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Pratiche letterarie e cattura della vita

Nel documento Raccontare la storia al tempo delle crisi (pagine 89-94)

4. L'impegno ai tempi del tardo capitalismo

4.3 Pratiche letterarie e cattura della vita

Tra le pratiche letterarie maggiormente utilizzate nella letteratura contemporanea, un ruolo centrale viene giocato dalla sovraesposizione dell' “Io”, basti pensare al successo della forma dell'autofiction. Il fatto che tale elemento diventi centrale nel mercato della letteratura porta la vita stessa dello scrittore a entrare in stretta relazione con la sua opera. Un fenomeno non necessariamente pericoloso, dal momento che, come si è visto brevemente attraverso la lente dell'analisi postcoloniale, diversi autori consapevoli di questo meccanismo adottano delle contromisure (testuali ed extra-testuali) al fine di usarlo strategicamente. Tuttavia non sempre è possibile.

Il caso di Roberto Saviano mette in evidenza l'altra faccia della medaglia di questo meccanismo: scrittore di fama internazionale grazie al successo di Gomorra, vive ora, proprio a causa del suo libro, in uno stato di costante controllo da parte della scorta. Daniele Giglioli, in Senza Trauma, fornisce una spiegazione del perché proprio il libro di Saviano abbia avuto conseguenze estreme:

a che si deve l'impatto di Gomorra? Non tanto alla perspicacia delle analisi sulla Camorra: i dati erano noti, la reazione affettiva ed etica che suscitano già ampiamente codificata. Né significa molto il fatto che anche Saviano abbia “mescolato i generi” e i toni- la lucidità dell'inchiesta sociologica, la partecipazione della testimonianza personale, lo stile tough di un certo noir. […] Ma Saviano non si limita a questo: il suo “Io” ci disturba, ci ricatta, si commuove al posto nostro. Ma ancora più ci fa preoccupare per lui.

167Sarah Brouillette, Postcolonial writers and the Global Literary Marketplace, New York, PalgraveMacMillan, 2007, p. 61 (trad. mia).

[…] Saviano ha dovuto insediarsi nell'unica macchina mitologica ancora in grado di ottemperare a questo compito, e ciò e quell'immaginario della vittima che è allo stato attuale dei fatti il più potente generatore di identità della coscienza contemporanea.168

Un meccanismo che si lega tra l'altro alla forma della sua stessa opera, dal momento che: «le minacce cui si trova sottoposto sono una prosecuzione - non voluta, subìta, infame, beninteso - di quella che è stata la scelta strategica più profonda e felice del suo libro, il punto d'incontro tra la sua esperienza e quella del lettore»169.

Ponendo l'accento sul “immaginario della vittima”, Giglioli in realtà anticipa la tesi del suo saggio successivo, Critica della vittima, che unisce e amplifica la questione dell'identità in quanto attaccata, vittima di qualcosa, con l'effetto di rovesciare le parti e fare del proprio ruolo di vittima una condizione di potere. Il limite tra esposizione dell'identità e vittimismo diventa dunque labile e soprattutto contraddittorio, specie se ci si continua a focalizzare sul caso Saviano: il successo internazionale ha concesso visibilità allo scrittore, che è condizione necessaria per evitare l'uccisione da parte dei clan della camorra. Maggiore è la visibilità di Saviano, minore è la forza della minaccia, dal momento che la sua morte potrebbe risultare un boomerang per la stessa camorra. La difesa fisica tuttavia non basta: affinché Saviano rimanga vivo deve avere una voce presente, deve essere sempre visibile. La collaborazione col giornale La Repubblica, con L'Espresso, il suo ruolo di autore nella trasmissione Vieni Via con Me hanno anche (non solo, ovviamente) la funzione di dare a Saviano la visibilità di cui ha bisogno per rimanere vivo. D'altro canto, è impossibile passare indenni attraverso questa disciplina della vita: negli articoli e nei monologhi della trasmissione, Saviano è costruito come l'intellettuale che ha scritto Gomorra, come l'immagine di se stesso. Il ruolo che gli viene attribuito è quello di uno scrittore in grado di dare un punto di vista etico, di prendere posizione nella lotta contro la mafia.

Invece di decostruire la propria immagine, Saviano veste a pieno il ruolo che gli viene attribuito. Per questo motivo è difficile discernere se le sue prese di posizione siano più legate alla presenza ossessiva della scorta e a come si è costruita la sua immagine mediatica, o se invece tra il suo ruolo e la sua persona vi sia totale sovrapposizione. Le due pagine di ringraziamenti alle forze dell'ordine di Zero Zero Zero possono essere

168Daniele Gigioli, Senza Trauma, Quodlibet, Macerata, 2011, p. 60-61. 169Ivi, p. 62.

lette secondo questa ambivalenza170. C’è dunque da chiedersi se è possibile leggere secondo la stessa ottica la collaborazione con La Repubblica, o se le nette prese di posizione di Saviano contro le manifestazioni di piazza italiane171 ubbidiscano a una duplice costrizione, dovuta prima di tutto alla necessità di difendere le forze dell'ordine, ma anche alla fedeltà rispetto alle linee editoriali del gruppo Espresso.

Le risposte possono essere purtroppo solo speculative, sebbene sia un dato di fatto che le condizioni di vita di Saviano abbiano comportato, come sottolineato da Francesco Festa, un evidente «slittamento ermeneutico» che marca una differenza sostanziale rispetto a Gomorra172. Tuttavia si tratta delle stesse domande che ci si pone in letteratura quando ci si riferisce all'affidabilità del narratore, sebbene in pochi sembrano fare sconti rispetto alle sue prese di posizione, in particolare Alessandro Dal Lago, in

Eroi di carta (pur secondo un'analisi ampiamente discutibile173) e dalle stesse realtà di

movimento174. Il dispositivo vittimistico tuttavia è talmente forte che criticare Saviano

pone una questione di legittimità: chi critica Saviano difficilmente è sottoposto al suo stesso tipo di ricatto. Non è un caso che a far saltare il dispositivo sia un'altra vittima, vale a dire Vittorio Arrigoni, il reporter noto per le sue cronache dalla Palestina sui bombardamenti israeliani e morto nel 2011 per mano di una cellula integralista salafita, che aveva aspramente criticato le posizioni dello scrittore a proposito dello Stato di

170Roberto Saviano, Zero Zero Zero, Feltrinelli, Milano, 2012, p. 441-442. 171Roberto Saviano, “Perché l'Italia non va in Piazza?”, L'Espresso, 15/07/2013.

172«Vale la pena annotare uno slittamento ermeneutico tra una prima fase risalente a Gomorra e una seconda che culmina nel suo ultimo Zero Zero Zero. Nella prima, le informazioni utilizzate erano raccolte in prima persona, avvalorate dalla testimonianza diretta: “io lo so, io c’ero”. Nell’ultima, il Saviano 2.0 monta informazioni di seconda mano, rilegittimando l’autorevolezza delle fonti ufficiali tipo rapporti di polizia», Francesco Festa, “Di Saviano e di altre narrazioni tossiche”, Euronomade, www.euronomade.info.

173Pur non condividendo del tutto l'analisi degli autori, si segnala una recensione uscita sul blog di Carmilla, che sottolineando gli errori di Del Lago, si focalizza sull'operazione letteraria di Gomorra, mettendo implicitamente in evidenza la distanza rispetto alle successive prese di posizioni di Saviano, che infatti viene definito fin dal titolo “l'autore di Gomorra”. Redazione Carmilla, “L'uomo che sparò all'autore di Gomorra”, Carmilla. Letteratura, immaginario e cultura d'opposizione, 22/06/2010, www.carmillaonline.com.

174In particolare si riporta una critica che arriva dagli ambienti del movimento No Tav: Maria Meleti, “Saviano non abita in Val Susa”, Infoaut, 26/07/2013, www.infoaut.org.

Israele, espresse in una conferenza del 2010175.

Il caso di Saviano è unico nel panorama italiano e non trova un corrispettivo nel contesto portoghese o spagnolo. Tuttavia in Spagna l'autofiction si lega comunque ad una discussione ampiamente dibattuta in ambito politico, ossia il tema della narrazione della storia: Soldados de Salamina di Javier Cercas, La voz dormida di Dulce Chacón,

La mitad del alma di Carme Reira, ¡Otra maldita novela sobre la guerra civil! di Isaac

Rosa, Mala gente que camina di Benjamin Prado, Pa negre di Emili Teixidor, Les veus

del Panamo di Jaume Cabrer (gli ultimi due in lingua catalana), sono i romanzi che

fanno riferimento a quello che Manuel Alberca, analizzando proprio Soldados de

Salamina, definisce un “patto ambiguo”176 tra autore e lettore. Il fatto che così tanti scrittori, nati più o meno nello stesso periodo (la fine degli anni Quaranta e l'inizio degli anni Sessanta) arrivino al successo all'incirca negli stessi anni (inizio anni duemila) trattando lo stesso tema, utilizzando le stesse forme, rende molto sottile la differenza tra l'assunzione collettiva di una forma letteraria da parte di una generazione di autori e una “moda” richiesta dal mondo del mercato editoriale.

Tale esposizione dell'identità dell'autore diventa quindi sempre più centrale all'interno del mondo della letteratura, tanto da diventare la base per l'ideazione di un talent-show:

Masterpiece è un format televisivo esclusivamente italiano, che può rappresentare un

sunto e al contempo un possibile ulteriore sviluppo di tutti i fenomeni analizzati finora. Al programma partecipano aspiranti autori letterari in cerca di un editore che possa pubblicarne il romanzo. Nella prima stagione i giudici dello show sono Giancarlo de Cataldo, Andrea de Carlo e Taiye Selasi. Quest'ultima, nata a Londra da padre ghanese e madre nigeriana, è un'autrice pressoché sconosciuta in Italia fino a poco prima dell'inizio dello show, dal momento che il suo unico romanzo viene pubblicato in Italia

175L'episodio riguarda la partecipazione di Saviano all'iniziativa “Per la verità, per Israele”. Nel suo video- denuncia, Arrigoni mette in evidenza la contraddizioni tra Gomorra e le dichiarazioni dello scrittore al convegno su Israele, in particolare rispetto ad un passaggio in cui Saviano cita l'autobiografia di Shimon Peres: lo stesso autore che ha raccontato le stragi dei bambini sciolti nell'acido dal boss della camorra Brusca e nel dimenticare, nel suo intervento al convegno, quelli uccisi dal fosforo bianco Vittorio Arrigoni, Gaza risponde a Roberto Saviano, 12/12/2012, www.youtube.com.

176Manuel Barca, El pacto ambiguo. De la novela autobiográfica a la autoficción, Madrid, Biblioteca Nueva, 2007.

solo nel 2013. I giudici sono chiamati a verificare le capacità autoriali dello scrittore oltre a valutarne il testo. Gli aspiranti scrittori vengono sottoposti a prove di scrittura (come ad esempio quelle di scrittura veloce), ma sono anche chiamati a sostenere la validità del proprio scritto di fronte all'editore (Elisabetta Sgarbi, presidente della casa editrice Bompiani). Tuttavia diversi elementi alimentano il sospetto che sia proprio l'identità dell'autore l'elemento su cui viene posto l'accento.

Il vincitore della prima stagione è Nikola Savic, serbo trasferitosi in Italia all'età di dodici anni: nonostante un percorso di studi che comprende una laurea in Scienze della Comunicazione, gli scritti di Savic sono colmi di errori grammaticali, di cui egli stesso si dichiara fiero. La conoscenza non del tutto solida della lingua italiana infatti sarebbe condizione per possedere un'aura “esotica” (con le dovute differenze rispetto ai meccanismi analizzati da Huggan). Lo stesso romanzo Vita Migliore (ora pubblicato da Bompiani) si lega alla biografia di Savic, in quanto il protagonista è un suo alter-ego di nome Deki, che ripercorre la storia recente della Jugoslavia dalla caduta del comunismo alla guerra dei Balcani.

Non si tratta di entrare nel merito della scelta del vincitore in quanto scrittore di qualità o meno, quanto piuttosto di mettere in evidenza il fatto che questa scelta corrisponda perfettamente ai meccanismi del mercato editoriale. Ad essere del tutto paradossale all'interno dei casi analizzati nell'ultimo paragrafo è che questa esposizione dell'identità autoriale ha come effetto quello di favorire la costruzione di un'immagine dell'autore in quanto eroe romantico, solitario e geniale: un'icona inaccettabile secondo tutti i punti di vista analizzati finora: se non bastassero infatti le analisi che mettono in evidenza il sistema di relazioni che conferisce valore ad un'opera (Bourdieu), se non bastasse un'analisi della società caratterizzata dall'educazione di massa che ridetermina la figura dell'intellettuale (Bauman-Ceserani) rimane comunque il fatto che un testo letterario si costruisce materialmente attraverso la collaborazione di diverse figure (l'agente, l'editor, e il traduttore, quando necessario) che passano immediatamente in secondo piano o addirittura scompaiono nel momento in cui l'opera appare sul mercato. A questo proposito, Sarah Brouillette, riferendosi agli scrittori di ambito postcoloniale, afferma che «essi sono solo una piccola parte del vasto e complesso meccanismo, tuttavia allo stesso tempo le loro figure di autori sono cruciali per il circuito promozionale necessario

al successo di un libro all'interno del mercato»177.

La lettura dell'autore come eroe solitario è esattamente quella che Bourdieu si prefigge di decostuire attraverso il suo libro Les Règles de l'Art. Proprio gli strumenti della sociologia conferiscono all'analisi un senso del tutto politico:

cercare nella logica del campo letterario o del campo artistico […] il principio dell'esistenza dell'opera d'arte nella sua dimensione storica, ma anche metastorica, significa trattare l'opera come un segno intenzionale orientato e regolato da qualcos'altro, di cui essa è anche un sintomo. […] La rinuncia all'angelismo dell'interesse puro per la forma pura è il prezzo che occorre pagare per comprendere la logica di quegli universi sociali che, grazie all'alchimia sociale delle loro leggi storiche di funzionamento, riescono a estrarre dai conflitti spesso feroci delle passioni e degli interessi particolari l'essenza sublime dell'universale; per offrire, dunque, una visione più vera e, in definitiva, più rassicurante, in quanto meno sovrumana, delle conquiste più alte dell'attività umana.178

Ignorare quest'analisi significa essere complice nella creazione di miti funzionali ad un sistema di potere. In sostituzione di questo continuo richiamo al supereroe letterario Bourdieu propone un radicale quanto impossibile cambio di prospettiva reclamando una presa di posizione collettiva da parte delle forze intellettuali per immaginarsi un “corporativismo universale”. Ciò è possibile solamente se gli intellettuali sono in grado di liberarsi del mito dell'intellettuale “organico”.

Nel documento Raccontare la storia al tempo delle crisi (pagine 89-94)