ma è conosciuta nei termini di qualcosa che è conosciuto focalmente, alla cui costituzione qualitativa essa contribuisce; in questi limiti è non specificabile. L’analisi può apportare una conoscenza sussidiaria in area focale e formularla come massima o come lineamento in una fisionomia; ma tale