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Il contenuto del ricorso

Il giudizio di legittimità costituzionale in via principale 1. Premessa

2.1. Il contenuto del ricorso

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 34 e 23 della legge n. 87 del 1953, il ricorso deve contenere l’indicazione delle disposizioni della legge o dell’atto avente forza di legge dello Stato o di una Regione viziate da illegittimità costituzionale e delle disposizioni della Costituzione o delle leggi costituzionali che si assumono violate.

Con un ricorso può essere prospettata una pluralità di questioni. Per economia di giudizio, la Corte ha “la facoltà di decidere l’ordine delle censure da affrontare” (sentenza n. 66), “eventualmente dichiarando assorbite le altre” (sentenza n. 148).

Il contenuto del ricorso è stato valutato dalla Corte in particolare sotto il profilo della sua idoneità a introdurre correttamente questioni di legittimità costituzionale sufficientemente precisate e motivate.

Secondo la costante giurisprudenza richiamata dalla sentenza n. 103, “i termini delle questioni di legittimità costituzionale debbono essere ben identificati, dovendo il ricorrente individuare le disposizioni impugnate, i parametri evocati e le ragioni delle violazioni prospettate” (in termini analoghi la sentenza n.

201). La sentenza n. 109 ha ribadito che “il ricorso in via principale (…) deve contenere una

argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale, giacché l’esigenza di un’adeguata motivazione a supporto della impugnativa si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti rispetto a quelli incidentali” (similmente le sentenze nn. 201, 219, 245). La pronuncia ha altresì richiamato la giurisprudenza secondo cui l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 limita l’applicabilità alle Regioni a statuto speciale del novellato art. 117 Cost. alle parti in cui esso assicura forme di autonomia più ampie rispetto alle disposizioni statutarie: laddove “venga sottoposta a censura di legittimità costituzionale una disposizione di legge di un soggetto ad autonomia speciale, la compiuta definizione dell’oggetto del giudizio (…) non può pertanto prescindere dall’indicazione delle competenze legislative assegnate dallo Statuto speciale, tanto più se queste risultino astrattamente pertinenti all’oggetto del giudizio” (analogamente la sentenza n. 201). Tuttavia, “siffatto requisito di ammissibilità va inteso nel senso che, dal contesto del ricorso, deve emergere l’esclusione della possibilità di operare il sindacato di legittimità costituzionale in base allo statuto speciale”, ritenendosi “sufficiente, ma necessaria, un’indicazione, sia pure sintetica al riguardo, in ordine all’estraneità della materia alla sfera di attribuzioni stabilita dallo stesso, nonché una pur non diffusamente argomentata evocazione dei limiti di competenza fissati da quest’ultimo”. Le sentenze nn. 152 e 245 hanno confermato che l’atto introduttivo “non può limitarsi a indicare le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o

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incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di costituzionalità, ma deve contenere (…) anche una argomentazione di merito, sia pure sintetica, a sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità, posto che l’impugnativa deve fondarsi su una motivazione adeguata e non meramente assertiva”. Per la sentenza n. 159, “laddove si denunci la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. è onere del ricorrente indicare specificamente la disposizione statale interposta che si ritiene violata ed in particolare il principio fondamentale della materia asseritamente leso” (analogamente la sentenza n. 122).

La sentenza n. 17 ha rammentato che “grava sul ricorrente l’onere probatorio di dimostrare l’irreparabile pregiudizio lamentato, quando lo stesso non sia direttamente evincibile dal testo normativo impugnato”.

La sentenza n. 73 ha reputato ammissibile una questione avente, “per espressa indicazione della ricorrente”, una “finalità interpretativa o cautelativa”, “essendo stata promossa sulla base di una interpretazione delle norme impugnate prospettata come soltanto possibile”. Infatti, un ricorso “può contenere censure di tal genere, purché le interpretazioni prospettate non siano implausibili e irragionevolmente scollegate dalle disposizioni impugnate, così da far ritenere le questioni del tutto astratte e pretestuose”. Per la sentenza n. 103, la peculiare modalità di proposizione in via dichiaratamente cautelativa dei ricorsi non incide sulla loro ammissibilità, atteso che “possono trovare ingresso, nel giudizio in via principale, questioni promosse in via cautelativa ed ipotetica, sulla base di interpretazioni prospettate soltanto come possibili, purché non implausibili e comunque ragionevolmente desumibili dalle disposizioni impugnate”. Nella specie, la lettura delle ricorrenti non è apparsa prima facie implausibile, perché in linea con l’orientamento secondo cui l’illegittimità di una previsione legislativa “non è esclusa dalla presenza di una clausola di salvaguardia, laddove tale clausola entri in contraddizione con quanto affermato dalle norme impugnate, con esplicito riferimento alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome”.

Sono sanzionabili con l’inammissibilità delle questioni le lacune riscontrate (a) nell’individuazione delle disposizioni denunciate, (b) nell’indicazione dei parametri e (c) nella motivazione delle censure.

a) Quanto all’oggetto del giudizio, la Corte ha ribadito che, “se è inammissibile l’impugnativa di una intera legge ove ciò comporti la genericità delle censure che non consenta la individuazione della questione oggetto dello scrutinio di costituzionalità, sono, invece, ammissibili le impugnative contro intere leggi caratterizzate da normative omogenee e tutte coinvolte dalle censure”. Così la sentenza n. 247 secondo cui “la legge impugnata regola in modo omogeneo una pluralità di interventi tutti riconducibili (…) all’erogazione dei livelli essenziali di assistenza in materia di disturbi dello spettro autistico e disturbi pervasivi dello sviluppo”.

La sentenza n. 198 ha così rigettato un’eccezione erariale di inammissibilità per asserita mancanza di corrispondenza tra le censure e il petitum: la ricorrente “ha ritenuto di impugnare le sole disposizioni che reputa lesive delle proprie competenze costituzionalmente garantite. La circostanza che il vizio lamentato potrebbe determinare, in ipotesi, l’illegittimità costituzionale non solo delle disposizioni censurate, ma del decreto legislativo nella sua interezza, non vale (…) a rendere dovuta, pena la sua inammissibilità, l’impugnazione dell’intero atto normativo”.

b) In merito al parametro, è stata rilevata l’inidoneità dell’invocata normativa statale secondaria a fungere da parametro interposto (sentenza n. 122, la quale ha altresì puntualizzato che “dalla mancata indicazione delle competenze legislative assegnate dallo statuto discende l’inammissibilità di un ricorso statale avverso la legge di un soggetto ad autonomia speciale”).

La sentenza n. 122 ha dichiarato inammissibili le censure di violazione della normativa statale secondaria rivolte dal ricorrente all’impugnata disciplina provinciale. L’obbligo di conformazione delle Province autonome sussiste solo in relazione a discipline di rango primario costituenti limite all’esplicazione della loro potestà legislativa; pertanto, “la denunciata violazione delle norme secondarie invocate dalla parte ricorrente non determina l’illegittimità delle norme provinciali, essendo le prime inidonee a stabilire principi della legislazione statale e a fungere da parametro interposto”.

La sentenza n. 21 – nel rigettare un’eccezione di inammissibilità, per impropria evocazione di un parametro costituzionale, di una questione avente ad oggetto una legge di una Regione ad autonomia speciale – ha replicato che “l’art. 133, secondo comma, Cost., certamente destinato alle Regioni a statuto ordinario, tuttavia vincola, nella parte in cui riconosce il principio di autodeterminazione delle popolazioni locali, anche le Regioni a statuto speciale, le quali restano peraltro libere di dare attuazione a tale principio nelle forme procedimentali ritenute più opportune”, sicché, per questa parte e in questi limiti, il parametro è risultato correttamente evocato. La sentenza n. 201, respingendo un’eccezione provinciale di inammissibilità, ha osservato che “il ricorso ha ben evidenziato che tutte le competenze primarie della

75 Provincia ricomprese nell’art. 8 dello statuto speciale (…) debbono essere esercitate in armonia con la Costituzione” e con le “norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica”.

c) Con riferimento alle problematiche attinenti alla motivazione delle censure, è stato confermato il consolidato orientamento secondo cui l’ammissibilità delle impugnazioni in via principale è subordinata alla circostanza che le motivazioni addotte a sostegno delle doglianze superino una “soglia minima di chiarezza e di completezza” (sentenza n. 83; analogamente la sentenza n. 201). La sentenza n. 83 ha precisato che “la motivazione per relationem è lesiva del principio di autosufficienza dell’atto introduttivo del giudizio (…), quando (…) una censura sia sviluppata in atti diversi dal ricorso o dall’ordinanza in cui essa è contenuta”, “come nel caso di motivazione con rinvio ad altro ricorso (…) o ad altra ordinanza di rimessione”. La sentenza n. 210 ha ricordato che, a sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità, non può proporsi “una motivazione meramente assertiva, ma devono essere specificamente e congruamente indicate le ragioni per le quali la norma impugnata si pone in contrasto con i parametri evocati”.

Numerose sono state le dichiarazioni di inammissibilità per difetto assoluto di argomentazione (sentenze nn. 5 e 198) o motivazione (sentenze nn. 5 e 185) della questione; per carenza e genericità (sentenze nn. 5 e

198) o inadeguatezza (sentenze nn. 17, 103, 109) della motivazione delle censure; per l’apoditticità

(sentenze nn. 5, 103, 198, 210), oscurità (sentenze nn. 103 e 137) e genericità (sentenze nn. 152 e 198) delle censure; per la genericità (sentenze nn. 79, 198, 219), insufficienza (sentenza n. 79), astrattezza e carenza di adeguata motivazione (sentenze nn. 17 e 198) della questione o del ricorso (sentenze nn. 75 e 84).

La sentenza n. 5 ha osservato che una delle denunciate disposizioni “è considerata nella premessa in fatto del ricorso, nonché nell’epigrafe dei singoli motivi. Tuttavia, nell’esposizione delle censure è completamente ignorata, non rilevandosi alcuna argomentazione in merito ai profili di contrasto tra i contenuti specifici (…) e i parametri costituzionali invocati”. La decisione poi ha addebitato alla ricorrente di non avere elaborato adeguatamente la doglianza “nei suoi lineamenti giuridici”, ciò che “sarebbe stato tanto più necessario a fronte di un parametro costituzionale di particolare ampiezza normativa, qual è l’art. 118 Cost.”. Infine, ha rammentato il principio per cui, “in relazione all’art. 119 Cost., non sono ammissibili le censure indirizzate apoditticamente all’inadeguatezza delle risorse a disposizione delle Regioni per l’erogazione dei servizi sanitari, senza riferimenti a dati più analitici”; nella specie, la ricorrente non ha inquadrato gli oneri a suo carico nel contesto più ampio delle uscite e delle entrate regionali e non ha spiegato se essi siano sostenibili o meno, né ha considerato le risorse già messe a sua disposizione. Secondo la sentenza n. 75, l’alterazione dell’equilibrio tra bisogni e mezzi per darvi risposta è “dedotta e lamentata dalla ricorrente, ma in modo solo assertivo, senza alcuna concreta indicazione in termini di raffronto tra la situazione tributaria regionale, in rapporto agli impegni di spesa, e il pregiudizio che a detti impegni deriverebbe dal sospeso aumento di aliquote o tariffe, per di più, genericamente riferito all’intera platea dei tributi e delle addizionali attribuiti alla Regione, e non ad uno o più specifici tributi, il cui mancato gettito possa avere effettiva negativa incidenza sul finanziamento di servizi erogati ai cittadini”. La sentenza n. 185 ha evidenziato che “le Regioni, nell’epigrafe e nelle conclusioni dei rispettivi ricorsi, censurano tutte le disposizioni impugnate anche in relazione all’art. 119 Cost. Tale parametro, tuttavia, non è poi richiamato espressamente in relazione alle specifiche questioni, né le parti ricorrenti svolgono alcuna puntuale argomentazione riguardo alle ragioni per le quali le disposizioni impugnate violerebbero lo stesso parametro”. Per la sentenza n. 219, le affermazioni del ricorrente sono “del tutto prive di un’adeguata motivazione in ordine alle specifiche ragioni che determinerebbero la violazione del parametro invocato”.

La sentenza n. 21 ha ritenuto inammissibile, sia pure solo in motivazione, una censura statale contraddittoriamente prospettata in riferimento a disposizione statutaria che “costituisce un presupposto argomentativo del ricorso” e “non può al contempo fungere da parametro” rispetto al quale verificare la legittimità della legge impugnata.

Talvolta l’inammissibilità colpisce solo alcune censure, potendo la questione essere ammissibile ed esaminata nel merito sotto altri profili (sentenze nn. 5, 17, 21, 83, 109, 122, 152, 198, 210, 219).

Sovente la Corte ha respinto eccezioni di inammissibilità delle questioni o del ricorso (sentenze nn. 21 e 127) per presunti vizi concernenti l’individuazione dell’oggetto (sentenze nn. 98, 127, 171, 245), dei parametri (sentenze nn. 98, 109, 122, 168, 178), la motivazione (sentenze nn. 21, 75, 83, 176, 178, 198,

201, 215, 221, 245) e la prospettazione (sentenze nn. 21 e 198) delle censure.

La sentenza n. 21 ha affermato che, sia pure sinteticamente, “il ricorso statale individua esattamente la questione, indicando le norme regionali e i parametri costituzionali, ed espone le ragioni per le quali il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la legge regionale impugnata sia costituzionalmente

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illegittima, citando anche – a conforto delle proprie argomentazioni – la giurisprudenza costituzionale”. Inoltre, la decisione ha così smentito l’eccepito carattere ipotetico delle censure: “il ricorrente non spende argomenti in ordine all’interesse delle comunità (…) rispetto alla variazione circoscrizionale: ma non è tenuto a farlo né lo potrebbe. Lo Stato, infatti, può lamentare la violazione del procedimento per la variazione delle circoscrizioni comunali e, in particolare, la mancata consultazione delle popolazioni interessate, poiché tale onere procedimentale è imposto da disposizioni di rango costituzionale a garanzia del principio di autodeterminazione delle popolazioni interessate. Non gli appartiene, invece – attraverso un riferimento all’interesse delle popolazioni la cui posizione è incisa dalla legge – svolgere una valutazione sul merito della scelta discrezionale assunta dal Consiglio regionale all’esito del procedimento legislativo”. La sentenza n. 83 ha riconosciuto al ricorrente di avere “richiamato specificamente, nel corpo della motivazione, le ragioni esposte in alcune decisioni dell’AGCM relative a provvedimenti amministrativi ritenuti in contrasto con i principi comunitari a tutela della concorrenza, perché discriminanti i confidi su base territoriale”, e di averne affermato la pertinenza, “sottolineando le analogie di detti atti con la previsione regionale nella parte in cui questa richiederebbe il requisito della sede operativa dei confidi nel Veneto”. Per la sentenza n. 98, il ricorso statale “richiama esplicitamente i principi fondamentali della materia coordinamento della finanza pubblica che reputa violati” e ciò è sufficiente ad “assolvere all’onere di motivazione dell’atto introduttivo del giudizio”. In relazione ad altra questione, la pronuncia ha osservato che l’impugnazione ne “identifica con chiarezza oggetto, parametri e profili” poiché il ricorso “ha chiaramente dedotto come parametri (…) l’art. 117, terzo comma, Cost. in riferimento alla materia della tutela della salute, indicando specificamente l’art. 8-ter, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992 quale parametro interposto, e l’art. 118, secondo comma, Cost., (…) e lamentando altresì una violazione dei principi di sussidiarietà e adeguatezza di cui al primo comma del medesimo art. 118”. Secondo la sentenza n. 109, il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, in coerenza con la delibera di autorizzazione, non è sfornito degli elementi argomentativi minimi richiesti per valutarne positivamente l’ammissibilità; esso risulta “correttamente articolato rivendicando congiuntamente (…) sia la lesione del parametro statutario, in ragione dei limiti che lo stesso statuto detta rispetto all’espansione della competenza legislativa primaria della Regione autonoma; sia la conflittualità delle disposizioni impugnate rispetto al parametro di cui all’art. 117 Cost.”. La sentenza n. 122 ha rilevato che “l’indicazione della competenza statutaria che si assume violata è chiaramente espressa e riferita alla materia dell’istruzione elementare e secondaria”; nel tessuto argomentativo del ricorso, “il riferimento alle successive norme di attuazione statutaria non introduce autonome questioni di legittimità costituzionale, ma è volto, piuttosto, a corroborare la violazione dei parametri statutari, denunciata in via principale, attraverso l’indicazione delle disposizioni attuative che, in linea di continuità con essi, contribuiscono a confermare i limiti della potestà legislativa provinciale in materia di istruzione”. La decisione ha anche sottolineato come il ricorrente abbia soddisfatto l’onere di allegazione dei limiti asseritamente violati dalla Provincia autonoma nell’esercizio della sua potestà legislativa concorrente, “attraverso l’espressa e analitica indicazione delle disposizioni statali, qualificate come norme interposte. Nella prospettazione del ricorrente, esse pongono i principi fondamentali dei quali si assume la violazione”. Spetta alla Corte “il compito di riconoscere, nelle norme interposte espressamente indicate dal ricorrente, i principi fondamentali che regolano la materia, nonché di verificare la coerenza della disciplina provinciale impugnata rispetto ad essi”. La sentenza n. 127 ha ammesso che “nella epigrafe e nel dispositivo del ricorso risulta indicata l’intera legge regionale n. 21 del 2017, ma la precisazione «come da delibera del Consiglio dei ministri», contenuta nello stesso dispositivo, e la rispondenza, al contenuto di tale delibera, delle specifiche disposizioni alle quali (soltanto) sono rivolte le censure articolate in motivazione, esclude la genericità del ricorso”. La sentenza n. 168 ha chiarito che il ricorso motiva “adeguatamente il ruolo di parametro interposto attribuito alle disposizioni della legge n. 56 del 2014: sia in relazione alle evocate norme costituzionali (…), sia in relazione alle norme statutarie, là dove si denuncia il mancato rispetto di principi e norme fondamentali di riforma economico-sociale”, in ciò ravvisandosi “il limite che lo statuto di autonomia porrebbe all’esercizio dei poteri legislativi della Regione”. A giudizio della sentenza n. 176, “le doglianze del ricorrente ‒ oltre a individuare con precisione la disposizione impugnata, i parametri costituzionali e la normativa interposta ritenuta rilevante ‒ illustrano con sufficiente chiarezza le ragioni poste a fondamento” delle questioni e sono argomentate “con plurimi riferimenti giurisprudenziali e normativi”. La sentenza n. 178 ha osservato che “il Presidente del Consiglio dei ministri ha sufficientemente motivato le ragioni per le quali le disposizioni impugnate sarebbero contrarie alle norme di grande riforma economico-sociale, specificamente individuate, in materia di tutela dell’ambiente”. La sentenza n. 198 ha ritenuto che i termini delle questioni sono

77 “identificati con sufficiente precisione, risultando soddisfatto l’onere, gravante sulla ricorrente, di individuazione delle disposizioni impugnate, dei parametri evocati e delle ragioni delle violazioni lamentate”. Secondo la sentenza n. 201, “il ricorso contiene una, seppur sintetica, argomentazione di merito a sostegno dell’impugnazione, (…) così come pure indica puntualmente le disposizioni legislative statali in materia di tutela paesaggistica che si assumono illegittimamente violate (…), per cui può ritenersi raggiunta quella soglia minima di chiarezza e completezza (…), che rende ammissibile l’impugnativa proposta. L’eccepita sommarietà delle argomentazioni e incompletezza del quadro normativo di riferimento non sono tali, perciò, da impedire l’esame nel merito del dedotto profilo di illegittimità”. La sentenza n. 215 ha sostenuto che il ricorso, “seppur redatto con motivazione piuttosto succinta (…), è nondimeno ammissibile perché, nel suo contenuto essenziale, è idoneo a identificare la questione”. La sentenza n. 245 ha affermato che “il ricorrente ha individuato con chiarezza le disposizioni censurate, i parametri costituzionali asseritamente violati e la normativa statale di riferimento in materia ambientale o di governo del territorio, e ha fornito argomentazioni, sia pure a tratti succinte, delle ragioni del contrasto tra le prime e i secondi”.

Una particolare causa di inammissibilità legata al petitum è stata rilevata dalla sentenza n. 84: l’intervento additivo invocato rientrava nell’ambito delle scelte di bilancio le quali “comportano decisioni di natura politico-economica (…) costituzionalmente riservate alla determinazione dei governi e delle aule assembleari, in quanto si tratta di scelte che, essendo frutto di un’insindacabile discrezionalità politica, esigono un particolare e sostanziale rispetto anche da parte del giudice di legittimità costituzionale, pur non potendo, naturalmente, costituire una zona franca sfuggente a qualsiasi sindacato del giudice di costituzionalità”.

Eccezioni di inammissibilità involgenti il merito delle questioni, anziché aspetti di ordine processuale, non possono trovare accoglimento (sentenza n. 147).

Nei casi in cui il complessivo tenore del ricorso, anche alla luce delle indicazioni offerte dalla delibera dell’organo politico che deve necessariamente precedere la proposizione dell’impugnazione, consente l’esatta individuazione dei termini della questione, la Corte ha ugualmente proceduto all’esame di merito, operando taluni chiarimenti e le opportune precisazioni (sentenze nn. 109, 121, 137, 238, 245).

La sentenza n. 121 ha rilevato che, nell’impugnare talune disposizioni regionali, il ricorrente si è riferito anche agli artt. 117, sesto comma, e 118, commi primo e secondo, Cost. Tuttavia, all’evocazione di tali parametri “non corrisponde alcuna motivazione circa la loro violazione da parte delle (…) disposizioni impugnate, di modo che essi debbono ritenersi estranei al thema decidendum”. La sentenza n.

238 ha puntualizzato che, “nonostante l’art. 26 appaia integralmente impugnato tanto nel ricorso quanto

nella delibera autorizzativa del Consiglio dei ministri (…), le censure si appuntano esclusivamente sui commi 2, 3 e 4, primo periodo, di detto articolo. Pertanto, il ricorso deve intendersi limitato a tali norme”. In relazione ad altra questione, la pronuncia ha sottolineato che essa “va circoscritta al solo comma 2 dell’art. 30, nonostante che tale articolo appaia integralmente impugnato nel ricorso. Il ricorso infatti, atteso sia il contenuto della delibera governativa, sia il tenore delle censure, deve ritenersi limitato al suddetto comma”. La sentenza n. 245 – pur riconoscendo che “il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 5, senza specificamente indicare, nell’epigrafe e nelle conclusioni del ricorso, i commi recanti le norme oggetto d’impugnazione” – ha, tuttavia, osservato che tale indicazione “si rinviene nel corpo della motivazione, la cui integrale lettura consente, senza margine di errore, l’individuazione delle norme impugnate, come dimostra la stessa difesa della parte resistente che su di esse si incentra”.