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La politicità del postmodernismo secondo Linda Hutcheon

Nel documento Raccontare la storia al tempo delle crisi (pagine 157-159)

4. L'impegno ai tempi del tardo capitalismo

1.1 La politicità del postmodernismo secondo Linda Hutcheon

Abbiamo visto quanto le teorie di Jameson diventino effettivamente, seppur con diverse intensità, un punto di riferimento nei diversi dibattiti che hanno luogo in Europa. Tuttavia, mentre esse sono sono al centro di discussioni tuttora irrisolte, le analisi di Linda Hutcheon, che entrano nello specifico della forma delle narrazioni postmoderne, sono invece quasi sempre assunte e utilizzate senza eccessive resistenze291.

Hutcheon prende in esame non solo le analisi di Jameson, ma l'intero filone teorico a cui egli fa riferimento, a partire dalla Scuola di Francoforte, fino al left criticism statunitense in cui lei stessa può essere inserita. I titoli dei suoi saggi bastano da soli per fare emergere il contrasto con le tesi di Jameson: A poetics of postmodernism (1988),

The politics of postmodernism (1989), e Irony's edge (1994, dove viene ripreso A theory of parody, 1984) rivendicano il portato critico delle forme ironiche postmoderne,

laddove queste, nella seconda metà degli anni Ottanta, sono fortemente messe sotto accusa da numerosi studiosi:

per Alan Wilde, l'ironia è una caratteristica positiva e significativa del postmoderno; per Terry Eagleton, l'ironia è ciò che condanna il postmodernismo alla trivialità e al kitsch. Per alcuni, l'implicazione inevitavile del postmodernismo nel dibattito su cultura alta/cultura di massa è significativa; per altri è spiacevole. Per M.H. Abramas, le “irrisolvibili indeterminatezze” attraverso cui egli definisce il postmoderno sono implicitamente legate alla mancanza di senso e all'indebolimento delle fondamenta culturali, mentre per Ihab Hassan quelle stesse indeterminatezze sono parte di “un forte volontà revisionista nel mondo occidentale, che smonta/monta codici, canoni, procedure, convinzioni”292.

291 Un'eccezione significativa è ancora una volta quella di Raffaele Donnarumma che sottolinea come le riflessioni di Linda Hutcheon non si adattino alle analisi delle opere di Philip Roth, in particolare Patrimony. A true story (1991) Operation Shylock (1993), The plot against America (2004). Raffaele Donnarumma, Ipermodernità. Dove va la narrativa contemporanea, pp. 135-136. 292 Linda Hutcheon, The Politics of Postmodernism, London & New York, Routlege, 1989, p. 18,

In un contesto abbastanza compatto nella condanna alle pratiche del postmodernismo, Hutcheon rivendica la piena “politicità” nonché “profondità” delle opere postmoderne, nei confronti delle quali, scrive, non bisogna assumere un atteggiamento di disprezzo. Inoltre Hutcheon rifiuta l'idea che la cultura sia un oggetto che è possibile consumare esclusivamente in maniera passiva, ma che esista sempre una rielaborazione.

Sulla scia della French Theory, Hutcheon sottolinea nell'introduzione di The Politics of

Postmodernism, che la conoscenza poggia su capisaldi che possono sembrare naturali,

mentre invece sono del tutto costruiti socialmente in un mondo di relazioni di potere. In diverse opere della letteratura postmoderna Hutcheon riscontra il tentativo, da parte dei loro autori, di de-naturalizzare le figure dominanti del nostro modo di vivere. In questo senso Hutcheon conduce una critica feroce nei confronti di Baudrillard (a cui si rivolge ampiamente nella conclusione di A poetics of postmodernism). In contrasto con quest'idea, Hutcheon sottolinea che l'arte postmoderna si pone come obiettivo proprio quello di problematizzare i simulacri.

Pur all'interno di un sistema pervasivo come quello del tardo capitalismo, numerose produzioni letterarie (e non solo) si pongono in maniera problematica nei confronti del sistema. Al loro interno il sistema di rappresentazioni che il mercato mette a disposizione viene straniato, ricontestualizzato, rovesciato nel suo significato. In questo senso Hutcheon sottolinea la piena politicità dell'ironia e della parodia postmoderne, senza quindi accettare la definizione di pastiche usata da Jameson. Invece di essere un esercizio di stile privo di profondità le forme parodiche utilizzate nelle opere postmoderniste consentono di mettere in discussione i materiali che il sistema culturale produce, sottolineando la loro parzialità e mettendone in crisi le basi.

Tale operazione è tanto più importante dal momento che Hutcheon parte dal presupposto che il nostro modo di accedere alla realtà sia comunque sempre testuale. Nessun testo può pertanto essere considerato neutrale, dal momento che esso reca sempre la traccia di chi lo ha prodotto. In relazione a Lyotard, Hutcheon sottolinea che una delle caratteristiche del postmoderno è effettivamente, come sostiene il filosofo francese, una crisi della metanarrazioni, ma che, nonostante ciò, «questo non significa che la conoscenza [scompaia]»293. A tale proposito Hutcheon esplicita la sua posizione

in riferimento alle teorie dei simulacri di Baudrillard: «abbiamo mai conosciuto il “reale” in altra maniera che non fossero le rappresentazioni? Possiamo vederlo, sentirlo, annusarlo e toccarlo, ma sappiamo in che senso gli conferiamo un significato»294. Il processo di significazione avviene dunque attraverso una costruzione di senso, un'attività umana e sociale. In questo senso, Hutcheon sottolinea che «la narrativa è effettivamente un “atto socialmente simbolico”, come afferma Jameson, ma è anche l'esito delle interazioni sociali»295.

Ad una critica della teoria di Baudrillard sulla précessions des simulacres è quasi interamente dedicata la conclusione di A poetics of postmodernism. Sulla base dell'analisi di Hutcheon, l'idea di ipermodernità, per come essa viene proposta da Baudrillard, è del tutto criticabile: la commistione tra realtà e le sue rappresentazioni è sempre esistita e spesso è stata utilizzata a fini di dominio, mentre in ogni società si è sempre fatto uso e abuso dei simulacri. Le pratiche del postmoderno, invece di assumere acriticamente la commistione tra la realtà e la sua narrazione, consentono di metterne in rilievo la distanza. Hutcheon riesce così a far risaltare alcuni tratti della produzione postmoderna che assumono un portato conflittuale in cui esisterebbe infatti la possibilità di una forza liberatoria e egualitaria: quella della profanazione del mito296.

Nel documento Raccontare la storia al tempo delle crisi (pagine 157-159)