Il giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale 1. Premessa
4. L’ordinanza di rimessione
proclamazione, “le elezioni non rappresentano un fatto esaurito, con la conseguenza che l’eventuale annullamento della legge elettorale si riflette sull’esito del giudizio amministrativo”. In secondo luogo, siccome dagli atti di indizione delle elezioni europee e di ammissione delle liste non derivava alcun pregiudizio ai ricorrenti, su di essi non incombeva “un onere di impugnazione di tali atti, preclusivo della possibilità di censurare, per vizi propri, l’atto di proclamazione degli eletti – poi effettivamente impugnato – che, sulla base della norma censurata, non aveva attribuito alcun seggio alla lista dei ricorrenti”.
La sentenza n. 120 ha disatteso un’eccezione erariale di inammissibilità per asserita mancanza di integrità del contraddittorio nel giudizio principale sottolineando “l’autonomia del procedimento incidentale dinanzi alla Corte”.
La necessaria pregiudizialità della questione rispetto alla definizione del processo a quo non implica che le vicende di quest’ultimo possano influire sulle sorti del giudizio incidentale, il quale, in quanto finalizzato al controllo di legittimità costituzionale delle leggi, ha carattere oggettivo ed é sottratto alla disponibilità delle parti, la cui costituzione in giudizio davanti alla Corte è puramente facoltativa. L’art. 18 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale prevede espressamente che la sospensione, l’interruzione e l’estinzione del processo principale non producono effetti sul giudizio incidentale. Le sentenze nn. 10 e 180 hanno confermato che “il giudizio incidentale, una volta iniziato in seguito ad ordinanza di rinvio del giudice rimettente, non è suscettibile di essere influenzato da successive vicende di fatto concernenti il rapporto dedotto nel processo che lo ha occasionato” (in termini analoghi la sentenza n.
150). Nel rigettare un’eccezione regionale di inammissibilità per difetto di rilevanza, la sentenza n. 150 ha
altresì puntualizzato che la rilevanza della questione va “valutata alla luce delle circostanze di fatto sussistenti al momento dell’ordinanza di rimessione e non di quelle sopravvenute”, anche ove queste ultime siano “tali da incidere sulla persistente attualità dell’interesse ad agire nel giudizio principale (…), permanendo la necessità di sottoporre allo scrutinio di costituzionalità una norma che (…) abbia comunque prodotto effetti sulle posizioni soggettive dei destinatari”. La sentenza n. 177 ha rimarcato che “il giudizio di costituzionalità non risente delle vicende di fatto successive all’ordinanza di rimessione”.
La sentenza n. 10 ha negato rilievo alla “circostanza in fatto, segnalata nella memoria della parte privata (…), relativa alle nuove elezioni inerenti la composizione” del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, svoltesi nell’ottobre 2017. L’ordinanza n. 96 ha osservato che, “ai fini dell’ammissibilità delle questioni sollevate” con uno degli atti di promovimento, non ha rilievo il fatto che la rimettente Corte dei conti “abbia dichiarato l’estinzione del giudizio principale per rinuncia agli atti dello stesso da parte dei ricorrenti” poiché “l’’estinzione del processo principale non produce effetti” sul giudizio incidentale. La sentenza n. 177 ha considerato ininfluente la circostanza che “le istanze di autorizzazione unica avanzate dalla ricorrente siano state definitivamente rigettate in sede amministrativa”.
Il difetto del carattere incidentale della questione, allorché l’oggetto del giudizio principale coincida con quello del giudizio di costituzionalità, determina una pronuncia processuale di inammissibilità. Per costante giurisprudenza richiamata dalla sentenza n. 239, “sono ammissibili le questioni sollevate in giudizi promossi contro atti amministrativi, anche se essi sono contestati solo per l’illegittimità costituzionale della legge applicata”.
Secondo la sentenza n. 89, “il petitum volto all’annullamento degli atti impugnati innanzi al TAR consente di escludere la sovrapponibilità di oggetto tra giudizi principali e incidente di legittimità costituzionale, con conseguente ammissibilità delle questioni”. La sentenza n. 239 ha osservato che “un’eventuale decisione di accoglimento non sarebbe idonea ad esaurire la tutela richiesta, in quanto il giudice amministrativo dovrebbe poi comunque annullare – nel caso di specie in parte qua – l’atto di proclamazione degli eletti e assegnare alla lista Fratelli d’Italia – AN (…) i seggi che a essa sarebbero spettati in assenza della soglia di sbarramento”.
4. L’ordinanza di rimessione
La notificazione, la forma e il contenuto dell’ordinanza di rimessione, quale prescritto dall’art. 23 della legge n. 87 del 1953 e da una giurisprudenza costituzionale ormai consolidata, hanno spesso richiamato l’attenzione dei Giudici.
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di rimessione al Presidente della Regione Calabria in quanto “risulta dagli atti che la CTP rimettente ha ritualmente provveduto a tale notifica, effettuata in data 20 ottobre 2017 (data attestata nella ricevuta di avvenuta consegna dell’atto)”.
La forma è stata ritenuta non determinante ai fini della rituale instaurazione del giudizio di costituzionalità. Al riguardo, le sentenze nn. 116 e 126 hanno sostenuto che la forma di sentenza non definitiva, anziché di ordinanza, dell’atto di promovimento non comporta l’inammissibilità delle questioni poiché il giudice a quo – dopo la positiva valutazione concernente la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle stesse – “ha disposto la sospensione del procedimento principale e la trasmissione del fascicolo alla cancelleria” della Corte; sicché, “a tali atti, anche se assunti con la forma di sentenza, deve essere riconosciuta sostanzialmente natura di ordinanza, in conformità a quanto previsto dall’art. 23” della legge n. 87 del 1953.
Quanto al contenuto dell’atto di promovimento, l’ordinanza di rimessione deve descrivere adeguatamente la fattispecie concreta sottoposta al vaglio del giudice a quo, motivare compiutamente circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, identificarne correttamente l’oggetto, contenere un petitum univoco e sufficientemente definito e, come meglio specificato infra (par. 8), dare conto dell’impossibilità di risolvere in via interpretativa l’ipotizzato dubbio di costituzionalità.
“La mancanza di un rapporto di priorità logico-giuridica tra le questioni sollevate” (sentenza n. 12) con l’atto di promovimento consente alla Corte di scegliere in quale ordine esaminarle.
L’accertamento di carenze relative a uno o più dei menzionati profili preclude l’esame di merito delle questioni e determina l’adozione di una pronuncia processuale di (manifesta) inammissibilità. I vizi dell’atto di promovimento sono rilevati dalla Corte d’ufficio o su eccezione specificamente formulata dalla difesa erariale o regionale ovvero da una delle parti costituite nel giudizio incidentale.
Ove sussistano “le condizioni per una pronuncia di manifesta inammissibilità”, “la questione può essere decisa in camera di consiglio” (ordinanza n. 19).
Eccezioni di inammissibilità involgenti il merito delle questioni, anziché profili processuali, non possono trovare accoglimento (sentenze nn. 33, 40, 41, 142, 166, 182, 212, 213).
I Giudici hanno talvolta censurato l’omessa o carente descrizione della fattispecie concreta oggetto del giudizio principale (sentenza n. 22; ordinanze nn. 64 e 191) che comporta l’impossibilità di verificare la rilevanza della questione (ordinanze nn. 7, 37, 242), con conseguente difetto di motivazione sulla rilevanza (sentenze nn. 42, 114, 224; ordinanze nn. 7 e 85). In proposito, si sono ribaditi alcuni consolidati orientamenti: “il carattere pregiudiziale della questione deve emergere con immediatezza ed evidenza dalla descrizione della fattispecie svolta dal rimettente (…), sicché la sua omessa o insufficiente descrizione, risolvendosi in un difetto di motivazione sulla rilevanza (…), preclude il necessario controllo” della Corte e “rende la questione manifestamente inammissibile”. Simile vizio “non è emendabile né attraverso la lettura degli atti di causa (…) né in forza delle deduzioni delle parti”; “infatti, la motivazione dell’ordinanza di rimessione deve contenere tutte le indicazioni indispensabili per una corretta ricostruzione della fattispecie oggetto del giudizio a quo, richiesta non solo in relazione alle condizioni di ammissibilità della questione (…) ma anche al fine di valutare la non manifesta infondatezza di quest’ultima” (ordinanza n. 37). La “carenza di indicazioni sulla fattispecie concreta oggetto del giudizio a quo è (…) causa di manifesta inammissibilità della questione in quanto impedisce di verificare la sua effettiva rilevanza” (ordinanza n.
191); “l’omessa o l’insufficiente descrizione della fattispecie, non emendabile mediante la diretta lettura
degli atti, impedita dal principio di autosufficienza dell’atto di rimessione, preclude il necessario controllo in punto di rilevanza” (ordinanza n. 242).
L’ordinanza n. 7 ha evidenziato che uno degli atti di promovimento “non contiene alcuna descrizione dei fatti oggetto del giudizio a quo, limitandosi ad indicare, con il solo numero, le disposizioni che prevedono i reati contestati agli imputati, come meglio descritti e circostanziati nel Decreto di citazione a giudizio del 13.8.2015, senza neppure riportare i relativi capi di imputazione”; e che “l’insufficiente descrizione della fattispecie processuale, e in particolare dello stato in cui si trovava il giudizio, impedisce il necessario controllo in punto di rilevanza”. La sentenza n. 22 ha sanzionato come manifestamente inammissibili “questioni che il rimettente dichiara di far proprie, mutuandole dalle precedenti ordinanze di altri giudici, cui all’uopo rinvia”. Per l’ordinanza n. 37, il rimettente “non ha indicato le ragioni per cui la norma censurata
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La ritenuta sufficienza delle circostanze di fatto esplicitate nell’ordinanza di rimessione ha, invece, comportato la reiezione di eccezioni di inammissibilità delle questioni per carente descrizione della fattispecie (sentenze nn. 27, 53, 67, 77, 104, 212).
Per la sentenza n. 27, “il rimettente fornisce gli elementi necessari e sufficienti alla ricostruzione della fattispecie”, “specificando in particolare l’attività svolta dalle (…) parti ed integrante il presupposto impositivo” e indicando univocamente “il titolo dell’obbligazione tributaria dedotta in giudizio ed il contenuto della pretesa fiscale vantata dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli (dovendo attribuirsi ad un mero errore materiale il riferimento, contenuto in un passaggio della motivazione, all’Agenzia delle entrate)”. Le ordinanze di rimessione hanno così consentito di “enucleare gli elementi necessari ai fini della preliminare valutazione della rilevanza”. La sentenza n. 77 ha sostenuto che i rimettenti “hanno descritto in dettaglio la fattispecie (…) ed hanno chiaramente evidenziato la necessità di applicare nei giudizi a quibus la disposizione censurata in ordine alla quale hanno motivatamente argomentato i loro dubbi di legittimità costituzionale”. Secondo la sentenza n. 212, l’esposizione della vicenda concreta, “se pur sintetica, è comunque sufficiente a soddisfare l’onere di motivazione sulla rilevanza, essendo stata adeguatamente rappresentata una situazione in cui le doglianze dei ricorrenti non potrebbero altrimenti essere accolte che a seguito dell’eventuale accoglimento della questione di legittimità proposta nei confronti della disposizione di legge di cui i provvedimenti impugnati sono applicazione”.
È stata altresì riscontrata l’inadeguata o difettosa motivazione sulla rilevanza (sentenze nn. 18, 102, 114; ordinanze nn. 85, 145, 202, 204).
La sentenza n. 18 ha imputato al rimettente di avere sollevato la questione in base alla premessa interpretativa dell’applicabilità della norma censurata nel processo tributario d’appello, “senza chiarire – come sarebbe stato suo onere – le ragioni che dovrebbero giustificarla (…) e renderla prevalente rispetto all’opzione ermeneutica” alternativa, da ritenersi non preclusa in mancanza di diritto vivente. Secondo l’ordinanza n. 202, “il rimettente ha omesso completamente di indicare le ragioni per cui la norma censurata (…) debba applicarsi nel giudizio a quo” e non ha spiegato adeguatamente perché la decisione sulla questione di legittimità costituzionale “risulti pregiudiziale ai fini della definizione del giudizio principale”.
Spesso sono state respinte eccezioni di inammissibilità per difettosa motivazione sulla rilevanza (sentenze nn. 4, 91, 92, 99, 105, 120, 142, 189, 197, 218, 223, 232, 240, 250). Per la sentenza n. 105, la motivazione sulla rilevanza “è da intendersi correttamente formulata quando illustra le ragioni che giustificano l’applicazione della disposizione censurata e determinano la pregiudizialità della questione sollevata rispetto alla definizione del processo principale”.
La sentenza n. 4 ha sottolineato come “il rimettente abbia indicato senza incorrere in errore la disposizione che nel caso di specie è tenuto ad applicare”, non rilevando in contrario che “esistono altre disposizioni di analogo contenuto normativo”. Per la sentenza n. 99, il rimettente “motiva espressamente sulla pregiudizialità delle questioni (e, con essa, sulla loro rilevanza), affermando che la norma censurata costituisce la base legislativa del provvedimento amministrativo emesso dalla Banca d’Italia impugnato nel processo principale, sicché la sua applicazione è necessaria per definire il giudizio a quo anche nella sua fase cautelare, attualmente sospesa in attesa della risoluzione dell’incidente di costituzionalità”. La sentenza n. 105 ha osservato che “il carattere pregiudiziale della questione emerge con chiarezza dalla descrizione della fattispecie che ha svolto il rimettente”. La sentenza n. 142 ha chiarito che compete al giudice a quo valutare come avente “rilievo preliminare ai fini della decisione della controversia” lo specifico motivo al quale ineriscono le questioni: ciò che “giustifica – sul piano dell’assolvimento dell’onere di motivazione sulla rilevanza – l’omessa analisi del complesso delle altre doglianze della parte opponente”. La sentenza n.
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223 ha ritenuto sufficiente, ai fini della rilevanza, la sommaria motivazione degli atti di promovimento,
“limitata al fumus”.
Allo stesso esito di inammissibilità della questione conducono i vizi riscontrati in merito alla delibazione sulla non manifesta infondatezza. Il giudice a quo è tenuto a motivare sulla non manifesta infondatezza di ogni dubbio proposto in riferimento a ciascuno dei parametri evocati e non può limitarsi a indicare i parametri senza argomentare in alcun modo, o comunque adeguatamente, in ordine alla loro asserita violazione (sentenze nn. 9, 14, 15, 46, 67, 89, 126, 134, 182, 194, 212, 231; ordinanze nn. 65, 191, 202). Per costante giurisprudenza, “la carenza o l’insufficienza della motivazione sulla non manifesta infondatezza è (…) causa di manifesta inammissibilità della questione” (ordinanza n. 191); “non basta l’indicazione delle norme da raffrontare per valutare la compatibilità dell’una rispetto al contenuto precettivo dell’altra, ma è necessario motivare il giudizio negativo in tal senso e, se del caso, illustrare i passaggi interpretativi operati al fine di enucleare i rispettivi contenuti di normazione” (sentenza n. 212).
A giudizio della sentenza n. 9, “il nesso tra la norma legislativa e il principio costituzionale è affermato in termini apodittici”. La sentenza n. 14 ha rilevato la genericità della censura, “non avendo il rimettente indicato i parametri interposti, ma semplicemente rinviato ad un intero Protocollo ad una Convenzione internazionale”. La sentenza n. 15 ha riscontrato la mancanza di “un’adeguata motivazione in ordine alle ragioni di contrasto tra le disposizioni censurate e il parametro costituzionale evocato”, “meramente indicato nel dispositivo e nelle premesse dell’ordinanza di rimessione”. Per l’ordinanza n. 65, la censura di violazione dell’art. 97 Cost., non supportata da adeguata motivazione, “risulta formulata in maniera confusa ed oscura”. La sentenza n. 89 ha evidenziato che il parametro convenzionale, “evocato per il tramite del primo comma dell’art. 117 Cost.”, “risulta richiamato solo nominalmente dal rimettente”, senza lo svolgimento di specifiche argomentazioni, autonome da quelle spese a sostegno della dedotta violazione dell’art. 3 Cost. Secondo la sentenza n. 134, “il rimettente si limita ad affermare che le norme denunciate violano” il dedotto “parametro statutario, ma omette di esporre argomenti a sostegno della censura”; inoltre, in riferimento ad altra questione, “il rimettente evoca come parametro una norma del titolo V della Parte II della Costituzione, ma non dà conto delle ragioni per cui essa sarebbe applicabile in una materia assegnata alla competenza della Regione Siciliana in base al suo statuto speciale”. La sentenza n. 182 ha ritenuto la doglianza concernente l’art. 3 Cost. “priva di motivazione in punto di non manifesta infondatezza”: infatti, la struttura dell’atto di promovimento “è tutta volta a denunciare l’eccesso di delega in cui sarebbe incorso il Governo con l’adozione della norma impugnata” mentre il giudice a quo si è limitato a fugaci e “apodittici richiami del parametro costituzionale, non accompagnati dall’indicazione delle ragioni circa la sua asserita violazione, necessariamente diverse da quelle che fondano il dubbio di legittimità costituzionale in relazione all’art. 76 Cost.”. L’ordinanza n. 191 ha osservato che l’atto di promovimento si limita a ricordare il contenuto della disposizione censurata e quello dei parametri invocati, senza spendere alcun argomento volto a illustrare l’asserita illegittimità costituzionale”, e che la lacuna “non può essere colmata dalla menzione dell’eccezione di incostituzionalità sollevata dal ricorrente, in virtù del principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione”. L’ordinanza n. 202 ha considerato talune questioni “prive di un’argomentazione esaustiva delle ragioni del preteso contrasto con i parametri evocati”. In ordine a una questione sollevata in riferimento all’art. 22 Cost., la sentenza n. 212 ha imputato al rimettente di avere omesso “qualsiasi argomentazione a sostegno del denunciato contrasto tra le disposizioni censurate e il parametro evocato”.
La sentenza n. 22 ha sanzionato “tutte le (non sempre chiaramente) adombrate questioni (…) aggregate in dispositivo, ma senza indicazione alcuna dei parametri di rispettivo riferimento”.
Il rilievo di un’insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza ovvero in ordine al dedotto contrasto con gli evocati parametri costituzionali è stato disatteso in diverse occasioni (sentenze nn. 11, 14,
24, 53, 67, 88, 123, 182, 218, 223, 225). La sentenza n. 223 ha evidenziato che l’erroneità della motivazione
circa il dedotto contrasto con gli invocati parametri è un profilo attinente “esclusivamente al merito delle questioni, non alla loro ammissibilità”.
Per la sentenza n. 11, “risultano individuate in modo chiaro, seppur in sintesi, le ragioni che inducono il rimettente a dubitare della legittimità costituzionale della disposizione censurata”. La sentenza n. 24 ha affermato che il rimettente “ha esposto in modo adeguato le ragioni del lamentato contrasto fra la norma denunciata e i parametri convenzionali evocati, mentre la eccepita non pertinenza dei precedenti della Corte di Strasburgo citati a sostegno della censura può riguardare semmai solo il merito della questione”. La
51 sentenza n. 53, pur riconoscendo che il rimettente ha denunciato cumulativamente la violazione degli artt. 3 e 24 Cost., “senza svolgere argomentazioni distinte a sostegno della denuncia in rapporto a ciascuno dei due parametri”, ha sostenuto che “dalla motivazione dell’ordinanza di rimessione risultano agevolmente ricavabili le ragioni dei vulnera costituzionali ventilati”. La sentenza n. 88, dopo aver rilevato la fondatezza dell’eccezione erariale limitatamente alla dedotta violazione dell’art. 24 Cost., ha osservato che, “con riguardo ai residui parametri, coincidenti con quelli alla cui stregua la norma è stata scrutinata (…) nella precedente occasione, le ordinanze di rimessione riproducono per sintesi, riportandone ampi stralci, il contenuto della sentenza n. 30 del 2014, dimostrando di aderirvi. Inoltre, confrontandosi con la normativa sopravvenuta e giudicandola inidonea a emendare il vizio precedentemente riscontrato e a prestare ossequio al monito all’epoca impartito, i rimettenti individuano in maniera sufficientemente chiara e adeguata le ragioni che (…) inducono a dubitare della legittimità costituzionale della norma”. Non si è dunque trattato di un caso di motivazione per relationem, “essendo pienamente ottemperato l’obbligo” incombente sul rimettente di “rendere espliciti, facendoli propri, i motivi della non manifesta infondatezza”. Secondo la sentenza n. 182, il rimettente “ha senza dubbio ben argomentato il lamentato vizio di eccesso di delega, risultando chiarissime le ragioni le quali, da un lato, lo inducono a ritenere che la norma impugnata sia stata adottata in contrasto con i principi e criteri direttivi posti dalla relativa legge di delega e, dall’altro, gli impediscono di disapplicarla, rendendo invece necessario l’incidente di costituzionalità”.
L’eccepita erronea individuazione del parametro interposto rispetto all’art. 117, primo comma, Cost. è stata disattesa dalla sentenza n. 240.
Le carenze motivazionali possono investire sia la rilevanza che la non manifesta infondatezza della questione (sentenze nn. 27 e 194).
La sentenza n. 27 ha sanzionato come inammissibile una questione relativa a una disposizione “colpita dalle censure di illegittimità nel solo dispositivo delle ordinanze di rimessione”. Infatti, nella motivazione “è stata omessa qualsiasi considerazione del contenuto precettivo della disposizione in esame. Nessun accenno si rinviene circa la rilevanza della disciplina (…) rispetto ai giudizi a quibus, né circa le ipotetiche ragioni di contrasto con i parametri costituzionali invocati”.
Un’eccezione di inammissibilità per difetto di motivazione dell’atto di promovimento è stata rigettata dalla sentenza n. 166 secondo cui il rimettente “espone chiaramente che il requisito di durata della residenza, della cui legittimità si dubita, trova il proprio fondamento legislativo nella disposizione censurata, sicché solo in seguito alla (eventuale) dichiarazione di illegittimità costituzionale di tale disposizione si potrà procedere alla disapplicazione degli atti amministrativi che tali requisiti riproducono. L’ordinanza di rimessione non presenta, dunque, le lamentate carenze di motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza”. La sentenza n. 189 ha disatteso un’eccezione di inammissibilità “basata (…) su un solo asserito, e non esplicato, difetto di autosufficienza e di motivazione delle ordinanze di rimessione”. La