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La differenza tra oggettivo, soggettivo e personale

ALL’EPISTEMOLOGIA

3.1. Il problema della conoscenza in Michael Polany

3.1.3. La differenza tra oggettivo, soggettivo e personale

La dinamica del rapporto tra oggettivo, soggettivo e personale ancora oggi risulta essere argomento di discussione tra i maggiori interpreti di Polanyi. In particolare,

ricordiamo la puntualità con cui Walter Mead95 entra nel dibattito: impropriamente si

parla di una ‘sintesi’ di oggettivo e soggettivo perché in realtà è necessario riconoscere che Polanyi ha ‘trasformato’ il significato di questi due termini attraverso una operazione di ‘traslazione’ nel contesto dell’impegno ‘fiduciario’.

Anche se la dimensione del personale assume l’ampiezza che Mead le conferisce e lo stesso Polanyi ha giustificato e difeso la nuova accezione di oggettività, giungendo alla conclusione che la dimensione del personale possa trascendere la dicotomia tra oggettivo e soggettivo, dobbiamo comunque registrare le accuse di soggettività e solipsismo che hanno più spesso colpito la nozione di conoscenza personale. Gli epistemologi come Popper fanno riferimento essenzialmente a tre elementi dell’epistemologia polanyiana per portare l’accusa di soggettività al personalismo di Polanyi: il concetto di immedesimazione (indwelling), il rifiuto della verificazione in scienza e la nozione di impegno. In tutti e tre i casi, infatti, i filosofi della scienza contemporanei hanno inteso un modo di indagare la realtà che tende al modello dell’impersonalità.

In particolar modo, dopo aver già esaminato l’epistemologia senza soggetto conoscente di Popper nella sua teoria della conoscenza oggettiva e la teoria della

quindi determina il mio impegno. Questa speranza e quest’obbligo si esprimono nell’intento universale della conoscenza personale» (Polanyi, 1958a, trad. it. 1990, p. 156-157).

95 E’ possibile rintracciare il monito di Mead in una mail del 23 marzo 2008 al gruppo Polanyi_List

91 conoscenza a partire da Russell e Ryle, è necessario cercare di delimitare in maniera più chiara gli ambiti di competenza dell’oggettivo, del soggettivo e del personale. Considerata una teoria soggettiva della conoscenza, Popper nel Poscritto alla Logica della ricerca scientifica indica una sua idea di ‘conoscenza personale’ a partire da esperienze soggettive, ma in parte differente dalla teoria soggettiva della conoscenza:

Esiste, naturalmente, un terzo tipo di conoscenza che pure potrebbe essere definita “mia”: so dove devo cercare la mia boccetta di inchiostro, o la porta della mia stanza; so la strada per la stazione; so che i lacci delle mie scarpe tendono a rompersi se sono in ritardo. Questo tipo di conoscenza (che si potrebbe definire “conoscenza personale”) non è quasi mai tradizionale poiché è il risultato delle mie stesse esperienze; e perciò si avvicina più di tutte al genere della conoscenza immaginata dalla teoria soggettivista. Tuttavia, neppure questa “conoscenza personale” si adatta a quella teoria; giacché essa fa parte della conoscenza, propria del senso comune, delle cose tradizionali – di boccette di inchiostro, di lacci di scarpe, di stazioni ferroviarie; cose che dobbiamo imparare a conoscere assorbendo una tradizione. E’ innegabile che le nostre osservazioni, i nostri occhi e le nostre orecchie, sono stati immensamente d’aiuto in questo processo di assorbimento. Tuttavia, assorbire una tradizione è un processo fondamentalmente diverso da quello immaginato dalla teoria soggettivista, che vuole che io parta dalla mia conoscenza e, inoltre, dalla mia esperienza osservativa (Popper, 1983, trad. it. 1984, p. 116).

Non solo Popper attacca il sistema della conoscenza personale servendosi delle altre teorie soggettive della conoscenza ma assimila ad esse il (presunto) relativismo e il fideismo polanyiano:

Ciò non vuol dire che non vi siano grosse differenze fra le mie idee sulla scienza e quelle di Kuhn. Io sostengo l’antica teoria della verità (pressoché esplicita in Senofane, Democrito e Platone, e del tutto esplicita in Aristotele) secondo la quale la verità consiste nella corrispondenza ai fatti di quanto viene asserito. Le idee di Kuhn su questa fondamentale questione mi sembrano affette da relativismo; più specificamente, da una certa forma di soggettivismo e di elitismo, del genere di quella suggerita, ad esempio, da Polanyi. Kuhn mi sembra affetto, altresì, dal fideismo di Polanyi: la teoria che uno scienziato debba avere fede nella teoria che propone (mentre io credo che gli scienziati – come Einstein nel 1916 o Bohr nel 1913 – si rendano spesso conto di star proponendo congetture che verranno, prima o poi, soppiantate) (Popper, 1983, trad. it. 1984, p. 20).

Malgrado le critiche puntuali, Polanyi fornisce un’ articolata giustificazione della conoscenza personale, identificando lo scarto tra conoscenza personale e soggettività nella matrice logica della nozione di impegno:

commitment is a personal choice, seeking, and eventually accepting, something believed […] to be impersonally given, while the subjective is altogether in the nature of a condition to which the person is question about subject (Polanyi, 1958a, p. 302)96.

96 «l’impegno è una scelta personale, di ricerca e alla fine di accettazione di qualcosa che si crede [...]

sia dato impersonalmente, invece il soggettivo rientra completamente nella natura di una condizione a cui la persona in questione è soggetta» (Polanyi, 1958a, trad. it. 1990, p. 477).

92 Il banco di prova di tale giustificazione è costituito dallo spazio logico del problema nell’ambito della ricerca scientifica.

All’interno della ricerca della soluzione di un problema, il livello intellettivo del ricercatore non è articolato solo in un livello ‘inferiore’ e uno ‘superiore’. Infatti, se il primo livello ci coglie esseri passivi di fronte ai nostri “appetiti” e ad azioni in cui non c’è traccia della nostra deliberazione e ci riferiamo a stati come il sogno, il dolore, l’ansia, modelli di comportamento senza alcun aggancio al mondo esterno, anche nel livello superiore la trama personale della nostra partecipazione è quasi inesistente, poiché impiega forme di intelligenza, come quella matematica, completamente formalizzate.

Il livello intellettivo inferiore è quello della soggettività, mentre quello superiore attiene all’oggettività. Esiste tra questi due livelli un terzo livello, che possiamo definire personale, in cui l’originalità e la creatività che lo caratterizzano si contrappongono all’intelligenza formalizzata del livello superiore ed è anche molto differente dall’appagamento di un appetito che risiede nel livello inferiore dell’intelletto poiché si cerca di risolvere un problema che ha un respiro universale, quindi vincolante in seguito alla sua soluzione. In questo livello, che contemporaneamente è interno ed erompe fuori dallo schema oggettivo - soggettivo:

The distinctive ability of a scientific discoverer lies in the capacity to embark successfully on lines of enquiry which other minds, faced with the same opportunities, would not have recognized or not have thought profitable. This is originality. Originality entails a distinctively personal initiative and is invariably impassioned, sometimes to the point of obsessiveness (ivi, p. 301).97.

Una profonda differenza tra oggettivo, soggettivo e personale, quindi può essere tracciata a seconda dell’influenza di tre fattori principali: originalità, impegno e tendenza all’universalità.

Browhill (1981) spiega chiaramente questo passaggio dalla passione euristica, all’impegno e all’universalità: «The piece of knowledge that one grasps is not just something that satisfies one’s subjective cravings but is something that one makes a universal claim for – one claims that it is objective, that it is the truth» (Brownhill, 1981, p. 363).

97

«L’abilità distintiva di una scoperta scientifica sta nella capacità di immetterci con successo su direzioni di ricerca che altre menti, trovandosi di fronte alle stesse occasioni, non avrebbero riconosciuto o non avrebbero ritenuto profittevoli. Questa è la sua originalità. L’originalità comporta un’iniziativa personale distinta ed è invariabilmente imbevuta di passione, fino all’ossessione» (Polanyi, 1958a, trad. it. 1990, p. 475).

93 La dimensione personale della conoscenza però è possibile soltanto se è dinamizzata attraverso la nozione di realtà: lo scienziato, o semplicemente ogni soggetto conoscente, trascende il soggettivismo proprio stabilendo un contatto con la realtà che si basa sulla capacità di far emergere una realtà nascosta. Ogni elemento unificato in conoscenza personale non è né soggettivo né arbitrario perché riflette elementi della realtà, quindi esterno al soggetto conoscente ma inerente alla realtà stessa.

The scientist's task is not to observe any allegedly correct procedure but to get the right results. He has to establish contact, by whatever means, with the hidden reality of which he is predicating.[…]. And he will accept therefore the duty of committing himself on the strength of evidence which can, admittedly, never be complete; and trust that such a gamble, when based on the dictates of his scientific conscience, is in fact his competent function and his proper chance of making his contribution to science (Polanyi, 1946, p. 26)98.

Come sostiene Grene (1996), l’ uso delle nozioni di soggettivo e soggettività che appaiono lungo tutto il testo di Polanyi non è completamente chiaro, poiché sono presenti occorrenze che in Personal Knowledge assumono tre significati differenti. Mentre tutto ciò che attiene al personale è molto chiaro, secondo Grene, c’è qualche difficoltà a mantenere una unica accezione di soggettivo nello scritto polanyiano. Infatti, quando Polanyi nelle prime pagine dello scritto indica la dimensione personale della conoscenza come possibilità di trascendere la distinzione tra oggettivo e soggettivo, queste due condizioni della conoscenza piuttosto che contrastare appaiono fondersi come un unico blocco oltre il quale esiste la conoscenza personale. Il senso più diffuso di soggettività in Polanyi, come Grene mette in luce, è «it is what belongs to my “inner” life, with no implications of universality and so with little interest for more than my momentary satisfaction» (Grene, 1996, p. 15). Tuttavia, se ne trova spesso un altro senso che è più strettamente legato alle questioni che riguardano la scienza e la verificazione: «it is whatever is out of accord with the canons of our modern, liberal, science-sponsoring and sciencegrounded society» (Grene, 1996, p. 15).

98 «Il dovere di uno scienziato non è di osservare una qualche procedura presumibilmente corretta, ma

di ottenere risultati corretti. Egli deve stabilire un contatto, attraverso qualsiasi mezzo [by whatever means], con la realtà nascosta della quale sta discutendo [...] Ed egli accetterà quindi il dovere di impegnarsi sulla base dell’evidenza, che può presumibilmente essere sempre incompleta, e di confidare che una tale scommessa, quando basata sui dettami della coscienza scientifica, è di fatto la sua funzione di competenza e la sua opportunità di fornire un contributo alla scienza» (Polanyi, 1946 [1964b], trad. it. 2007, p. 64).

94 Ogni scienziato compie un atto di fede, a partire dal rapporto che intrattiene quando è ancora allievo con il suo maestro. Come sostiene Brownhill, l’unica accusa di soggettivismo e di irrazionalismo che può essere mossa a Polanyi risiede proprio in quei primi scritti in cui insiste sul rapporto tra maestro e allievo e nell’atto di fede dello scienziato, come in Science, faith and society del 1946, quando ancora la struttura dell’impegno non è completamente chiara.

We may conclude that just as there is no proof of a proposition in natural science which cannot conceivably turn out to be incomplete, so also there is no refutation which cannot conceivably turn out to have been unfounded. There is a residue of personal judgement required in deciding as the scientist eventually must what weight to attach to any particular set of evidence in regard to the validity of a particular proposition (Polanyi, 1946, p. 17)99.

We can clearly distinguish in all these phases of discovery the two different personal elements which enter into every scientific judgement and make it possible for the scientist to be judge in his own case. Intuitive impulses keep arising in him stimulated by some of the evidence but conflicting with other parts of it. One half of his mind keeps putting forward new claims, the other half keeps opposing them (ivi, pp. 26- 27)100.