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La logica della conoscenza tacita: il carattere attivo della percezione visiva

ALL’EPISTEMOLOGIA

3.5. La struttura compiuta della conoscenza tacita 1 I sinonimi del tacito

4.1.2. La logica della conoscenza tacita: il carattere attivo della percezione visiva

185 «Quest’atto di integrazione, che possiamo identificare sia con la percezione visiva degli oggetti sia

con la scoperta di teorie scientifiche è il potere tacito che andavamo cercando. Lo chiamerò conoscenza tacita. […] Nel caso della percezione prestiamo attenzione ad un oggetto separato dalla maggior parte degli indizi che noi integriamo nella sua apparenza; i termini prossimale e distale sono allora oggetti largamente differenti, uniti insieme dalla conoscenza tacita»(Polanyi, 1964d [1969b], trad. it. 1988, pp. 176-177).

142 Un aspetto di grande rilevanza nella teoria della conoscenza tacita di Polanyi direttamente legato alla dimensione personale della conoscenza umana è rappresentato da quello che egli identifica come ‘attivo’.

Nel presentare la nostra proposta di interpretazione della conoscenza tacita, abbiamo considerato come peculiare la dimensione personale e attiva della conoscenza. Se abbiamo già variamente preso in considerazione il primo elemento, qui vogliamo porre la nostra attenzione anche su quel carattere attivo della percezione che Polanyi più volte sottolinea e che, come abbiamo già avuto modo di mettere in luce, è direttamente legato al carattere personale della conoscenza. Più precisamente si tratta di constatare che «knowledge was shaped by the knower’s personal action» (Polanyi,

1958b, p. 28)186. Pur debitore nei confronti della Psicologia della Gestalt, Polanyi

ritiene che:

gestalt psychologists have tended to collect preferentially examples of the type in which perception goes on without any deliberate effort on the part of the perceiver and is not even corrigible by this subsequent reconsideration of the result (Polanyi, 1958a, pp. 97- 98)187.

Polanyi sostiene, invece, che anche i sensi possano essere utilizzati in «maniera intelligente» e che ad essere centrale è sempre e comunque la «partecipazione personale attiva» (Polanyi, 1958a trad. it. 1990, p. 200).

E’ lecito pensare che per partecipazione personale attiva si intenda l’azione – anche cognitiva – del soggetto, mentre chiariamo subito che Polanyi intende riconoscere l’importanza di quelle che lui definisce azioni sensorie, ovvero «the curiosity aroused by novel objects; the straining of our sense to make out what it is that we see and the vast superiority of some people in quickness of eye and penetrating powers

observation» (ivi, p. 98)188. Alla percezione, quindi, viene riconosciuto un ruolo

cognitivo estremamente importante, che è a lavoro già per il contributo che essa conferisce allo sviluppo prelinguistico dei bambini.

Il senso della partecipazione personale che ridetermina anche la nozione di attività – con ciò che ne consegue nell’analisi di attività cognitive umane – si allarga fino ad

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«atto personale di colui che conosce a formare la conoscenza» (Polanyi, 1958b, trad. it. 1973, p. 24).

187 «gli psicologi gestaltisti hanno avuto la tendenza a raccogliere soprattutto esempi del tipo in cui la

percezione si attua senza alcuno sforzo deliberato da parte di chi percepisce e non è neppure correggibile mediante successive riconsiderazioni del risultato» (Polanyi, 1958a, trad. it. 1990, p. 200).

188 «la curiosità che è destata da oggetti nuovi, la tensione dei nostri sensi nel decifrare che cosa sia ciò

che vediamo e la grande superiorità che alcune persone hanno nella mobilità degli occhi e nell’acutezza della vista» (Polanyi, 1958a, trad. it. 1990, p. 201).

143 assumere una connotazione di tipo esistenziale. Infatti, è nel processo di attività tacite come la percezione e la comunicazione linguistica, che l’essere umano, inteso come simbolo della globalità di mente e corpo, si mostra nel carattere che gli è più proprio e che Polanyi esalta:

To be aware of our body in terms of the things we know and do, is to feel alive. This awareness is an essential part of our existence as sensuous active persons (Polanyi, 1958b, p. 31)189.

Agli psicologi della Gestalt che accusa di considerare la percezione come un’esperienza passiva, Polanyi contrappone una dimensione attiva che non è semplicemente una caratteristica dell’atto percettivo ma «it represents a method –

and indie the most general method – for acquiring knowledge» (ivi, p. 28)190.

Occorre però qui ricordare la connotazione della Psicologia della Gestalt come una teoria passiva della percezione è comunque eccessiva e non risponde in maniera pienamente corretta agli intenti di questa corrente di pensiero.

Sebbene non sia un esponente della scuola della Gestalt e quindi non direttamente possa rispondere o confermare le critiche polanyiane, David Katz in uno dei volumi di riferimento sulla psicologia della forma, sul tema del soggetto e della sua attività sostiene che «vivere una forma figurale significa vivere un’unità percettiva, che di regola non può venir modificata a discrezione del soggetto» (Katz, 1944, trad. it. 1979, p. 69).

E’ possibile che Polanyi abbia indicato come passivo una diversa forma di attività. Come è noto, allontanandosi dai principi della psicologia atomistica e privilegiando l’esperienza diretta in favore di un realismo critico, gli Psicologi della Forma hanno inteso riformulare la percezione come un processo attivo di costruzione a cui contribuiscono degli stimoli provenienti dall’ambiente e il sistema percettivo. Il motivo che può aver spinto Polanyi a pensare alla passività, tipica invece di orientamenti come il comportamentismo, è la presenza nell’ambiente di strutture organizzate, senza la possibilità per l’essere umano di contribuire ad una diversa organizzazione o scegliere di non vivere una forma.

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«Essere consapevoli del proprio corpo nei termini delle cose che conosciamo e facciamo equivale a sentirsi vivi. Tale consapevolezza è una parte della nostra esistenza di persone attive e dotate di sensi» (Polanyi, 1958b, trad. it. 1973, p. 25).

190 «rappresenta un metodo – ed indubbiamente il metodo più generale - per acquisire la conoscenza»

144 A nostro avviso la sfumatura di ‘passività’ che Polanyi impropriamente coglie è da attribuirsi ad un carattere che effettivamente manca all’impostazione fenomenologica della Gestaltpsychologie: la deliberazione. Infatti, se ripensiamo l’intero percorso polanyiano riusciamo a comprendere che l’attività a cui si riferisce mostra anche un richiamo alla fede e all’impegno, elementi fondativi della sua epistemologia.

L’approccio polanyiano fortemente influenzato dalla psicologia della Gestalt, se ripensato alla luce delle riflessioni di altri pensatori, può chiarire questo apparente contrasto sulla questione dell’attività. In almeno altri due sensi può essere vista l’attività a cui Polanyi si riferisce: il primo, legato alla pratica linguistica e centrale nella semiologia di Prieto, come vedremo nel prossimo capitolo, e il secondo direttamente legato all’esperienza diretta e alla percezione che vede in A. N.

Whitehead191 uno dei suo principali fautori.

Nella visione che combatte contro l’idea di fondo del realismo ingenuo, Whitehead è capace di mostrare una esperienza umana mai univoca, eccezionalmente soggettiva, e un mondo circostante che viviamo solo all’interno di una rete di relazioni. E’ nel suo Simbolismo (1928) che incontriamo una definizione di attività che può rendere conto dell’idea polanyiana e che non è stata fino ad ora sufficientemente presa in considerazione.

Scrive Whitehead:

La mente umana opera sul piano simbolico quando alcuni componenti della sua esperienza suscitano consapevolezza, credenze emozioni e abitudini, in rapporto ad altre componenti della sua esperienza. Il primo insieme di componenti è costituito dai “simboli”, mentre l’altro concerne il “significato” dei simboli. L’attività organica grazie alla quale si passa dal simbolo al significato verrà chiamata “riferimento simbolico”.

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Con certezza possiamo affermare che Polanyi abbia letto Whitehead, come testimoniano le schede di lettura del Box 25, Folder 7 dell’archivio polanyiano. Inoltre, Polanyi cita Whitehead in due opere diverse a proposito di tre diverse questioni. Ci riferiamo a Principia Matematica (1910; II ed. 1927), Essays in science and philosophy (1948) e Adventures of Ides (1967). Le prime due opere sono citate in Personal Knowledge (1958), rispettivamente a proposito dell’uso del segno ├ e dell’impossibilità di dire ciò che conosciamo in maniera precisa. E’ interessante tenere presente che Polanyi nella nota 30, p. 186 di Personal Knowledge cita dall’Essays in science and philosophy, p. 73: «Non c’è neppure un enunciato che presenti adeguatamente il proprio significato. C’è sempre uno sfondo di presupposizioni che sfugge all’analisi per la sua infinitezza». Adventures of Ideas (1967) è richiamato in Meaning (1975) riguardo al rapporto tra teleologia e scienza. In particolare Polanyi si riferisce ad un eventuale debito di Whitehead nei confronti di Platone: «As Whitehead has pointed out, Plato tells us that the Demiurge, looking toward the Good. “persuades” an essentially free matter to structure itself, to some extent, in imitation of the Forms. Plato appeared to Whitehead to have modeled the cosmos on a struggle to achieve the Good in the somewhat recalcitrant media of space and time and matter, a struggle well known to all souls with purposes and ends and aims. Whether or not it is true that Plato did this, certainly Whitehead modeled his own cosmos very much this way» (Polanyi – Prosch, 1975, pp. 162-163).

145 Questo riferimento simbolico è l’elemento attivo, sintetico, dato dalla natura di chi percepisce. Esso si fonda su una qualche comunanza tra la natura del simbolo e quella del significato. Ma un tale elemento comune alle due nature non richiede a sua volta il riferimento simbolico, né esso decide ciò che sarà simbolo e quel che sarà significato, e nemmeno garantirà a colui che percepisce che il riferimento simbolico sarà immune dal produrre errori e danni. Dobbiamo concepire la percezione alla luce di una fase primaria nell’autoproduzione di una circostanza di esistenza concreta. […] Una circostanza concreta nasce in quanto unisce in un contesto reale differenti percezioni, diversi sentimenti, scopi differenti, e altre diverse attività che derivano da queste percezioni primarie. Qui attività è un altro nome per autoproduzione (Whitehead, 1928, trad. it.1998, pp. 8-9).

Il soggetto percipiente svolge una vera e propria attività nel momento in cui è regista della sua stessa esperienza percettiva. Egli dirige il riferimento simbolico creando una polarità dinamica tra il simbolo e il significato. Che percepiamo attraverso il modo dell’immediatezza di presentazione o dell’efficacia causale, interviene sempre il riferimento simbolico quale attività di sintesi operata dal soggetto che tramuta indizi in oggetti del mondo circostante. Nelle pagine scritte da Whitehead rintracciamo un isomorfismo tra il modo in cui facciamo esperienza della realtà e la realtà stessa che implica un atteggiamento aperto nei confronti di un mondo esterno dinamico e multiforme. In questo senso, come nell’articolo Sense-giving e sense- reading (1967) ci troviamo ad avere accesso al mondo esterno secondo una forma triadica i cui poli possono essere identificati dal simbolo, dal significato e dal soggetto conoscente che opera il riferimento simbolico.

4.1.3. Dall’ incontro con Marjorie Grene verso un approccio ecologico alla