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Dall’ incontro con Marjorie Grene verso un approccio ecologico alla conoscenza

ALL’EPISTEMOLOGIA

3.5. La struttura compiuta della conoscenza tacita 1 I sinonimi del tacito

4.1.3. Dall’ incontro con Marjorie Grene verso un approccio ecologico alla conoscenza

E’ quasi del tutto impossibile pensare l’epistemologia di Michael Polanyi senza

tenere conto dell’apporto della filosofa americana Marjorie Grene192. La relazione

filosofica tra i due che qui ci interessa non riguarda solo la misura in cui Grene sia

stata d’aiuto a Polanyi193, ma ci offre perciò un punto di vista privilegiato da cui

comprendere l’epistemologia polanyiana.

192 Rif. Cap. I

193

A questo proposito basta soffermarsi sulle pagine di ringraziamento scritte da Polanyi: La presente opera deve molto alla Dr. Marjorie Grene. Pare che lei abbia capito tutto il mio progetto nel momento in cui ne parlammo per la prima volta a Chicago nel 1950; da quale momento in poi non ha mai smesso di aiutarmi a realizzarlo (Polanyi, 1958, trad. it. 1990, p. 71).

146 Il rapporto con l’esistenzialismo, in cui Grene è molto chiara: «Don’t bother about existentialism unless with your psychologist and (see below) perhaps Merleau-

Ponty»194, verrà ripreso da lei con un raffronto particolareggiato tra il tacit knowing e

le riflessioni di Sarte su L’Essere e il nulla (Grene, 1968) e sarà lei ad insistere sul rapporto tra Merleau-Ponty e Polanyi (Grene, 1977; Grene, 1972).

L’incontro con Grene ha portato all’attenzione di Polanyi le più ampie idee della filosofia contemporanea occidentale ma anche quelle della psicologia. Anche se in maniera marginale rispetto al rapporto con la filosofia francese, Grene ha inteso alcuni punti in analogia tra il realismo polanyiano e quello gibsoniano. Certo non dobbiamo lasciarci ingannare: l’impianto polanyiano non è da ricondursi integralmente alla percezione, per quanto essa rappresenti l’esempio più frequentemente citato di conoscenza tacita. Diverso, invece è l’obiettivo dell’ultimo Gibson che abbracciando una prospettiva ecologica radicale si occupa principalmente di ottica. E’ comune ad entrambi la considerazione che la conoscenza sia un tipo di estensione della percezione. I due pensatori hanno in comune il debito contratto nei confronti della psicologia della forma. In particolare, non è da trascurare che Gibson è allievo di Langfeld, già allievo di Stumpf, e che tra il 1930 e il 1941 segue le lezioni di Koffka. Proprio dalle lezioni di Koffka prende avvio quella prospettiva

ecologica gibsoniana195 secondo due punti: la concezione della percezione e la

differenza tra ambiente geografico e ambiente comportamentale.

La fitta corrispondenza tra Grene e Polanyi (Box 16, per un totale di 9 folder) mostra un rapporto durato vent’anni, fino alla morte del filosofo. Folder 1, lettera 4 settembre 1960 in cui Polanyi chiede a Grene di pensare alla struttura della conoscenza da-a: dove è stata nascosta per 2500 anni? Come è stata affrontata dalla filosofia? O i folder 3 e 6 dello stesso box che raccolgono la corrispondenza del 1968, periodo in cui la raccolta Knowing and Being è in fase preparatoria.

194 Lettera di Marjorie Grene a Polanyi del 19.1.1963, Box 16, folder 1.

195 In virtù del dialogo con Grene e considerato il percorso intellettuale di Polanyi non riteniamo

opportuno parlare di un approccio ecologico tour court, cosa che ci porterebbe a considerare le riflessioni di Roger Barker, fortemente influenzato da Kurt Lewin, ma soprattutto i lavori della cosiddetta Scuola di Uppsala e del suo fondatore Gunnar Johansson. Per completezza, vogliamo qui ricordare che la Scuola di Uppsala mostra un atteggiamento fortemente critico nei confronti del radicale ecologismo di Gibson. Il dibattito tra Gibson e Johansson tocca questioni fondamentali come la portata della prospettiva ecologica, il ruolo del soggetto e il modo di essere del mondo rigido. Per una maggiore idea sulla relazione tra i due psicologi si veda Gibson (1970) e Johansson (1970). Dall’interno della stessa prospettiva anche Ulrich Neisser (1976) critica Gibson per non aver previsto all’interno della sua teoria una nozione simile alla sua di “schema anticipatorio” che potesse spiegare in maniera più efficace il modo in cui l’osservatore coglie l’ambiente. La critica di Neisser anche se con toni meno aspri di quella degli esponenti del cognitivismo riguarda l’estromissione di qualsiasi riferimento a ciò che accade nella testa del soggetto percipiente. La nozione di schema anticipatorio introdotta da Neisser, gli consente di assumere una posizione intermedia tra l’ecologismo radicale di Gibson e il cognitivismo.

147 When I speak of perception in the following essay, I do not mean a specific psychical function; all I wish to denote by this term is the realm of experiences which are not merely "imagined," "represented," or "thought of." Thus, I would call the desk at which I am now writing a perception, likewise the flavor of the tobacco I am now inhaling from my pipe, or the noise of the traffic in the street below my window. That is to say, I wish to use the term perception in a way that will exclude all theoretical prejudice; for it is my aim to propose a theory of these everyday perceptions which has been developed in Germany during the last ten years, and to contrast this theory with the traditional views of psychology. With this purpose in mind, I need a term that is quite neutral. In the current textbooks of psychology the term perception is used in a more specific sense, being opposed to sensation, as a more complex process. Here, indeed, is the clue to all the existing theories of perception which I shall consider in this introductory section, together with a glance at the fundamental principles of traditional psychology. Thus I find three concepts, involving three principles of psychological theory, in every current psychological system. In some systems these are the only fundamental concepts, while in others they are supplemented by additional conceptions; but for a long time the adequacy of these three has been beyond dispute. The three concepts to which I refer are those of sensation, association, and attention. I shall formulate the theoretical principles based upon these concepts and indicate their import in a radical manner so as to lay bare the methods of thinking which have been employed in their use. I am fully aware, of course, that most, if not all, the writers on this subject have tried to modify the assertions which I am about to make; but I maintain, nevertheless, that in working out concrete problems these principles have been employed in the manner in which I shall state them (Koffka, 1922, pp. 531-532).

Il secondo punto – cruciale per l’ecologia – è la distinzione tra ambiente geografico e ambiente comportamentale:

In una sera d’inverno, durante una tempesta di neve, un uomo a cavallo arrivò a una locanda, felice di aver raggiunto un rifugio dopo ore di cavalcata nella pianura spazzata dal vento, su cui una coltre di neve aveva coperto tutti i sentieri e le indicazioni. Il locandiere che aprì allo straniero lo guardò sorpreso e gli domandò da dove venisse. L’uomo indicò in direzione opposta a quella della locanda, al che il locandiere, spaventato e stupito, esclamò: “Sapete di aver attraversato a cavallo il lago di Costanza?” (Koffka, 1935, trad. it. 1970, pp. 37-38).

Questo esempio ormai divenuto celebre esemplifica la distinzione tra i due tipi di ambiente. L’ambiente geografico è certamente il Lago di Costanza, ma non possiamo dire lo stesso per l’ambiente comportamentale. L’uomo, infatti, come lo stesso Koffka spiega rifacendosi anche al volume della Eddington (1928), mantiene il comportamento di chi cavalca attraverso una pianura, giungendo alla conclusione che l’ambiente comportamentale e non quello geografico influenzi il comportamento. Certo, non è possibile trascurare l’incidenza dell’ambiente geografico che comunque è legato ad ogni organismo vivente.

Nella prospettiva ecologica di Gibson l’ ambiente è tutto ciò che circonda gli animali: «Ogni animale, almeno in qualche misura, è un animale che percepisce e che ha un comportamento […] E’ un animale che ha una percezione dell’ambiente e che si comporta nell’ambiente » (Gibson, 1986, trad. it. 1999, p. 43).

148 Gibson espone in maniera definitiva e assolutamente radicale le sue tesi sulla prospettiva ecologica della conoscenza nel volume apparso nel 1986. Appare banale metterlo in evidenza ma per una questione cronologica che qui non possiamo trascurare Polanyi non può aver letto questo volume, ma da come appare anche dal suo archivio (Box 25) segue il dibattito ecologico. D'altro canto tra i riferimenti bibliografici di The ecological approach to visual perception (1986) compare The tacit dimension (1966). Qualche sparuto riferimento196 non può certo costituire una solida relazione tra il filosofo e lo psicologo ma - sulla base di diverse analogie - può porli all'interno di una corrente che privilegia un approccio ecologico della conoscenza. Se l'appartenenza a questo mainstream è scontato per Gibson poiché ne è l'esponente principale, raramente - se non per i tentativi di Grene - Polanyi è stato pensato in questa ottica. In maniera indipendente l’uno dall’altra e a partire dalla lezione della Gestaltpsychologie essi hanno sviluppato delle riflessioni analoghe in ambito di teoria della conoscenza.

L'idea più feconda della teoria ecologica della percezione visiva è la nozione di affordance, termine del quale Gibson rivendica la paternità. Tuttavia, la materia da cui Gibson elabora il concetto di affordance proviene da Koffka.

La nascita del concetto di affordance è dovuta ad una radicale trasformazione del concetto di valenza che Koffka e Lewin avevano individuato. In breve, possiamo dire che il concetto di valenza rappresenta il valore aggiunto, il significato che il soggetto percipiente conferisce all’oggetto. La valenza di una maniglia è quella di essere

196 Dopo aver proposto quello che ritiene un nuovo approccio alla conoscenza Gibson considera anche

quella che chiama «conoscenza mediata da descrizioni: la conoscenza esplicita»:

La conoscenza formulata con delle parole può essere detta esplicita, anziché tacita. L’osservatore umano può verbalizzare la sua consapevolezza, e come risultato renderla comunicabile. Ma io ipotizzo che tale consapevolezza del mondo non c’è, prima di poterla mettere in parole. Prima di poter dire, devi vedere: la percezione precede la predicazione (Gibson, 1986, trad. it. 1999, p. 394).

A proposito dello sviluppo del bambino:

il suo sistema verbale probabilmente inizia a verbalizzare silenziosamente, in modo in larga misura analogo a quello del sistema visivo, che inizia a visualizzare senza i vincoli della stimolazione o dell’azione muscolare, ma entro i limi degli invarianti su cui il sistema è sintonizzato. Ma per quanto il bambino possa mettere in parole le sue conoscenza, non sempre questo può risultare possibile. Per quanto si possa essere abili nello spiegare facendo ricorso alle parole, a mio avviso si vedrà sempre più di quanto si possa dire (Gibson, 1986, trad. it. 1999, p. 394).

149 afferrata solo nel momento in cui il soggetto ha il bisogno di aprire la porta e quindi afferrare la maniglia. Gibson è di diverso avviso:

L’affordance di qualcosa non cambia con il cambiare dei bisogni dell’osservatore. L’osservatore può più o meno percepire o prestare attenzione all’affordance, secondo i suoi bisogni, ma questa essendo invariante, è sempre là, pronta ad essere percepita. Un’affordance non è conferita ad un oggetto da un bisogno di un osservatore e dal suo atto di percepirla. L’oggetto offre quel che offre perché è quel che è (Gibson, 1986, trad. it. 1999, p. 222).

L’affordance infatti è costante, è un elemento invariante della luce ambiente, anche se Gibson stesso ammette che l’osservatore possa non tenerne conto. In questo caso, non solo gli oggetti possono essere percepiti senza la mediazione di schema alcuno ma questo vale anche per i significati di ciò che percepiamo.

Un fatto importante che riguarda le affordances che l’ambiente offre, è che esse sono in un certo senso oggettive, reali e fisiche, a differenza di valori e significati, che si ritiene di solito che sia soggettivi, fenomenici e mentali. Ma, di fatto, un’affordance non è una proprietà oggettiva né soggettiva; o, se si vuole, è entrambe le cose. Un’affordance taglia trasversalmente la dicotomia tra oggettivo e soggettivo e ci aiuta a comprenderne l’inadeguatezza. E’ allo stesso tempo un fatto ambientale e un fatto comportamentale. E’ sia fisica che psichica, eppure non è né l’una né l’altra. Un’affordance si indirizza in entrambe le direzioni, in quella dell’ambiente e in quella dell’osservatore (Gibson, 1986, trad. it. 1999, p. 208).

Visto che Gibson sostiene che la conoscenza è una estensione della percezione e che questa è determinata in primo luogo dalla percezione delle affordances risulta rilevante questa nozione all’interno di una teoria della conoscenza. Prima dello psicologo americano, Polanyi ha sostenuto che la scienza è sia una estensione della percezione ordinaria (Polanyi, 1946, 1958, 1966b, 1972).

I termini utilizzati da Polanyi nella descrizione della relazione tra conoscenza e percezione non prevedono che si pensi ad una precedenza di uno dei due termini della questione, né – lo esplicitiamo - è presente la nozione di affordance. Tuttavia, il carattere di ricerca degli scienziati che percepiscono Gestalten nella realtà. La fiducia che gli scienziati ripongono nella visione che li guida durante la scoperta trova la sua controparte nella significatività della realtà.

We can conclude then that, in nature, the coherence of an aggregate shows that it is real and that the knowledge of this reality foretells the coming of yet unknown future manifestations of such reality. This concept of reality will now be extended to include all the phases of a scientific enquiry. It will explain the way discovery is anticipated, from the sighting of a problem to its final solution (Polanyi, 1972, p. 45).

La scienza, quindi, presuppone la realtà. Questa presupposizione per quanto importante perderebbe immediatamente di significato se non sostenuta da quella idea

150 di conoscenza personale che trascende la abituale distinzione tra oggettivo e soggettivo. Ci siamo chiesti se anche della affordance possiamo dire che essa sia personale. Mentre il carattere di invito presente negli oggetti dell’ambiente è conferito esclusivamente dai bisogni del soggetti, e quindi ha un carattere prevalentemente soggettivo, l’affordance come costante quando interna al momento della percezione del soggetto che sceglie di percepirla, allora assume un carattere personale, proprio nel senso polanyiano.

Diventa importante allora, nel guardare la teoria della conoscenza polanyiana da una prospettiva ecologica, ricollocare il soggetto e la nozione di attività.

Anche se paragrafo precedente è stato ampiamente dedicato alla definizione della nozione di attività e conseguentemente di alcuni aspetti che riguardano direttamente il soggetto percipiente e conoscente, vale la pena di integrare il senso di attività in Polanyi prendendo in considerazione l’idea ecologica proposta da Gibson.

«La teoria delle affordances comporta che vedere le cose significa come muoversi tra le cose stesse e cosa fare o meno con esse» (Gibson, 1986, trad. it. 1999, p. 341). Il concetto di attività che emerge dalle teorie gibsoniane è da intendersi come la possibilità che la relazione tra osservatore e ambiente sia armoniosa. L’osservatore, infatti, orientando i suoi organi di senso si muove nell’ambiente, generando una identità tra attività percettiva, agire e conoscenza:

l’occhio è parte di un organo duplice, fa parte di una coppia di occhi mobili, che sono posti in una testa, attaccata ad un corpo che può muoversi in ogni luogo. […]. Ogni occhio è posizionato in una testa, che a sua volta è posizionata su un tronco, che è posizionato su due gambe che mantengono la postura del tronco, della testa e del corpo, relativamente alla superficie di sostegno. […] E’ con la testa che si guarda, non solo con gli occhi; ovvero, più esattamente, come ho detto all’inizio, è anche con il sistema testa- occhio che si guarda (Gibson, 1986, trad. it. 1999, pp. 105 - 316).

Fuori dallo schema di qualsiasi dualismo, il soggetto è impegnato nella scoperta del suo ambiente. Il modo tipico di essere nel mondo di qualsiasi animale, anche dell’essere umano consiste in primo luogo nel muoversi in quel mondo, «guardarsi

attorno» e «vedere cose»197, «discernere Gestalten»198. Queste espressioni

caratterizzanti il comportamento dell’essere umano significano molto di più di quanto in prima battuta sia Polanyi che Gibson – in vesti molto diverse – volevano far intendere: indicano quella che l’originaria possibilità dell’essere umana: essere abili.

197 Le due espressioni sono ampiamente utilizzate da Gibson. 198

151 Crediamo che sia secondo le sue abilità che l’essere umano attraverso la più importante forma di conoscenza non esplicita, la percezione visiva, possa esperire il mondo e così mostrare la caratteristica che gli è più propria quella di essere agente. A partire da attività manuali fino a quelle cognitive più complesse, l’essere umano nell’esperire il mondo esemplifica il nesso tra percezione, azione e conoscenza. Sono le attività come la manipolazione, l’uso di strumenti o la loro costruzione a costituire l’ultimo tassello del rapporto virtuale tra Polanyi e Gibson.

Nel presentare la nostra proposta di lettura della conoscenza tacita abbiamo accennato all’importanza del sistema oculo – manuale. La coordinazione oculo – manuale infatti è alla base dell’agire umano e non solo di quelle forme azione come l’afferrare un oggetto, ma anche dell’apprendimento della scrittura o di una lingua dei segni. La valutazione di tale tipo di coordinazione, infatti, è oggi uno dei parametri necessari alla valutazione delle abilità psicomotorie dei bambini affetti da disabilità. La critica che Neisser muove a Gibson trova proprio in questi casi maggiore successo.

In ogni caso, vogliamo qui spiegare cosa intendiamo con sistema oculo – manuale nel senso ecologico che Gibson gli attribuisce. Polanyi infatti pur sfiorando questo concetto molto spesso non lo introduce mai chiaramente.