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L’oggetto delle questioni di legittimità costituzionale

Il giudizio di legittimità costituzionale in via principale 1. Premessa

3. L’oggetto delle questioni di legittimità costituzionale

Il giudizio in via principale ha ad oggetto atti legislativi dello Stato, delle Regioni e delle Province autonome.

26 decisioni hanno avuto ad oggetto fonti legislative statali (sentenze nn. 5, 17, 29, 44, 56, 61, 71, 73, 74, 75, 78, 79, 84, 87, 94, 101, 103, 128, 137, 139, 171, 185, 198; ordinanze nn. 97, 108, 162); 44 pronunce

hanno riguardato leggi di Regioni ordinarie (sentenze nn. 1, 49, 66, 68, 69, 70, 81, 82, 83, 98, 106, 107, 117,

118, 121, 127, 138, 140, 147, 148, 176, 183, 199, 206, 208, 219, 221, 228, 235, 238, 245, 246, 247, 249;

ordinanze nn. 50, 51, 60, 95, 130, 144, 203, 205, 230, 244); 16 decisioni hanno interessato leggi di Regioni speciali (sentenze nn. 21, 38, 109, 152, 159, 168, 172, 178, 210, 215, 241; ordinanze nn. 55, 100, 129, 155,

179); 5 pronunce hanno investito leggi delle Province autonome (sentenze nn. 122, 124, 201; ordinanze nn. 26 e 187).

Può avvenire che, nelle more del giudizio in via principale, le disposizioni censurate siano modificate o abrogate, nel qual caso si pone il problema dell’ammissibilità o meno del trasferimento della questione sulla norma che ha sostituito quella impugnata, ancorché nei confronti della stessa non sia stato proposto ricorso. Rinviando infra, par. 5, per i profili concernenti la permanenza o meno dell’interesse alla pronuncia, giova ricordare che le sentenze nn. 61, 68, 75, 78, 103, 137, 171, 185, 238 hanno escluso che l’intervenuta modifica di alcune delle norme originariamente impugnate avesse un’influenza sulle questioni sollevate. In generale, la sentenza n. 44 ha rammentato l’evoluzione giurisprudenziale che, a partire dalla sentenza n. 84 del 1996, è giunta ad affermare “la possibilità del trasferimento della questione di legittimità costituzionale sulla nuova disposizione. La Corte, muovendo dalla distinzione tra disposizione e norma, ha puntualizzato che oggetto della questione di costituzionalità è la norma (ossia il precetto o regula iuris) veicolata dalla disposizione (ossia la legge o l’atto avente forza di legge ex art. 134 Cost.) nella misura in cui quest’ultima, a seguito di interpretazione, esprime tale norma. Se muta la disposizione (per ius superveniens), ma la norma rimane invariata nel suo contenuto (e, con essa, le censure che la investono), la Corte opera il sindacato di costituzionalità sulla medesima norma e riferisce l’esito di tale scrutinio alla nuova disposizione, sulla quale la questione risulta quindi trasferita. Questo principio, enunciato per la prima volta in un giudizio incidentale di legittimità costituzionale, è stato poi ripetutamente ribadito (…) anche ‒ e soprattutto ‒ in giudizi in via principale”. In linea di continuità con questo indirizzo, il trasferimento della questione “è stato ritenuto possibile anche quando la nuova disposizione non sia perfettamente identica a quella originariamente censurata, ma presenti differenze minime e comunque marginali; ciò in ragione di un concorrente principio di effettività della tutela costituzionale delle parti nei giudizi in via d’azione (…). In tale evenienza il trasferimento della questione di costituzionalità in realtà comporta altresì una sua qualche estensione, nel senso che il suo oggetto finisce per abbracciare la disposizione anche come successivamente modificata, senza per questo sconfinare nell’area del sindacato in via consequenziale che presuppone invece una disposizione (e una norma) diverse”. In caso di ius superveniens, “la questione di legittimità deve essere trasferita quando la disposizione impugnata sia stata modificata marginalmente, senza che ne sia conseguita l’alterazione della sua portata precettiva (…). Il trasferimento deve invece escludersi se, a seguito della modifica, la disposizione risulti dotata di un contenuto radicalmente innovativo rispetto alla norma originaria (…); nel qual caso la nuova disposizione va impugnata con autonomo ricorso, senza che sia possibile il trasferimento che altrimenti supplirebbe impropriamente all’onere di impugnazione”. Quindi, “dal carattere dispositivo del giudizio di costituzionalità in via principale e dall’inderogabilità del termine

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per proporre la relativa impugnativa, discende che solo una modifica del tutto marginale comporta che la questione rimanga sostanzialmente negli stessi termini e permanga, senza che vi sia lesione del contraddittorio, l’interesse alla decisione della parte ricorrente anche in mancanza di impugnazione della disposizione sopravvenuta” (analogamente la sentenza n. 171).

La sentenza n. 68 ha sottolineato che la modifica apportata a una delle norme censurate dalla sopravvenuta legislazione regionale “non ha inciso sulla portata prescrittiva, né sul tenore letterale della disposizione medesima, limitandosi al mero mutamento del segno di punteggiatura finale della stessa”: ciò ha indotto il Collegio a estendere il proprio scrutinio anche al testo attualmente vigente della norma. Per la sentenza n. 75, la sopravvenuta ulteriore modifica della norma già incisa da quella specificamente impugnata dalle ricorrenti “non presenta (…) carattere marginale, e determina, invece, sul piano temporale, una diversa portata precettiva della disposizione”, da impugnarsi autonomamente poiché “il trasferimento della questione sullo ius superveniens supplirebbe impropriamente all’onere di impugnazione”. La sentenza n. 137 ha rigettato una richiesta regionale di trasferimento della questione poiché il nuovo testo dell’articolo censurato, “essendo stato modificato in modo sostanziale e non satisfattivo, avrebbe dovuto essere, se del caso, autonomamente impugnato”. La sentenza n. 171 ha precisato che “l’intesa, debole o forte che sia, costituisce comunque un atto radicalmente diverso dal parere. Nel primo caso, infatti, la Conferenza Stato-Regioni partecipa alla definizione del contenuto dell’atto; nel secondo caso, invece, svolge un mero ruolo consultivo in relazione ad un contenuto predeterminato da un altro soggetto”. Da ciò si è desunta l’insussistenza dei presupposti per il trasferimento della questione sulla disposizione sopravvenuta e lo scrutinio è stato effettuato sull’originario testo censurato. La sentenza n. 185 ha affermato l’irrilevanza dello ius superveniens ai fini dello scrutinio delle disposizioni impugnate poiché consiste in “modifiche marginali e prive di carattere satisfattivo, tra l’altro limitate a profili d’interesse di una sola delle ricorrenti, che non mutano i termini delle questioni, le quali, pertanto, possono trasferirsi sul testo (…) oggi in vigore”. Secondo la sentenza n. 238, “la disposizione sopravvenuta presenta una portata precettiva paragonabile alla prima sotto il profilo della potenziale lesività dei principi costituzionali invocati dal ricorrente (…). Sicché il vizio lamentato con riguardo alla prima deve essere valutato anche in riferimento alla seconda legge regionale”.

La sentenza n. 201 ha rigettato un’eccezione provinciale di improcedibilità del ricorso statale sostenendo che la sopravvenuta approvazione del testo unico in materia di foreste e filiere forestali “non muta (…) i termini della questione sollevata, né è in grado di incidere sulla permanenza dell’interesse all’impugnazione”.

4. Il parametro del giudizio

Lo spettro dei parametri invocabili nel giudizio in via principale varia in funzione dell’identità dell’ente ricorrente e dello specifico interesse all’impugnazione da esso vantato (sul punto si rinvia all’esposizione svolta infra, par. 5).

In numerosi casi le questioni di costituzionalità sono state prospettate in riferimento (anche) agli statuti delle Regioni ad autonomia speciale, per asserita lesione delle competenze fissate nelle suddette fonti o nelle relative disposizioni di attuazione (sentenze nn. 17, 71, 79, 94, 101, 103, 198) ovvero per presunta eccedenza da tali competenze (sentenze nn. 21, 38, 122, 124, 152, 159, 168, 172, 178, 210, 215, 241; ordinanze nn. 26, 129, 155, 179). La sentenza n. 21 ha precisato che lo statuto speciale sardo, “in quanto legge costituzionale, svolge a pieno titolo la funzione di parametro di legittimità costituzionale nei confronti di tutta la legislazione ordinaria, statale e regionale”. Nella sentenza n. 101, i Giudici hanno esaminato le questioni “secondo un ordine che conduce a dare la precedenza a quelle che investono parametri della Costituzione piuttosto che dei singoli statuti speciali, dal momento che riguardano omogenei ambiti di riferimento, così da meritare un contestuale scrutinio”. In particolare, la questione promossa in riferimento all’art. 136 Cost. “deve essere anteposta, rispetto alle altre, in quanto riveste carattere di priorità logica, proprio perché attiene all’esercizio stesso del potere legislativo, che sarebbe inibito dal precetto costituzionale di cui si assume la violazione”.

La sentenza n. 148 ha ritenuto di esaminare prioritariamente “l’eccepita violazione del riparto delle competenze legislative tra Stato e Regione, in quanto pregiudiziale sotto il profilo logico-giuridico” rispetto alle censure che “investono il contenuto della scelta operata con la norma regionale, riferite a parametri non compresi nel Titolo V della Parte II della Costituzione” (analogamente la sentenza n. 183).

81 La sentenza n. 68 ha osservato che il limite, “mobile e variabile”, alla potestà legislativa regionale costituito dai principi fondamentali dettati dal legislatore statale nelle materie di competenza concorrente “è incessantemente modulabile (…) sulla base di scelte discrezionali, ove espressive delle esigenze unitarie sottese alle varie materie, cui le Regioni devono adeguarsi”.

La sentenza n. 1 ha escluso che le modifiche subite dalla norma statale evocata quale parametro interposto, anche antecedentemente alla presentazione del ricorso, incidessero sui termini della questione. La sentenza n. 68, nell’accogliere una questione sollevata con ricorso statale, ha rilevato che, dopo la proposizione dell’impugnazione, le disposizioni indicate come parametro interposto sono state abrogate ma il regime da esse delineato è stato contestualmente confermato dall’atto legislativo abrogante. La decisione ha rigettato altra questione poiché la norma impugnata risulta “conforme al principio fondamentale espresso dal parametro interposto”, per come rimodulato dal legislatore statale dopo la proposizione del ricorso.

La violazione del principio di leale collaborazione è stata dedotta nei giudizi definiti con le sentenze nn.

17, 44, 56, 61, 74, 78, 79, 87, 94, 101, 103, 117, 128, 137, 139, 171, 185, 198 e con le ordinanze nn. 97 e 108.

Infine, è stata frequentemente denunciata la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. che prescrive al legislatore statale e regionale il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (sentenze nn. 68, 70, 83, 103, 106, 107, 109, 172, 176, 198, 219, 221; ordinanza n. 205).

5. L’interesse a ricorrere

Numerose decisioni, nel trattare la tematica dell’interesse a ricorrere, si sono occupate in particolare dei profili relativi (a) ai parametri invocabili dagli enti ricorrenti, (b) all’effettiva sussistenza di un interesse alla decisione, (c) alle vicende incidenti sul persistere dell’interesse.

a) Lo spettro dei parametri deducibili nel giudizio in via principale si può presentare più o meno ampio in funzione della circostanza che il ricorrente sia lo Stato ovvero una Regione o una Provincia autonoma.

Quando il giudizio è radicato a seguito di un ricorso statale, le questioni di legittimità costituzionale non devono essere necessariamente costruite come conflitti competenziali, ben potendo riguardare la violazione di parametri costituzionali diversi da quelli che regolano i rapporti tra Stato e Regioni.

La Corte è stata così frequentemente sollecitata dallo Stato a giudicare di asserite lesioni di parametri riconducibili al Titolo V della Parte II della Costituzione unitamente a quelle di altri parametri (sentenze nn.

38, 49, 66, 68, 81, 107, 117, 127, 147, 148, 152, 159, 168, 172, 199, 235, 238, 241, 247, 249; ordinanze nn. 26, 55, 100, 155, 179, 187, 203) o addirittura esclusivamente della violazione di norme costituzionali

estranee al riparto di competenze (sentenze nn. 138 e 210).

I precedenti rilievi non valgono allorché sia una Regione o una Provincia autonoma a proporre ricorso. Al riguardo, è stata ribadita la giurisprudenza costante secondo cui le Regioni possono evocare parametri estranei al Titolo V della Parte II della Costituzione “quando le violazioni così denunciate siano potenzialmente idonee a ripercuotersi sulle loro attribuzioni costituzionali, sempre che motivino sufficientemente sul punto, indicando sia la specifica competenza asseritamente offesa, sia le ragioni della lesione” (sentenza n. 5). Le sentenze nn. 79 e 198 hanno confermato che “le Regioni possono evocare parametri di legittimità costituzionale diversi da quelli che sovrintendono al riparto di competenze fra Stato e Regioni, solo a due condizioni: quando la violazione denunciata sia potenzialmente idonea a riverberarsi sulle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite (…) e quando le Regioni ricorrenti abbiano sufficientemente motivato in ordine alla ridondanza della lamentata illegittimità costituzionale sul riparto di competenze, indicando la specifica competenza che risulterebbe offesa e argomentando adeguatamente in proposito” (nei medesimi termini le sentenze nn. 29 e 137). È possibile “motivare la ridondanza di questioni sollevate su parametri costituzionali che non riguardano la ripartizione di competenze tra Stato e Regioni anche tramite l’indicazione dell’art. 119 Cost.”. Tuttavia, in tali casi, la ricorrente deve argomentare in concreto “in relazione all’entità della compressione finanziaria lamentata e alla sua concreta incidenza sull’attività di competenza regionale”. “È invece escluso che parametri estranei al riparto delle attribuzioni costituzionali possano essere invocati allorché una Regione pretenda di agire a tutela della popolazione di cui la stessa è espressione in ordine a materie e valori costituzionalmente garantiti” (sentenza n. 5).

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Un esito di inammissibilità, per riscontrato difetto di ridondanza (sentenza n. 128) o per carente motivazione sul punto (sentenze nn. 79 e 198), è stato talvolta riservato a questioni sollevate dalle Regioni in relazione a parametri diversi da quelli attributivi di competenze costituzionalmente garantite.

Per la sentenza n. 79, la ricorrente “si è limitata ad affermare che l’inefficienza del sistema di controllo statale sulle Regioni assoggettate a piano di rientro, oltre a violare gli artt. 3, 97 e 120 Cost., determinerebbe effetti negativi sulle finanze di tutte le altre Regioni, compreso il Veneto che è da considerare Regione virtuosa, condizionando così la qualità dell’esercizio delle relative funzioni amministrative. (…) i lamentati effetti negativi sulle finanze della ricorrente sono generici e congetturali e, conseguentemente, del tutto astratta e immotivata è la pretesa lesione dell’esercizio delle funzioni amministrative regionali”. La sentenza n. 128 ha escluso, in relazione a una censura regionale di violazione dell’art. 3 Cost., che vi sia “alcuna diretta ridondanza sulle competenze legislative, regolamentari o amministrative della Regione”. La sentenza n. 198 ha sottolineato che le questioni sono prive “di qualsiasi riferimento alla specifica competenza legislativa che si assume violata”, risultando impossibile “individuare la potenziale lesione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite”.

In altri casi la Corte ha respinto eccezioni di inammissibilità di censure regionali per difetto di ridondanza o di adeguata motivazione (sentenze nn. 5, 73, 75, 137, 198).

Secondo la sentenza n. 5, la Regione “ha indicato le proprie attribuzioni che sarebbero incise, con l’immediatezza tipica delle misure dettate in via d’urgenza, dalle norme in questione”; “ha altresì descritto il proprio attuale sistema di promozione vaccinale, segnalando le frizioni che si verrebbero a creare implementando il diverso modello ora adottato dal legislatore nazionale”; e “ha rappresentato i condizionamenti che l’autonomia legislativa e amministrativa regionale subirebbe a causa delle scelte imposte dalle nuove norme statali”. “Attiene, poi, al merito delle questioni stabilire se (…) le norme contestate rappresentino o meno un legittimo esercizio delle prerogative dello Stato e se, dunque, la compressione dell’autonomia regionale debba ritenersi fisiologica”. La sentenza n. 73 ha riconosciuto alla Regione di aver motivato “in modo esauriente la pretesa ridondanza della violazione dell’art. 3 Cost. sull’autonomia finanziaria regionale, garantita dallo statuto speciale e dalle norme di attuazione”. La sentenza n. 137 ha sostenuto che la ricorrente “dà (…) conto della ridondanza sulle sue attribuzioni della lamentata violazione dei parametri non riguardanti la competenza regionale, con l’indicazione delle attribuzioni costituzionali (…) che ne sarebbero potenzialmente lese”. In riferimento ad altra questione, la pronuncia ha affermato che la ricorrente offre “una adeguata motivazione facendo riferimento alla supposta incidenza della violazione dell’art. 77 Cost. sulla propria potestà legislativa residuale in materia di trasporto pubblico locale”.

La sentenza n. 17 ha ritenuto ammissibile l’evocazione di parametri estranei a quelli afferenti alla competenza regionale in virtù della “connessione tra la disciplina del regime agevolativo del tributo e l’effetto che essa produce sulle relazioni finanziarie tra Stato e Comuni, la lesione delle cui prerogative costituzionali la Regione è legittimata a denunciare”. La sentenza n. 29 ha considerato ammissibile la questione proposta in riferimento all’art. 3 Cost. poiché “adeguatamente correlata ai parametri di cui all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., in relazione all’art. 119 Cost.”. La sentenza n. 101 si è pronunciata per l’ammissibilità di questioni sollevate in riferimento agli artt. 81 e 97 Cost. in quanto “è correttamente prospettata la ridondanza della pretesa violazione” sull’autonomia delle ricorrenti. A giudizio della sentenza n. 103, tutte le ricorrenti “hanno sufficientemente motivato sulla ridondanza delle asserite violazioni di parametri estranei al Titolo V della Parte II della Costituzione sul riparto di attribuzioni”. La sentenza n. 198 ha precisato che le ricorrenti “hanno chiaramente ed esaustivamente indicato le competenze regionali o provinciali asseritamente incise dall’atto impugnato, con ciò assolvendo l’onere di motivare circa la ridondanza del vizio di eccesso di delega sulle loro attribuzioni costituzionalmente garantite”. In ordine ad altre questioni, la decisione ha riconosciuto alle ricorrenti di avere adeguatamente motivato “in ordine alla ridondanza del vizio di eccesso di delega sulle loro competenze, emergendo indiscutibilmente, dai loro ricorsi, quali tra queste sarebbero illegittimamente incise”; “in relazione alla ridondanza del vizio di irragionevolezza e dell’asserita lesione del principio del buon andamento”; e “in punto di ridondanza, su loro attribuzioni, della violazione di parametri non attinenti al riparto delle competenze”.

b) Costituisce condizione per ottenere una pronuncia di merito della Corte la sussistenza di un interesse attuale all’impugnazione. La sentenza n. 159, nel motivare il perdurante interesse del ricorrente alla pronuncia, ha precisato che “il sindacato di costituzionalità deve trovare spazio ogniqualvolta la norma

83 impugnata, seppure ad efficacia temporale limitata (…), abbia prodotto effetti”.

Sono, pertanto, votate a una pronuncia di inammissibilità questioni affette da carenza sopravvenuta di interesse (sentenze nn. 44 e 139).

La sentenza n. 44 ha riscontrato la sopravvenuta carenza di interesse della Regione ricorrente alla decisione di questioni aventi ad oggetto disposizioni abrogate e insuscettibili di trasferimento sulla nuova disciplina. In particolare, le disposizioni sopravvenute, non satisfattive per la ricorrente, “presentano un contenuto radicalmente innovativo, rispetto a quello della disposizione censurata con il ricorso introduttivo del giudizio di costituzionalità, e nient’affatto di carattere marginale sia perché ben diversa è la loro portata precettiva rispetto alla disposizione censurata, sia perché non più conferenti sono le ragioni di illegittimità costituzionale argomentate dalla ricorrente nel dedurre la lesione delle competenze regionali. (…) Pertanto (…) la norma ha assunto un nuovo e diverso contenuto, la cui lesività avrebbe potuto essere denunciata dalla Regione solo adempiendo all’onere di tempestiva impugnazione. (…) non avendo la norma mai avuto applicazione, né mai potendo averne a partire dal momento in cui la disposizione che la conteneva è stata sostituita dal più volte richiamato ius superveniens (…) e quindi è stata abrogata (…), consegue la sopravvenuta carenza di interesse della Regione ricorrente, che non può più ottenere il coinvolgimento della Conferenza unificata nell’emanazione dell’atto amministrativo originariamente deputato ad operare il riparto del contributo, perché tale atto non c’è stato e più non potrà esserci”. La sentenza n. 139 ha ravvisato la sopravvenuta carenza di interesse della Regione a coltivare il ricorso poiché la “mancata adozione del decreto legislativo entro il termine fissato nella legge delega impedisce che la norma censurata trovi applicazione”.

In alcuni casi sono state rigettate eccezioni di inammissibilità per difetto di interesse all’impugnazione (sentenza n. 178), per difetto di carattere lesivo delle disposizioni denunciate (sentenze nn. 81, 83, 137), per mancata indicazione dell’interesse tutelato con il promovimento della questione (sentenza n. 21), per il carattere ipotetico, astratto o prematuro della questione (sentenza n. 140) e per intervenuta acquiescenza (sentenza n. 171). In termini generali, la sentenza n. 140 ha rammentato che “le qualificazioni di questione ipotetica, questione astratta e questione prematura sono state elaborate e utilizzate (…) esclusivamente con riferimento alle questioni di legittimità costituzionale in via incidentale e non anche in via principale; segnatamente, in relazione al requisito della rilevanza delle questioni incidentali, requisito per cui si richiede che esse abbiano a oggetto disposizioni effettivamente (e non solo eventualmente o solo successivamente) applicabili nel giudizio a quo”. La sentenza n. 171 ha ribadito che “l’istituto dell’acquiescenza non è applicabile nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale”. Secondo la sentenza n. 178, “il giudizio promosso in via principale è giustificato dalla mera pubblicazione di una legge che si ritenga lesiva della ripartizione di competenze, a prescindere dagli effetti che essa abbia prodotto”.

La sentenza n. 21 ha precisato che lo statuto sardo, “in quanto legge costituzionale, svolge a pieno titolo la funzione di parametro di legittimità costituzionale nei confronti di tutta la legislazione ordinaria, statale e regionale, e lo Stato è chiamato a garantirne il rispetto. L’interesse a ricorrere, in altre parole, è in

re ipsa”. La sentenza n. 81 ha sostenuto che la censurata legge regionale si compone “non (…) di

semplici ispirazioni o di enunciati meramente ottativi, ma di precetti a contenuto normativo”; inoltre, “lo strumento di cui ogni Regione dispone per stimolare l’intervento dello Stato negli ambiti di sua competenza non è certo l’approvazione di una legge regionale, ma è piuttosto l’iniziativa legislativa delle leggi statali attribuita a ciascun Consiglio regionale dall’art. 121 Cost. È a tale facoltà che la Regione avrebbe dovuto fare ricorso se l’intendimento effettivamente perseguito fosse stato quello di sollecitare il legislatore statale ad adottare ulteriori atti di sua competenza in materia di tutela delle minoranze”. Per la sentenza n. 83, la norma impugnata “non ha una funzione meramente ricognitiva, né è comunque priva di portata precettiva (…), se non altro perché vincola la Giunta a formulare la propria richiesta alla Conferenza unificata nei termini in essa previsti”. La sentenza n. 137 ha osservato che i ricorsi “sono assistiti da sufficiente motivazione sulla lesività della norma impugnata, essendo in essi adeguatamente prospettata l’incidenza della misura introdotta dal legislatore statale sulle risorse destinate” alle funzioni in materia di trasporto pubblico locale. La sentenza n. 140 ha evidenziato che “nel ricorso è lamentata la violazione dell’art. 117 Cost. non da parte degli atti regolamentari o di indirizzo che i Comuni campani potranno eventualmente approvare in attuazione dell’art. 2, comma 2, legge reg. Campania n. 19 del 2017, ma da parte di questa stessa disposizione”, la quale “appare potenzialmente idonea a recare un