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Il romanzo del mondo globalizzato

Nel documento Raccontare la storia al tempo delle crisi (pagine 146-157)

4. L'impegno ai tempi del tardo capitalismo

5.2 Mia Couto, le ragioni di un'inclusione

5.3.3 Il romanzo del mondo globalizzato

Lo sviluppo del mercato con le sue conseguenze politiche e sociali è al centro di quello che all'apparenza è il meno “guerrigliero“ dei romanzi scritti dal collettivo. 54 è forse il romanzo che ha più elementi in comune con l'Armata dei sonnambuli, a partire dal registro comico/grottesco. Tale caratteristica lo allontana da altre produzioni del collettivo: Q, Asce di Guerra (che in realtà nasce proprio dal lavoro preparatorio di 54),

Manituana e Altai contengono infatti scenari rivoluzionari, di battaglie e intrighi politici

che in questo romanzo appaiono come parodizzati, scatenando le critiche di Luperini in merito ad esso afferma «con questo '54' manca del tutto l'intento di capire cosa è stato davvero questo '54. Ciò manca l'intento di capire e individuare un senso delle vicende e degli avvenimenti raccontati»274. Tuttavia, anche grazie ad alcune affinità con L'armata dei sonnambuli, è possibile recuperare 54 e inserirlo in una cornice coerente, senza che

esso appaia come una scheggia fuori posto nella produzione wuminghiana.

Come si è già anticipato, parte della difficoltà di incasellare il romanzo è dovuta al momento storico in cui esso viene scritto e pubblicato: «iniziato nel maggio del 1999, durante i bombardamenti NATO su Belgrado. Consegnato all'editore il 21 settembre 2001, in attesa dell'escalation»275.

Se fosse stato concluso appena pochi mesi prima, 54 avrebbe forse avuto un altro tipo di ricezione: tuttavia i tragici eventi dell'estate 2001 lo rendono forse un romanzo troppo “leggero” rispetto agli argomenti che tratta. Allo stesso modo, se 54 fosse stato terminato pochi mesi prima probabilmente non sarebbero presenti in esso alcuni riferimenti che lo legano al proprio presente in maniera così netta. Come innanzitutto la

273 Il contenuto di questo paragrafo è frutto del seminario “Il romanzo storico come lettura del presente. 54, di Wu Ming”, condotto insieme a Cecilia Ghidotti, e delle ricerche degli studenti e delle studentesse che hanno partecipato al corso: Letizia Giugliarelli, Gaia Marrapodi, Jessica Palmieri, Caterina de Paolis, Marco Riboldi, Daniela Spina, Valentina Venditti. Insieme a questi percorsi questo paragrafo deve molto ad un'intervista preparatoria a Wu Ming 4, anch'essa svolta insieme a Cecilia Ghidotti. Il seminario si è svolto a margne del corso di Storia della critica letteraria, tenuto dal professor Federico Bertoni presso l'Università di Bologna.

274 Romano Luperini, “Commento dei lettori”, Wu Ming Foundation, 05/05/2002, http://www.wumingfoundation.com.

frase «i vol coparne, tiréghe de tutto», che negli capitoli riuniti sotto il titolo “Antefatti” viene urlata da un manifestante durante una carica della polizia ad una manifestazione nella Trieste del 1954 e che, nei racconti del collettivo, è una frase udita il 20 luglio del 2001 poche ore prima dell'assassinio di Carlo Giuliani. Ma è soprattutto la poesia inserita all'inizio del romanzo, scritta dopo gli attentati del 9/11, a fornire una chiave di lettura del libro:

Non c'è nessun «dopoguerra».

Gli stolti chiamavano «pace» il semplice allontanarsi del fronte. Gli stolti difendevano la pace sostenendo il braccio armato del denaro.

Oltre la prima duna gli scontri proseguivano. Zanne di animali chimerici affondate nelle carni, il Cielo pieno d'acciaio e fumi, intere culture estirpate dalla Terra.

Gli stolti combattevano i nemici di oggi foraggiando quelli di domani.

Gli stolti gonfiavano il petto, parlavano di «libertà», «democrazia», «qui da noi», mangiando i frutti di razzie e saccheggi.

Difendevano la civiltà da ombre cinesi di dinosauri. Difendevano il pianeta da simulacri di asteroidi. Difendevano l'ombra cinese di una civiltà. Difendevano un simulacro di pianeta.276

La poesia è un attacco diretto alla critica postmoderna, o perlomeno a quella critica che aveva letto il postmoderno in chiave emancipatoria e come forma di superamento dei conflitti. Allo stesso modo, il riferimento ai “simulacri” rimanda direttamente alle teorie di Baudrillard e alle sue teorie sulla “scomparsa della realtà” che tuttavia, con gli eventi dell'estate del 2001, sembra essere prepotentemente tornata a rivendicare la sua posizione. In questa poesia c'è dunque l'intenzione di chiudere con un tipo di lettura che sembra essere entrata nel pensare comune della società: la violenza rientra all'interno dell'immaginario statunitense ed europeo, non perché sia nata all'improvviso, ma perché ha sempre caratterizzato le politiche occidentali.

Uno dei nodi del libro consiste proprio nel mostrare la permanenza del conflitto dopo il 1945, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, nell'anno 1954, da cui il titolo del romanzo. Come L'armata dei sonnambuli (ambientato nella Parigi del Terrore del 1793), anche 54 è dunque ambientato dopo un “grande evento”. In entrambi i casi non si

tratta di due momenti di calma: anzi, la Rivoluzione francese e gli anni Cinquanta sono (come parte dei critici presi in esame nei primi capitoli) rappresentano due tappe fondamentali che comportano un cambio radicale rispetto al passato.

L'inversione dei numeri delle date (19)45/(19)54 è quasi un invito a legare le due date. Come sottolinea Tommaso de Lorenzis si tratta di un segno che rende evidente una «messa in crisi di una rappresentazione consolidata[...]: quella di “dopoguerra”. Il 54 è il riflesso del 45, identiche le cifre, con la differenza che, come nelle immagini speculari, esse sono ribaltate»277.

Le diverse trame di 54 ricostruiscono così uno scenario in cui la guerra è tutt'altro che lontana. La guerra “fredda” è in realtà insita nelle lotte contro gli eserciti coloniali, ma soprattutto è “globale”: la Jugoslavia, l'Indonesia, gli Stati Uniti, il territorio di Trieste, i porti di Napoli e Marsiglia, la città di Bologna, sono legati da un unico filo rosso che mette in mostra i diversi modi in cui essa è combattuta.

Nel caso 54 vale quindi la lettura che Cecilia Ghidotti fornisce in merito a L'armata dei

sonnambuli278 secondo la quale il lettore viene invitato a immaginare gli sviluppi delle vite dei personaggi nel corso Storia a partire dai dati biografici che costituiscono l'ultimo capitolo del libro. Non si tratta di una nota o dei “titoli di coda” presenti al termine degli altri romanzi del collettivo. In questo modo i dati rientrano quindi a pieno titolo nel materiale narrativo, invitando quindi il lettore a immaginare gli sviluppi della storia a partire da quegli stessi dati. Pur essendo meno evidente, è lo stesso che si innesca anche all'interno di 54, dove però esso viene giocato non tanto su un piano

temporale, bensì su un piano geografico: il romanzo è infatti pieno di spunti lasciati in

sospeso che riguardano gli eventi dell'anno 1954. In questo modo il lettore è invitato a indagare a sua volta i coni d'ombra, che costruiscono l'ampio scenario del romanzo. All'orizzonte di questo scenario esploso di delineano nuovi poteri e nuove forme di dominio. Cos'è infatti che lega punti della mappa così distanti tra loro? Come poter governare un mondo così vasto? Una delle possibili letture viene proposta attraverso la voce del boss mafioso Lucky Luciano, che in un dialogo ambientato di fronte al porto di

277 Tommaso de Lorenzis, “La guerra non è finita”, Zic. Zero in Condotta – Quindicinale di Bologna, 01/03/2002.

278 Intervista di Cecilia Ghidotti a Wu Ming 4, in La colazione dei campioni, E22S02: L'armata dei sonnambuli, Wu Ming,14/04/2014, disponibile all'indirizzo: http://www.radiocittadelcapo.it.

Napoli illustra al suo collaboratore più stretto, Steve Cemento, come si stia profilando una nuova forma di intendere il mondo, quella del commercio globale:

che cos'è lo stato italiano? Dove sta? Eehh... Tu hai detto la tua: lo stato italiano . un cesso. Ma in molti non sanno rispondere a questa domanda, sai? Guarda qua, vieni, Steve, affacciati. Guarda davanti a te. Napoli, il Golfo, 'O Vesuvio, il porto... Lo vedi il porto? Lo conosci bene il porto, eh, Steve? Quasi come i docks ormai, non è Vero? […] Ma fatti dire una cosa. Lo sai chi comanda in questa città? Chi è il capo, the Mayor, il Sindaco, il Fiorello La Guardia di Napoli? Si chiama Achille Lauro, il viceré, lo sai che fa? Costruisce navi, fa l'armatore, poi tiene i giornali, la squadra di football e i voti del popolo. Ma il suo mestiere, la sua fortuna, sono il mare, le barche, i porti. Tu lo sai dove le costruisce le sue navi, dove li tiene i cantieri, questo re di Napoli? A Genova, a La Spezia. Non ti pare strano? Come se tu diventi sindaco di New York e ti vai ad aprire un night-club con le puttane a Chicago, non è vero? Ma tu avevi già capito tutto, eh, Steve? Il porto di Napoli . una vasca da bagno, e sai chi se lo deve fare il bagno? La Sesta flotta US, e noi, modestamente. Ci stiamo un po' stretti, ma senza pestarsi i piedi si aggiusta tutto, non . vero? Non c'è posto per il commercio, per le navi passeggeri, i bacini di carenaggio, lavori di ampliamento. La vasca da bagno serviva a noi e ci serve ancora. Questo Lauro stava cosí con Mussolini, poi quando arrivammo noi, i liberatori, fu arrestato, solo pochi giorni, per capire la situazione, trovare un business per tutti, e don Achille si dimostrò uomo intelligente, come si dice, anche per merito del suo lavoro, navigato. I cantieri e le navi sono finiti a Genova, don Achille tiene il popolo lontano dai comunisti, e noi e la Sesta flotta ci facciamo il bagno tutti i giorni per rimanere profumati. Adesso dimmi una cosa, Steve: tu da qua lo vedi lo stato italiano?

Il monologo contiene in realtà una velata minaccia di Luciano al suo collaboratore, Steve Cemento, colpevole di essersi introdotto nel suo business senza il suo permesso. Anche nel pacificato mondo del dopoguerra, il commercio continua quindi ad essere una questione di rapporti di forza e violenza. Non è un caso che il vero legame tra i diversi scenari del romanzo, è la droga. Il terzo degli “Antefatti” ha come oggetto proprio il commercio della droga:

un chilo d'oppio diventa cento grammi di morfina che diventano centoventi di eroina pura che si mescola a talco, polvere di gesso, chissà cos'altro. Per ogni dollaro speso in oppio se ne guadagnano cinquemila.

incrociate. Dalla Turchia alla Sicilia attraverso Bulgaria e Jugoslavia. Dalla Sicilia a Marsiglia. Dall'Indocina a Marsiglia sulle navi dei Legionari. Da Marsiglia alla Sicilia. Dal Mediterraneo all'America.

«The French Connection»279

Quattro anni prima di Gomorra, Wu Mng individuano nella droga la merce per eccellenza, in grado di creare dipendenza e di promettere guadagni insperati. È anche uno dei motori delle vicende di molti personaggi, dal momento che le vicende di Steve Cemento, Robespierre Capponi e il camionista Ettore Bergami si intrecciano proprio a partire dalla scomparsa di una partita di dodici chili di cocaina. La cocaina è inizialmente nascosta nel porto di Napoli, luogo militarizzato dalle truppe statunitensi e punto di smercio centrale per il commercio europeo. La droga viene nascosta all'interno di un televisore McGuffin Deluxe, prodotto ambito e desiderato da chiunque, specialmente nell'anno dei mondiali di calcio. A nasconderla è Steve “Cemento” Zollo, che ha sottratto la droga dal carico di Lucky Luciano con l'intento di rivenderla sulla piazza di Marsiglia. Tuttavia un altro personaggio, Salvatore Pagano (detto Kociss), ruba il televisore prima che Zollo possa effetturare lo scambio. Da questo momento in poi il televisore, che essendo dotato di un proprio punto di vista e di una propria voce può essere considerato un autentico personaggio, attraversa l'intera penisola passando di proprietario in proprietario, senza che nessuno di questi si renda conto di cosa esso contenga. McGuffin, l'oggetto diffusore di informazioni e simbolo di benessere, si trasforma dunque in un contenitore di sostanze “tossiche”.

Il dubbio è che il contenuto tossico del televisore non sia esclusivamente la cocaina che è nascosta al suo interno. La trama sembra suggerire che lo strumento stesso del televisore sia in sé un diffusore di contenuti tossici: McGuffin, dopo essere stato svuotato e abbandonato in una discarica, si sofferma a pensare ai cartoni di Tom e Jerry, trovandosi a fare un paragone con i veri gatti e i veri topi che lo circondano. La “dura realtà” con cui McGuffin si ritrova a confrontarsi contrasta con le sue “ambizioni” e tuttavia, ora che il televisore è diventato il giaciglio di una gatta incinta, è come se si rendesse conto che proprio da quella “dura realtà” cui possono arrivare le “vere” soddisfazioni: «Qualcuno aveva davvero bisogno di lui, alla buon'ora. Avesse avuto una

bocca, un volto, McGuffin avrebbe sorriso»280. Proprio un televisore dunque, l'oggetto che secondo Baudrillard ha “ucciso la realtà”, il diffusore di simulacri per eccellenza, riscopre la vita al di là della finzione.

Un'apparente contraddizione con questa lettura è il fatto che uno dei protagonisti positivi del romanzo sia un'icona del cinema protagonista dello star system hollywoodiano: Cary Grant. Wu Ming sfruttano una falla all'interno delle sue biografie, che per circa sei mesi dell'anno 1954 non riportano notizie sulla vita e le attività dell'attore. L'attore è coinvolto così in una trma che sembra la parodia di un spy story. Cary Grant diventa uno degli ingranaggi di un piano ordito dai servizi segreti inglesi che decidono di sfruttare la sua immagine per dare forza ad un potenziale alleato strategico, il maresciallo Tito. Sebbene sia un'icona del comunismo, Tito è infatti una pedina importante della strategia mondiale che può essere giocata in chiave anti-russa. L'obiettivo dei servizi segreti è dunque quello di girare un film, in cui Cary Grant interpreti il ruolo del maresciallo. Tuttavia proprio quest'ultimo ha espresso la volontà di conoscere la star hollywoodiana come condizione per la realizzazione del film.

Wu Ming non compromette l'immagine del vero Cary Grant facendo di lui un guerrigliero comunista, né un eroe. Anzi, L'attore inglese viene anzi descritto nel pieno dei rimorsi per non aver essersi schierato a favore dell'amica attrice Frances Farmer di fronte alle accuse di bolscevismo che, nell'epoca delle campagne anti-comuniste del senatore McCarthy, l'avevano destabilizzata fino a portarla al manicomio. Il Cary Grant di Wu Ming è descritto totalmente nel suo ruolo di attore che guarda al cinema con l'occhio di chi è appassionato del proprio lavoro, senza esprimere un posizionamento politico. In questo modo il suo personaggio taglia dunque in maniera trasversale i facili binarismi creati nella guerra fredda. Di lui Wu Ming mettono in evidenza l'accuratezza nello stile, l'ossessiva cura del dettaglio. Per questo motivo il tentativo da parte dei servizi segreti di guadagnare un alleato attraverso gli strumenti del cinema è un'operazione che può rientrare nel suo modo di intendere il proprio lavoro: se la guerra fredda deve essere combattuta, allora è meglio che lo sia attraverso questi canali, piuttosto che nelle modalità grette e violente imposte dal maccarthysmo. Inoltre impersonare il maresciallo Tito, comunista sì, ma «in maniera differente» rispetto ai comunisti sovietici, è un modo per rendere giustizia a Frances.

Cary decide di compiere la sua missione e arriva a conoscere il maresciallo Tito. Quest'ultimo, fino al momento dell'incontro è stato una presenza continuamente evocata all'interno del romanzo: Tito è il feroce maresciallo che manda la sua polizia a reprimere le manifestazioni italiane di Trieste e la sua posizione politica è al centro delle confuse discussioni del Bar Aurora in cui viene descritto come una figura ambigua, o definito un traditore della rivoluzione.

Dopo queste premesse, il maresciallo Tito che conversa amabilmente con Cary Grant risulta essere un personaggio del tutto spiazzante. Si tratta a sua volta di un dandy, esattamente come Cary, ma per scopi differenti: l'accuratezza estetica non è infatti slegata dalla sua attività politica, essa è anzi direttamente politica, elemento imprescindibile per la vittoria della rivoluzione e per la sconfitta del nemico durante la guerra. Per Tito la cura dello stile e dell'apparenza è uno degli elementi che restituisce dignità al lavoratore e che lo pone sullo stesso piano dei padroni. La sua stessa immagine è l'immagine della Jugoslavia unita:

la Lega dei comunisti jugoslavi governa questa repubblica col consenso dei popoli che l'hanno fondata, un mosaico di razze, culti, tradizioni. Al vertice c'è bisogno di rituali e di ruoli certi. Senza rituali e simboli comuni, senza un garante della coesione della comunità, saremmo finiti. Ogni dettaglio della mia figura pubblica è un simbolo, deve trasmettere il messaggio: «Io sono tutto e voi siete tutto insieme a me!» Il taglio perfetto della mia uniforme dà concretezza all'orgoglio dei lavoratori.281

Il dialogo fra i due è in realtà un'amabile conversazione tra due persone che si sentono a proprio agio l'una con l'altra, pur provenendo da mondi e passati radicalmente differenti. Eppure, per quanto siano distanti, i due si comprendono immediatamente: Cary intuisce, ben prima dei servizi segreti che rimangono in attesa dei rapporti ufficiali, che il film su Tito non si farà mai e che la strategia del maresciallo è piuttosto quella di farsi blandire da entrambi le fazioni della cosiddetta “guerra fredda” e nel frattempo rimanere saldo alla guida del proprio paese, la cui unità finirà a seguito della sua morte. Tito rimane dunque un personaggio controverso, indissolubilmente legato alla posizione della nazione da lui guidata e carico di tutte le ambiguità di un patriottismo che si rivela essere uno strumento di emancipazione e al contempo di dominio. Un equilibrio che in

epoca di guerra fredda deve essere dosato, appunto, con stile.

Tuttavia, pur essendo Cary rinfrancato e divertito dalla sua avventura alla 007 (riferimento esplicito e costante delle sue vicende), i rimorsi per l'amica e collega Frances Farmer non svaniscono con la fine della missione. Il fantasma di Frances comincia a turbare i sogni di Cary come gli spettri del Riccardo III di Shakespeare. Sebbene il fantasma, a differenza della tragedia shakesperiana, lo assolva da ogni colpa e sebbene la sua carriera cinematografica affievolisca i suoi rimorsi, qualcosa in Cary rimane irrisolto: «questo è solo un grande teatro di posa. Vallo a dire a Frances Farmer», dice a se stesso. Solo una cura di ipnosi a base di LSD lo salva dalla depressione e allontana i fantasmi shakesperiani: «l'inverno del suo scontento, sotto quel sole lisergico, si fece gloriosa estate»282. La pacificazione dello spirito di Cary avviene dunque in maniera artificiale, e il personaggio rimane in realtà irrisolto. Le note finali con l'etichetta “Titoli di coda”, poste al di fuori della vicenda romanzata, contengono un riferimento che lascia aperte molte possibilità rispetto alla lettura del personaggio di Cary:«immaginate che Cary si sia divertito a mettere nei suoi film successivi riferimenti nascosti all'avventura jugoslava. Buona ricerca!»283. Attraverso la vicenda di Cary Grant emerge così una critica nei confronti dell'idea che la società dello spettacolo debba essere rifiutata e abbattuta: persino nell'industria culturale per eccellenza, il cinema hollywoodiano al momento della sua esplosione (ossia proprio in quegli anni '50 in cui Jameson e Ceserani registrano un drastico cambiamento), è possibile trovare una forma di resistenza o di lotta, sebbene non leggibile attraverso una logica attenta esclusivamente al posizionamento politico. Come afferma il fantasma di Frances Farmer: «ogni uomo ha una missione diversa da compiere. C'è modo e modo di salvare le streghe»284.

54 è dunque il romanzo delle possibilità, che mette in evidenza la scelta dei personaggi

di un modo di stare al mondo e svolgere il proprio lavoro, facendosi però carico di tutte le ambiguità di questa scelta. Ed è anche il romanzo delle globalizzazioni: a espandersi sul globo non è solo il commercio, ma anche le rivolte e le persone che, anzi, fanno proprio di questo movimento geografico la base per una lotta del tutto politica, sia essa

282 Ibid. p. 635. 283 Ibid., p. 661. 284 Ibid., p. 558.

combattuta con i fucili o con un certo stile in grado di rappresentare in sé una critica e al contempo una forma di resistenza.

Riferimento a icone pop, riferimento al mondo dei media, riferimento alla società dello

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