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Consumare la storia

Nel documento Raccontare la storia al tempo delle crisi (pagine 161-164)

4. L'impegno ai tempi del tardo capitalismo

1.3 Consumare la storia

Più di trent'anni dopo la pubblicazione dell'articolo Postmodernism, or, the Cultural

Logic of Late Capitalism la situazione è evidentemente cambiata: il postmoderno

rimane una categoria di riferimento sebbene non sia chiaro se esso rappresenti una “fase” o una “svolta”300. Tuttavia alcuni dei nodi centrali dei dibattiti sul postmoderno

299 «Even within black or femminist novels, for instance, the issue of class enters», A poetics of postmodernism, p. 133.

300 Vd. Monica Jansen nell'analisi delle posizioni di Ceserani-Luperini, Monica Jansen, Il dibattito sul postmoderno in Italia. In bilico tra dialettica e ambiguità, pp. 175-179.

sono ancora ben lontani dall'essere risolti e, se si guarda ai recenti romanzi, sono tuttora centrali per definire il panorama culturale contemporaneo, anche per quel che riguarda le forme della narrazione. Al fine di interrogarsi sul legame tra il mercato e la narrazione della storia, diventa importante analizzare le conseguenze di un grande investimento economico (politico, economico e simbolico) nei confronti delle tematiche storiche e quali sono le ambiguità che emergono nel campo della discussione storica che rimettono in gioco i testi fin qui analizzati. Facendo riferimento al contesto anglosassone Jerome de Groot afferma, in un saggio del 2009, che «l'importanza del passato- l'importanza di autenticità, empatia, realtà, verità storica- non è mai stata più alta»301. De Groot non solo cita spesso Jameson, ma è la stessa impostazione della sua analisi che lo avvicina alla riflessione sul postmoderno. De Groot ragiona infatti su come la Storia sia diventata un oggetto di consumo, in particolar modo in anni recenti: sebbene i materiali critici che utilizza risalgano agli anni Ottanta, la sua analisi è incentrata sulla produzione narrativa della fine degli anni Novanta e l'inizio del Duemila. In particolare de Groot recupera da Hutcheon l'idea che il romanzo contemporaneo abbia fatta propria un'impostazione auto-riflessiva sulle proprie forme, facendo sì che la narrazione della storia sia a sua volta una riflessione critica sul modo in cui viene narrata. Tuttavia è l'intero mondo della produzione culturale che è mutato, facendo della Storia uno dei principali oggetti di discussione e al contempo un prodotto di consumo assolutamente redditizio. La produzione culturale contemporanea, in merito ai temi della storia, è pertanto incommensurabilmente più variegata rispetto a quella degli anni Ottanta: quiz televisivi, serie televisive, documentari, film, romanzi, videogiochi, giochi di ruolo, giochi da tavolo, pubblicità, biografie, autobiografie, musei. Questo uso molteplice del materiale storico contribuisce a rendere la Storia un oggetto pop, come già diceva Jameson, sebbene oggi ciò avvenga in modo molto più pervasivo.

La confusione tra cultura alta e cultura popolare assume un ruolo centrale nel momento in cui la Storia stessa diventa un oggetto di consumo, e tanto l'accesso quanto l'uso dei materiali storici diventa alla portata di tutti e non solo di chi frequenta l'accademia. Nei

301 «The importance of the past – the importance of authenticity, empathy, reality, historical truth – has never been higher», Jerome de Groot, Consuming History. Historians and Heritage in Contemporary Popular Culture, Londra, Routlege, 2009, p. 248.

confronti degli “accademici” de Groot mette in evidenza uno stato di tensione affermando, citando tra gli altri Hayden White, che la moltiplicazione delle possibilità di accedere e usare i materiali storici è in realtà una ricchezza di cui gli storici dovrebbero usufruire, invece che osteggiare:

le popolari manifestazione culturali della storia [...] sfidano gli storici di professione nel momento in cui presentano gli elementi di una storiografia dissidente che abbraccia questa innata molteplicità. Il fenomeno qui considerato ci dice molto riguardo le possibili relazioni, e la valorizzazione, della conoscenza storica.302

Da questo punto di vista la rappresentazione della Storia negli ultimi anni è assolutamente performativa, capace di abbattere le barriere tra gli studiosi di Storia e il resto della società che ha la possibilità quindi di essere soggetto partecipe del processo. La storia tuttavia, attraverso gli strumenti messi a disposizione dalla cultura pop, non è necessariamente un oggetto di una standardizzazione, né ciò che viene prodotto nella cultura mainstream diventa automaticamente poco affidabile. Tuttavia il problema esiste dal momento che questo processo ha come motore la ragione economica e pertanto «la capacità di conoscere è meno importante della capacità di intrattenere»303. Se l'intrattenimento diventa la cifra necessaria affinché un prodotto abbia una diffusione capace di rendere profitto, allora la semplificazione del messaggio diventa prioritaria. Il rischio è quindi che le forme dell'intrattenimento prevalgano sopra i contenuti, di conseguenza la necessità di intrattenimento assunta per narrare la storia si basa su protocolli che non possono essere neutrali.

Dal punto di vista della letteratura De Groot non aggiunge nulla a quanto analizzato finora, affermando che «il romanzo storico è di per sé provocatorio e auto-riflessivo e offre al lettore una complessità di interrelazioni e vicende»304. La sua riflessione è

decisamente più critica quando sono analizzati i casi degli storici diventati star a partire dal loro ruolo di presentatori televisivi, è infatti in questi casi che il processo di commercializzazione del materiale storico diventa evidente. De Groot prende in esame

302 Jerome de Groot, Consuming History. Historians and Heritage in Contemporary Popular Culture, p. 6.

303 Ibid., p. 7. 304 Ibid., p. 225.

le affermazioni dello storico/presentatore Simon Schama per dimostrare come attraverso i media sia possibile veicolare espliciti messaggi politici a partire dalla narrazione della storia. Schama fa riferimento, infatti, nella serie A History of Britain, a valori di appartenenza alla patria:

questo senso di storia dinamica, interrogativa, istruttiva, che celebra e enfatizza l'identità nazionale, dipinge gli storici come in qualche modo coinvolti nel processo di spiegazione di questi materiali al pubblico, dal momento che danno vita non alla nostalgia, bensì ad un attivo e ispirato senso di cittadinanza […]. Gli storici accademici hanno espresso inquietudine per il fatto che la storia in televisione sembra fare riferimento a una richiesta a ampi interrogativi civici riguardo alla nazione ritenuti troppo problematici dall'accademia mentre in qualche modo il fascino della storia pubblica tende ad essere teleologico, esplicativo e positivista.305

A dimostrazione del fatto che queste letture siano intimamente legate ad un contesto e ad un ordine egemone è sufficiente mettere in evidenza, come scrive de Groot, che le interpretazioni in termini nazionalisti aumentano in maniera radicale, all'interno della televisione anglofona, nel momento in cui ha inizio la guerra in Iraq. Emerge dunque con chiarezza il problema di quali siano gli interessi dei promotori di una determinata costruzione storica, dal momento che la diffusione della Storia va ben oltre al contesto accademico. Sebbene l'accademia continui ad avere un ruolo significativo, esso rischia di diventare ininfluente rispetto alla crescente pervasività delle forme dello star system: il dibattito sulla Storia non è interamente sottratto all'accademia, ma di fatto essa ne perde il monopolio.

Nel documento Raccontare la storia al tempo delle crisi (pagine 161-164)