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La riproposizione delle questioni

Il giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale 1. Premessa

5. La riproposizione delle questioni

Talvolta sono state respinte eccezioni di inammissibilità delle questioni per incompleta ricostruzione del quadro normativo (sentenze nn. 40, 67, 212, 213).

La sentenza n. 40 ha chiarito che la legge regionale asseritamente trascurata dal rimettente “non modifica l’ambito applicativo della disposizione censurata, né influisce sulla rilevanza della questione”. Per la sentenza n. 213, la premessa ermeneutica dalla quale muove il dubbio di costituzionalità “non è prima facie implausibile e si fonda su un’approfondita ricognizione delle diverse discipline e, in particolare, della disposizione sospettata di illegittimità costituzionale”.

5. La riproposizione delle questioni

Talune pronunce hanno riguardato questioni che già erano state oggetto di un incidente di costituzionalità promosso nell’ambito del medesimo giudizio principale.

La riproposizione, di per sé, non presenta problemi di ammissibilità poiché non é preclusa a un giudice la possibilità di sollevare la stessa questione di legittimità costituzionale, allorché sia intervenuta una pronuncia della Corte meramente processuale e il rimettente abbia rimosso gli elementi ostativi a una decisione di merito.

L’ordinanza n. 3 ha dichiarato manifestamente infondata una questione che l’ordinanza n. 18 del 2016 aveva ritenuto manifestamente inammissibile “perché prospettata, insieme con un’altra, in modo alternativo”, non avendo il giudice a quo posto le due questioni in un rapporto di subordinazione. La sentenza n. 223 ha accolto questioni costituenti “la sostanziale riproposizione di censure (…) dichiarate inammissibili dalla sentenza n. 68 del 2017” per carenza di motivazione e per erroneità del presupposto interpretativo. Invero, le questioni “si fanno carico dei rilievi contenuti nella sentenza n. 68 del 2017” e le relative ordinanze di rimessione “forniscono – da un lato – una specifica motivazione alla censura relativa all’art. 3 Cost.; e illustrano – dall’altro lato – le ragioni per le quali il complessivo trattamento sanzionatorio sopravvenuto, comprensivo della nuova confisca per equivalente, risulterebbe maggiormente afflittivo rispetto a quello previgente”.

La riproposizione può verificarsi, altresì, nelle ipotesi in cui il rimettente, dopo una pronuncia di restituzione degli atti per ius superveniens, abbia proceduto a una rinnovata valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza del dubbio di costituzionalità.

La sentenza n. 47 ha rigettato questioni in rapporto alle quali l’ordinanza n. 80 del 2015 aveva restituito gli atti in virtù della sopravvenuta sentenza API della Corte di giustizia dell’Unione europea del 4 settembre 2014 e dell’abrogazione delle disposizioni censurate ad opera della legge n. 190 del 2014. I Giudici hanno ritenuto rilevanti le questioni limitatamente al regime transitorio delle tariffe per i trasporti nazionali per conto terzi, puntualizzando che la sentenza europea “concerne solo la determinazione dei costi minimi demandata all’Osservatorio sulle attività di autotrasporto”: “la prima deliberazione dell’Osservatorio è avvenuta il 2 novembre 2011” mentre “le questioni riguardano, per la parte maggiore, contratti stipulati ed eseguiti nel periodo 2010-2011, in vigenza quindi del regime transitorio di cui all’art. 83-bis del d.l. n. 112 del 2008, che rimetteva la determinazione dei costi minimi al Ministero delle infrastrutture e trasporti”. Inoltre, nessuna incidenza ha avuto la legge n. 190 del 2014, che ha abrogato il regime dei corrispettivi minimi, poiché “nel caso di specie vengono in rilievo contratti di trasporto a cui devono comunque applicarsi le disposizioni abrogate”.

In generale, la sentenza n. 222 ha rammentato che “la precedente statuizione di altro collegio giudicante circa l’irrilevanza o la manifesta infondatezza di una questione di legittimità prospettata dalle parti non impedisce a un giudice che intervenga successivamente nel medesimo processo di considerare, all’opposto, rilevante e non manifestamente infondata la medesima questione. Ciò vale (…) anche rispetto al giudice del rinvio, che è certamente vincolato ai principi di diritto formulati nella sentenza di annullamento, ma conserva pur sempre il potere di sottoporre” alla Corte “gli eventuali dubbi di legittimità costituzionale che egli nutra nei confronti delle disposizioni che è tenuto ad applicare nel giudizio di rinvio, in forza delle indicazioni della sentenza di annullamento (…); principio, questo, che non può non valere anche per la sezione della Corte di cassazione che sia chiamata, a sua volta, a scrutinare la legittimità della sentenza pronunciata in sede di rinvio”.

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6. L’oggetto delle questioni di legittimità costituzionale

Lo scrutinio di costituzionalità deve avere per oggetto un atto avente forza di legge. La giurisdizione della Corte, infatti, “è limitata alla cognizione dell’illegittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge e non si estende a norme di natura regolamentare, neppure ai regolamenti di delegificazione (…). Il sindacato di costituzionalità della normativa subprimaria è rimesso alla cognizione del giudice comune: alla giurisdizione di annullamento del giudice amministrativo e al potere di disapplicazione incidentale di ogni altro giudice” (sentenza n. 200).

Nel 2018 119 decisioni hanno interessato fonti legislative statali, 22 pronunce hanno riguardato leggi di Regioni ordinarie (sentenze nn. 2, 14, 52, 110, 113, 150, 151, 160, 177, 188, 196, 209, 217; ordinanze nn.

154, 192, 242) e speciali (sentenze nn. 40, 46, 80, 89, 134; ordinanza n. 30) e 2 decisioni si sono occupate di

leggi delle Province autonome (sentenza n. 9; ordinanza n. 76). Le questioni definite dalla sentenza n. 46 hanno avuto ad oggetto norme statali e regionali.

Eventuali questioni riguardanti atti privi di forza di legge sono votate a una pronuncia processuale di inammissibilità.

Con riferimento ai regolamenti, la costante giurisprudenza della Corte ne esclude la sindacabilità nel giudizio di costituzionalità riservato alle leggi e agli atti aventi forza di legge. Tuttavia, la sussistenza di uno stretto legame tra una norma legislativa e una fonte secondaria su di essa fondata consente l’estensione a quest’ultima del sindacato di legittimità costituzionale. Infatti, “ove la regolamentazione censurata di illegittimità costituzionale sia rappresentata, nella sostanza, dal combinato disposto di una norma primaria e di una subprimaria e se la prima risulta in concreto applicabile attraverso le specificazioni formulate nella fonte secondaria, è possibile il sindacato di costituzionalità sulla norma primaria tenendo conto che quella subprimaria ne costituisce un completamento del contenuto prescrittivo”. Così la sentenza n. 200 che ha ritenuto ammissibile una questione avente ad oggetto un precetto risultante dal combinato disposto di una norma avente forza di legge e di una norma regolamentare che riempie di contenuto la prima che, a sua volta, “attrae al livello primario” la seconda. La sentenza n. 224 ha altresì ribadito che “laddove venga sollevata una questione di legittimità costituzionale riguardante una disciplina risultante dal raccordo tra la disposizione di legge e una fonte regolamentare – e le specificazioni espresse dalla normativa secondaria siano strettamente collegate al contenuto della prima – la questione non è inammissibile, potendo riguardare la fonte primaria così come integrata dalla disposizione regolamentare”.

La sentenza n. 180 ha rigettato un’eccezione erariale di inammissibilità di censure “testualmente indirizzate nei confronti di una norma primaria” ma asseritamente riguardanti in realtà la disciplina posta da una disposizione di rango subprimario. Invero, il “tenore testuale ed il contenuto sostanziale delle ordinanze di rimessione” hanno smentito simile ricostruzione poiché il rimettente “ha censurato la norma primaria (…) nella parte in cui consente alla norma subprimaria (…) di regolare l’esercizio del diritto del difensore di astenersi dall’udienza, in ipotesi di processo penale con imputato in custodia cautelare, in adesione all’astensione collettiva proclamata dall’associazione di categoria, individuando le prestazioni indispensabili in termini tali che la regolamentazione così posta interferisce con la disciplina della libertà personale ed entra in conflitto con numerosi parametri costituzionali. La censura, pertanto, è diretta proprio alla norma primaria che non avrebbe dovuto consentire ciò che poi la norma subprimaria ha regolamentato”.

La sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale di una disposizione impugnata comporta il venir meno dell’oggetto della questione e, quindi, la relativa (manifesta) inammissibilità (sentenza n. 222; ordinanza n. 190).

La sentenza n. 222 ha precisato che l’accoglimento della prima questione ha reso inammissibile, “per sopravvenuta carenza di oggetto”, la seconda questione relativa ad altra disposizione il cui contenuto, prevedendo un rinvio mobile alla norma incisa dalla pronuncia, “è destinato a essere automaticamente modificato” in conseguenza di essa.

L’abrogazione o la modifica della disposizione sospettata di illegittimità e il mutamento del quadro normativo di riferimento determinano, di regola, se successivi alla proposizione dell’incidente di costituzionalità, una pronuncia di restituzione degli atti al giudice a quo cui compete la rinnovata valutazione circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione (sentenze nn. 43, 125, 126; ordinanze nn. 25, 154, 156). In termini generali, la sentenza n. 125 ha puntualizzato che “non ogni nuova disposizione che modifichi, integri o comunque possa incidere su quella oggetto del giudizio incidentale di

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costituzionalità richiede una nuova valutazione della perdurante sussistenza dei presupposti di ammissibilità della questione e segnatamente della sua rilevanza e della non manifesta infondatezza”. Infatti, la Corte può ritenere che “la nuova disposizione non alteri affatto la norma censurata quanto alla parte oggetto delle censure di legittimità costituzionale, oppure che la modifichi in aspetti marginali o in misura non significativa, sì che permangono le valutazioni del giudice rimettente in termini di rilevanza e non manifesta infondatezza”. In simili casi, in cui “la novella presenta un’incidenza solo parziale sulla disposizione della cui costituzionalità si dubita” e “si è quindi ritenuto che essa non è comunque idonea a mutare i termini della questione così come è stata posta dal giudice a quo”, è stata esclusa la necessità di restituire gli atti al rimettente. “Ove invece la nuova disposizione abbia un impatto maggiore in termini di incidenza sulla portata normativa della disposizione censurata, sì da integrarla, modificarla o finanche abrogarla, in tutto o in parte, si impone la restituzione degli atti al giudice rimettente perché rivaluti i presupposti dell’incidente di costituzionalità. Se poi in particolare la nuova disposizione non vale a revocare in dubbio la rilevanza della questione, ritenuta dal giudice rimettente, nel senso che essa comunque permane, (…) la possibile incidenza dello ius superveniens va valutata essenzialmente con riferimento all’altro presupposto del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, la non manifesta infondatezza della questione. (…) A tal fine rileva in generale – affinché si possa procedere, nell’immediato, al controllo di costituzionalità piuttosto che restituire gli atti al giudice rimettente – non solo il contenuto della nuova disposizione, ove in ipotesi modellato sul principio tempus regit actum, ma anche il verso della sua incidenza. Ossia persiste, sotto questo profilo, la condizione di ammissibilità del giudizio incidentale non solo ove la nuova disposizione non escluda l’applicazione, ratione temporis, della disposizione censurata (…) ma anche ove la prima incida su quest’ultima nel senso di aggravarne i denunciati vizi di legittimità costituzionale (…). In questa evenienza – ove la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, quale ritenuta dal giudice rimettente, permanga nel suo nucleo essenziale – può essere” la Corte a “valutare il novum normativo per verificare la persistente sussistenza di tale condizione di ammissibilità del giudizio incidentale. Quando invece, nei giudizi in via incidentale, l’intervento del legislatore è orientato nella stessa direzione dell’ordinanza di rimessione, con l’effetto di ridimensionare o finanche emendare i vizi di legittimità costituzionale denunciati dal giudice rimettente, deve di norma essere investito il giudice rimettente perché rivaluti il presupposto dell’incidente di costituzionalità, costituito dalla non manifesta infondatezza della questione”. Parimenti, la Corte “ha ritenuto di dover restituire gli atti al giudice rimettente − con sentenza piuttosto che con ordinanza − in un caso in cui sulla non manifesta infondatezza della sollevata censura di costituzionalità incideva una sopravvenuta pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, orientata nel senso di ridimensionare un vincolo derivante dalla normativa convenzionale sovranazionale, allegato dall’ordinanza di rimessione a fondamento delle censure”.

Sovente le sopravvenienze normative non sono state ritenute influenti sulla definizione del giudizio di costituzionalità (sentenze nn. 9, 33, 39, 43, 52, 104, 113, 177, 188, 194, 209, 218, 222, 231, 236, 239; ordinanza n. 76). La sentenza n. 194 ha precisato che la Corte può “autonomamente valutare in che misura lo ius superveniens incida sul (…) giudizio incidentale e se si spinga fino a modificare la norma censurata quanto alla parte oggetto” delle doglianze.

La sentenza n. 9 ha esaminato prioritariamente “i profili di inammissibilità attinenti ai termini delle questioni”, prima di “considerare l’eventuale incidenza dello ius superveniens”. La sentenza n. 33 – pur sottolineando come, “successivamente all’ordinanza di rimessione, la norma censurata sia stata oggetto di ben cinque interventi novellistici” – ha ritenuto le sopravvenienze normative ininfluenti o comunque non tali da giustificare la restituzione degli atti al rimettente per una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione. In particolare, talune innovazioni si sono mosse “in direzione antitetica rispetto all’intervento auspicato dall’ordinanza di rimessione”. La sentenza n. 39 – dopo aver rammentato che la norma censurata è stata prima trasfusa nel Codice dell’ordinamento militare e poi abrogata dal d.l. n. 78 del 2010 – ha precisato che le modifiche “non mutano (…) i termini della questione (…) che il rimettente ha sollevato con riguardo alla disposizione originaria, applicabile ratione temporis alla fattispecie controversa”. La sentenza n. 43 non ha accolto una richiesta erariale di restituzione degli atti, osservando che “l’art. 11 del d.lgs. n. 158 del 2015 non costituisce ius superveniens in quanto è anteriore all’ordinanza di rimessione del 30 giugno 2016 e che, in ogni caso, “la descrizione dei fatti esposta dal rimettente consente di escludere la sussistenza della causa di non punibilità” introdotta dalla citata disposizione. Per l’ordinanza n. 76, “lo ius superveniens non può venire in rilievo con riguardo a questioni sollevate nell’ambito di giudizi di impugnazione di atti amministrativi, giacché, per il principio tempus regit

59 situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione”. Pertanto, sono stati ritenuti insussistenti “i presupposti per la restituzione degli atti al giudice a quo ai fini di un nuovo esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione, risultando palese l’ininfluenza dello ius novum nel giudizio principale”. Secondo la sentenza n. 104, la normativa sopravvenuta “non muta i termini della questione”, sicché, non è necessario, “alla luce di una sopravvenienza che non dispiega alcun effetto sul giudizio principale, restituire gli atti al rimettente perché rinnovi la valutazione in punto di rilevanza e di non manifesta infondatezza”. Nel disattendere una richiesta regionale di restituzione degli atti, la sentenza n. 177 ha osservato che la disposizione sopravvenuta “non è successiva all’ordinanza di rimessione, in quanto contenuta in una legge pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Campania del 31 marzo 2017, n. 28, ed entrata in vigore il giorno stesso del deposito dell’ordinanza di rimessione (il 1° aprile 2017)”. La sentenza n. 188 ha rigettato un’eccezione di inammissibilità sostenendo che lo ius superveniens, sostitutivo della disposizione censurata, “si applica ai contributi consortili dovuti per annualità successive alla entrata in vigore della nuova legge, che pertanto non regola la fattispecie oggetto del giudizio a quo, relativa a contributi consortili dovuti per l’anno 2010. Per la stessa ragione, non occorre restituire gli atti al giudice rimettente per una nuova valutazione della rilevanza delle questioni di costituzionalità, trattandosi, in tutta evidenza, di disposizione che, in quanto innovativa ex nunc, egli non deve applicare (…) e non già di disposizione modificativa ex tunc della norma applicabile; ciò che invece avrebbe richiesto di valutare se permanessero, o no, le condizioni di ammissibilità della questione”. La sentenza n. 194 ha escluso la necessità di restituire gli atti al rimettente per una rinnovata valutazione sulla permanenza o meno dei dubbi di legittimità costituzionale in quanto lo ius superveniens non ha intaccato il contestato meccanismo normativo e non ha mutato i termini essenziali della questione. La sentenza n. 218 ha evidenziato che l’intervenuta modifica di una delle denunciate disposizioni “non ha inciso in maniera sostanziale sulla disciplina” censurata, “essendosi limitata a sostituire un erroneo richiamo normativo. Pertanto, la restituzione degli atti al giudice a quo, per una nuova valutazione sulla rilevanza, sarebbe superflua e in contrasto con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, comportando un inutile allungamento dei tempi dei giudizi a quibus”. La sentenza n. 222 ha sottolineato che la censurata disciplina “è rimasta immutata ed è tuttora in vigore”, non avendo il Governo esercitato in parte qua la delega conferita con la legge n. 103 del 2017. La sentenza n. 231 – pur dando atto che, nelle more del giudizio, è sopravvenuto il d.lgs. n. 122 del 2018 con cui il Governo ha, tra l’altro, riformato le disposizioni oggetto di censura – ha escluso che l’intervenuta modifica imponesse di restituire gli atti ai rimettenti, “essendo essa ininfluente nei giudizi a quibus”. Infatti, le disposizioni del decreto acquistano efficacia decorso un anno dalla data della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Per la sentenza n. 239, “la decisione 2018/994/UE, Euratom non è stata ancora approvata dagli Stati membri e (…) entrerà in vigore solo il primo giorno dopo la ricezione dell’ultima notifica. In secondo luogo, le questioni (…) riguardano la normativa previgente rispetto alla decisione 2018/994/UE, Euratom, con la conseguenza che il loro eventuale accoglimento sarebbe idoneo a produrre l’annullamento parziale dell’atto di proclamazione dei candidati eletti nel 2014 (…). Non rilevando dunque la citata decisione nel giudizio a quo, non vi è (…) motivo di restituire gli atti al rimettente”.

La sentenza n. 115 non ha accolto la richiesta di restituzione degli atti avanzata dal Presidente del Consiglio dei ministri e da una delle parti private costituite, reputando che il controllo sollecitato dalla Corte di giustizia, con sentenza 5 dicembre 2017, in causa C-42/17, M.A.S. e M.B., circa la compatibilità del diritto dell’Unione europea con i principi supremi dell’ordine costituzionale è rimesso alla Corte costituzionale mentre al giudice comune spetta il ruolo, pur essenziale, di porre il dubbio sulla legittimità costituzionale della normativa nazionale che dà ingresso alla norma europea generatrice del preteso contrasto.

Infine, per giurisprudenza consolidata, la denuncia di eventuali inconvenienti di mero fatto non rileva ai fini del controllo di legittimità costituzionale (sentenze nn. 132 e 225).

Peraltro, la sentenza n. 132 ha chiarito che il meccanismo denunziato come distorsivo dal rimettente “non può (…) considerarsi un mero inconveniente di fatto, in quanto tale non censurabile con una questione di legittimità costituzionale, perché deriva dalla stessa struttura normativa del giudizio amministrativo impugnatorio”.