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Le decisioni della Corte

Il giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale 1. Premessa

Le 2 pronunce che hanno investito leggi provinciali hanno entrambe registrato la costituzione in giudizio della Provincia autonoma, quale parte del processo a quo

11. Le decisioni della Corte

Nel 2018 sono state rese 109 sentenze e 33 ordinanze.

La sentenza n. 2 ha definito congiuntamente, previa riunione, un giudizio incidentale di legittimità costituzionale e un giudizio per conflitto di attribuzione tra enti. La sentenza n. 17 ha riunito, ai fini di un’unica decisione, un giudizio di legittimità costituzionale in via principale e plurimi giudizi di legittimità costituzionale in via incidentale.

Fondamentale è la distinzione tra le decisioni processuali (o di rito) e le decisioni sostanziali (o di merito). A tali categorie si aggiunge quella delle decisioni interlocutorie non numerate.

11.1. Le decisioni interlocutorie

Nel 2018 sono state pronunciate 8 ordinanze lette in udienza (nei giudizi definiti con le sentenze nn. 99,

120, 151, 153, 194, 248 e con le ordinanze nn. 156 e 207) concernenti l’ammissibilità o meno di interventi

di terzi (sul punto, si rinvia supra, par. 9). 11.2. Le decisioni processuali

A] Le decisioni che recano un dispositivo di inammissibilità sono state 34 (sentenze nn. 2, 6 – 2

dispositivi –, 9 – 3 dispositivi –, 14, 15, 18, 23, 24, 27, 32, 42, 45, 46, 52, 67, 80, 89, 91, 102 – 2 dispositivi –, 105, 114, 126, 131, 134, 142, 143, 153, 177, 182, 194 – 2 dispositivi –, 212, 216, 222, 224), per un totale

di 39 dispositivi.

Sono state riscontrate le seguenti cause di inammissibilità delle questioni: il difetto di rilevanza (sentenze nn. 6, 9, 24, 32, 131, 142, 177, 194); la carente descrizione dei fatti (sentenze nn. 42, 114, 224); il difetto di motivazione sulla rilevanza (sentenze nn. 18, 102, 114, 194); la carente motivazione sulla non manifesta infondatezza (sentenze nn. 9, 46, 194) o in ordine a specifici parametri (sentenze nn. 15, 67, 89, 126, 134,

182, 212); l’inidoneità di una convenzionale internazionale non ratificata a fungere da parametro interposto

(sentenza n. 194); il difetto di motivazione del quesito (sentenza n. 27); l’erronea individuazione della norma o disciplina denunciata (sentenze nn. 23 e 153), altrimenti nota come aberratio ictus (sentenza n.

216); la formulazione di un petitum incerto (sentenza n. 143), contraddittorio (sentenza n. 143) o incoerente

(sentenza n. 102); la carenza della prospettazione (sentenza n. 143); la genericità (sentenza n. 14) o contraddittorietà (sentenza n. 46) della censura; l’impostazione dubitativa e ancipite del quesito (sentenze nn. 9 e 46); l’incompleta o inadeguata ricostruzione del quadro normativo di riferimento (sentenze nn. 80,

102, 134, 224); la richiesta di una pronuncia additiva a contenuto non costituzionalmente obbligato

(sentenza n. 6) in materia riservata alla discrezionalità del legislatore (sentenza n. 45); la sopravvenuta carenza di oggetto (sentenza n. 222); l’erroneo presupposto interpretativo (sentenze nn. 2 e 105); il difetto di motivazione circa la premessa interpretativa accolta dal giudice a quo (sentenza n. 52); e l’omessa ricerca, da parte del rimettente, di un’interpretazione costituzionalmente conforme (sentenza n. 91).

La sentenza n. 248 ha dichiarato inammissibili, senza darne conto in dispositivo, una censura di disparità di trattamento, rilevando il difetto di motivazione rispetto ai casi evocati come tertia comparationis e l’omessa indicazione delle relative disposizioni, e altre censure riferite a plurimi parametri, per la genericità e la mancanza di autosufficienza dell’atto di promovimento.

B] Le pronunce di manifesta inammissibilità sono state 27 (sentenze nn. 22 – 2 dispositivi –, 160, 231 –

2 dispositivi –, 250; ordinanze nn. 7, 8, 19, 30, 37, 54, 57, 63, 64, 65, 76, 85, 136, 145, 184, 190, 191, 202 – 3 dispositivi –, 204, 214, 220, 234, 242), per un totale di 31 dispositivi.

Talune decisioni hanno replicato il giudizio precedentemente reso nello stesso senso (ovvero nel senso dell’inammissibilità) su questioni identiche o analoghe (ordinanze nn. 145, 191, 234).

Le cause della manifesta inammissibilità sono riconducibili a sei categorie, concernenti (a) l’assenza del nesso di pregiudizialità tra giudizio principale e giudizio in via incidentale, (b) le carenze che affliggono l’ordinanza di rimessione, (c) il cattivo esercizio da parte del giudice a quo dei propri poteri interpretativi, (d) la tipologia di pronuncia richiesta alla Corte, (e) la sopravvenuta carenza di oggetto conseguente alla

69 declaratoria di illegittimità costituzionale della norma denunciata, (f) l’erronea ricostruzione del quadro normativo di riferimento.

a) Varie decisioni hanno riscontrato il difetto del nesso di pregiudizialità tra il giudizio a quo e il giudizio di costituzionalità (sentenze nn. 22 e 231; ordinanze nn. 57, 63, 204, 214, 234). Per maggiori dettagli sul requisito della rilevanza, si rinvia supra, par. 3.

b) La categoria più cospicua è quella delle dichiarazioni di manifesta inammissibilità per vizi dell’ordinanza di rimessione (sentenze nn. 22, 160, 231; ordinanze nn. 7, 8, 19, 37, 54, 64, 65, 85, 145, 184,

191, 202, 204, 242). Per un riepilogo dei vizi che possono inficiare l’atto di promovimento, si rinvia

all’esposizione svolta supra, par. 4.

c) Quanto ai rapporti tra la questione di legittimità costituzionale e i poteri interpretativi del giudice a

quo, l’ordinanza n. 76 ha ravvisato l’“erroneità del presupposto interpretativo cui è collegata” la rilevanza

delle questioni. Riferimenti più dettagliati sono contenuti supra, par. 8.

d) In ordine alla particolare tipologia di pronuncia richiesta dal rimettente, si è ribadito che alla Corte sono preclusi interventi additivi o manipolativi eccentrici rispetto ai principi generali del sistema del diritto penale italiano (ordinanza n. 220), non costituzionalmente obbligati (ordinanza n. 234) o costituenti una novità di sistema (sentenza n. 250). Per approfondimenti sullo specifico punto, si rinvia supra, par. 4.

e) L’intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impugnata ha costituito la motivazione della pronuncia di manifesta inammissibilità adottata, per sopravvenuta carenza di oggetto della questione, con l’ordinanza n. 190 (in proposito si veda supra, par. 6).

f) Le ordinanze nn. 30, 136, 202 hanno censurato l’erronea e incompleta ricostruzione del quadro normativo di riferimento compiuta dal giudice a quo (al riguardo, si veda supra, par. 4).

C] Le decisioni con cui la Corte ha restituito gli atti ai rimettenti sono state 6 (sentenze nn. 43, 125, 126; ordinanze nn. 25, 154, 156).

La restituzione disposta con le sentenze nn. 125 e 126 e con le ordinanze nn. 25, 154, 156 è conseguita alla presa d’atto di interventi legislativi sopravvenuti che hanno abrogato o modificato la specifica disciplina impugnata o, più in generale, mutato il quadro normativo tenuto presente dal giudice a quo.

L’ordinanza n. 25 ha osservato che, successivamente all’atto di promovimento, l’art. 7 del d.lgs. n. 158 del 2015 ha modificato la norma censurata, prevedendo che le ritenute, il cui omesso versamento assume rilievo penale, possano risultare, oltre che dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, anche dalla dichiarazione di sostituto d’imposta (donde il nuovo nomen iuris del reato di “Omesso versamento di ritenute dovute o certificate”) e innalzando la soglia di punibilità dell’illecito dai precedenti 50.000 euro a 150.000 euro per ciascun periodo d’imposta, “un importo più elevato di quello che il giudice a quo ha chiesto (…) di introdurre, con riguardo ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011”. Pertanto, il rimettente è stato sollecitato a compiere “un nuovo esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione sollevata alla luce dello ius superveniens”. La sentenza n. 125 ha restituito gli atti relativi alle questioni aventi ad oggetto la disciplina di riduzione delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e degli altri soggetti operanti nel settore della gestione telematica del gioco, in quanto, dopo le ordinanze di rimessione, il comma 920 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015 ha abrogato, con efficacia ex nunc, il denunciato comma 649 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 e il successivo comma 921 ne ha fornito l’interpretazione autentica relativamente al periodo di perdurante applicazione. Essendo il verso del sopravvenuto intervento “chiaramente orientato nello stesso senso” delle ordinanze di rimessione, la Corte ha invitato il rimettente a valutare “se permangano, o no, ed eventualmente in quali termini, i dubbi di legittimità costituzionale originariamente espressi”. Infatti, in una “situazione così profondamente modificata in melius (…) è mutato (…) anche il presupposto della non manifesta infondatezza delle questioni”. La sentenza n. 126 ha evidenziato che il sopravvenuto art. 13-bis del d.l. n. 91 del 2017 “ha radicalmente modificato il contenuto” del denunciato art. 33, comma 12, del d.l. n. 133 del 2014, eliminando il riferimento al versamento dell’importo ivi previsto mediante strumenti finanziari e superando “quell’aleatorietà del pagamento alla base della questione”. Pertanto, anche in considerazione del fatto che “la disposizione censurata non ha ancora avuto attuazione”, si è decisa la restituzione degli atti al rimettente “per un rinnovato esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione”. L’ordinanza n.

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questioni, con la circostanza che, “in pendenza del giudizio costituzionale”, “lo ius superveniens, da un lato, ha abrogato la censurata norma di interpretazione autentica” e, dall’altro, ha modificato la norma interpretata. Alla luce dell’intervenuto mutamento del quadro normativo, l’ordinanza n. 156 ha richiesto ai giudici a quibus una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione. Infatti, “nelle more del giudizio”, l’art. 9, comma 2, del d.lgs. n. 96 del 2001, “assunto a tertium

comparationis della sollevata questione di legittimità costituzionale” dell’art. 22, comma 2, della legge n.

247 del 2012, è stato sostituito dall’art. 1 della legge n. 167 del 2017.

La sentenza n. 43 ha restituito gli atti relativi alla questione di costituzionalità dell’art. 649 cod. proc. pen., censurato, in riferimento agli artt. 117, primo comma, Cost. e 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, nella parte in cui non prevede l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell’imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della convenzione. Infatti, successivamente all’atto di promovimento, con la sentenza 15 novembre 2016, A e B contro Norvegia, la grande camera della Corte di Strasburgo ha impresso un nuovo sviluppo all’elaborazione della garanzia convenzionale del ne bis in idem, passando dal divieto per gli Stati aderenti di configurare per lo stesso fatto illecito due procedimenti che si concludono indipendentemente l’uno dall’altro alla facoltà di coordinare nel tempo e nell’oggetto tali procedimenti, in modo che essi possano reputarsi come preordinati a un’unica, prevedibile e non sproporzionata risposta punitiva, avuto riguardo all’entità della pena complessiva. Nel nuovo contesto, “entrambi i presupposti intorno ai quali è stata costruita l’odierna questione (…) sono venuti meno”: in particolare, il ne bis in idem convenzionale “cessa di agire quale regola inderogabile” e non ha più carattere esclusivamente processuale. Il mutamento di significato della normativa interposta, “sopravvenuto all’ordinanza di rimessione per effetto di una pronuncia della grande camera della Corte di Strasburgo che esprime il diritto vivente europeo”, ha comportato la restituzione degli atti al giudice a quo, ai fini di una nuova valutazione sulla rilevanza della questione.

D] Una significativa novità nell’ambito delle decisioni processuali è rappresentata dall’ordinanza n. 207 che ha rinviato a nuova udienza pubblica (fissata per il 24 settembre 2019) la trattazione di questioni relative all’incriminazione dell’aiuto al suicidio, involgenti valori di primario rilievo, “il cui compiuto bilanciamento presuppone, in via diretta ed immediata, scelte che anzitutto il legislatore è abilitato a compiere”. La Corte ha reputato doveroso, “in uno spirito di leale e dialettica collaborazione istituzionale”, consentire “al Parlamento ogni opportuna riflessione e iniziativa, così da evitare, per un verso, che (…) una disposizione continui a produrre effetti reputati costituzionalmente non compatibili, ma al tempo stesso scongiurare possibili vuoti di tutela di valori, anch’essi pienamente rilevanti sul piano costituzionale”.

11.3. Le decisioni di rigetto

A] Le decisioni di rigetto che recano un dispositivo di manifesta infondatezza sono state 8 (sentenza n.

225; ordinanze nn. 3, 96, 192, 195, 202, 237, 243), per un totale di 8 dispositivi.

L’erroneità del presupposto interpretativo da cui muoveva il giudice a quo è stata ravvisata dall’ordinanza n. 237.

La formula della manifesta infondatezza è stata impiegata anche in caso di riscontro dell’erronea individuazione del tertium comparationis (ordinanza n. 3), della ragionevolezza (ordinanza n. 96) della scelta o del bilanciamento di interessi effettuato dal legislatore e della palese incongruenza del parametro evocato (sentenza n. 225).

Più frequentemente la pronuncia di manifesta infondatezza è stata dedotta, in assenza di profili o argomenti diversi o ulteriori prospettati dal giudice a quo, da precedenti decisioni di infondatezza di identiche o analoghe questioni (ordinanze nn. 96, 192, 195, 202, 243).

B] Le decisioni di rigetto che recano un dispositivo di non fondatezza sono state 57 (sentenze nn. 4, 6,

13, 14, 15, 16, 17, 20, 22, 24, 27, 32, 33, 34, 35, 39, 47, 53, 62, 67, 72, 77, 86, 89 – 2 dispositivi –, 90, 91 – 3 dispositivi –, 92, 93, 99, 104, 111, 112, 115, 116, 126, 131, 135, 142, 150, 151, 160, 161, 170, 175, 189 – 2 dispositivi –, 194, 197, 200, 212 – 2 dispositivi –, 213, 218, 225, 233, 239, 240, 248, 250), per un totale di 62 dispositivi.

Le sentenze nn. 111, 135, 175, 250 presentano il dispositivo tipico delle decisioni interpretative di rigetto, le quali formalmente dichiarano una questione infondata “nei sensi di cui in motivazione”, facendo

71 così riferimento all’interpretazione corretta della disposizione impugnata fornita in motivazione e idonea a fugare i dubbi di legittimità costituzionale proposti dal rimettente. Non è comunque da escludere che anche sentenze di rigetto formalmente non interpretative presentino una motivazione in cui la Corte interpreta le disposizioni impugnate, chiarendone l’esatta portata e giungendo a esiti analoghi a quelli propri di una decisione interpretativa di rigetto. Nelle sentenze nn. 16, 22, 24, 53, 99, 116, 131, 218, 240 la Corte ha riscontrato l’erroneità del presupposto interpretativo alla base dei dubbi di costituzionalità. La sentenza n. 14 ha imputato al rimettente una “incompleta lettura della disposizione denunciata”.

Nelle sentenze nn. 4, 15, 20, 27, 39, 67, 72, 86, 89, 90, 99, 104, 112, 161, 170, 189, 197, 212, 225, 233,

239 la declaratoria di non fondatezza è derivata dalla constatazione della non irragionevolezza della scelta

legislativa, mentre le sentenze nn. 4, 6, 13, 14, 15, 17, 24, 27, 33, 47, 72, 77, 89, 90, 91, 92, 93, 99, 104, 126,

142, 150, 151, 160, 161, 170, 189, 194, 212, 213, 233, 248 hanno rilevato l’inidoneità della disciplina

censurata a violare i parametri evocati.

La constatazione dell’eterogeneità delle situazioni poste a raffronto dal rimettente per desumerne la violazione del principio di uguaglianza ha determinato o concorso a determinare le declaratorie di non fondatezza di cui alle sentenze nn. 13, 20, 32, 34, 35, 39, 47, 62, 67, 72, 86, 104, 197, 200, 213, 218, 233.

L’inconferenza del parametro evocato ha contribuito al rigetto delle questioni esaminate dalla sentenza n.

91.

La sentenza n. 34 ha altresì rilevato che alla richiesta pronuncia additiva si deve riconoscere “valenza di innovazione sistemica, riservata alla discrezionalità del legislatore”. La sentenza n. 115 ha motivato l’esito di rigetto con l’inapplicabilità nei giudizi a quibus della regola enunciata dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco, ritenuta, anche in esito all’esperimento del rinvio pregiudiziale, in contrasto con il principio supremo dell’ordinamento costituzionale di legalità in materia penale, con particolare riguardo al profilo della determinatezza.

La sentenza n. 120, recante un dispositivo di accoglimento, ha rigettato nella sola parte motiva la questione specificamente riguardante il divieto per i militari di aderire ad altre associazioni sindacali. La sentenza n. 194, prima di pervenire a un esito di parziale accoglimento, ha rigettato in motivazione talune questioni riguardanti la medesima norma investita dal dispositivo ablativo.

11.4. Le decisioni di accoglimento

39 sentenze contengono una o più declaratorie di illegittimità costituzionale (sentenze nn. 10, 11, 12, 22, 27, 40, 41, 58, 77, 88, 110, 113, 114, 120, 123, 132, 141, 149 – 2 dispositivi –, 158, 160, 166, 167, 173, 174, 177, 180, 182, 186, 188, 194, 196 – 2 dispositivi –, 209, 211, 217, 222, 223, 231, 232, 236 – 2 dispositivi –), per un totale di 42 dispositivi.

A] In 12 occasioni si è registrata una dichiarazione di illegittimità costituzionale di intere disposizioni legislative (sentenze nn. 12, 40, 58, 110, 113, 160, 166, 167, 177, 196 – 2 dispositivi –, 209, 217), per un totale di 13 dispositivi.

Uno dei capi di dispositivo della sentenza n. 196 e la sentenza n. 217 hanno altresì dichiarato l’illegittimità di un comma limitatamente alle parole ivi indicate.

B] Le decisioni che contengono un dispositivo di natura additiva sono state 13 (sentenze nn. 11, 77, 88,

114, 123, 141, 158, 173, 174, 211, 231, 232, 236) per un totale di 13 dispositivi. Esse aggiungono alla

disposizione legislativa significati normativi, dichiarandola incostituzionale “nella parte in cui non prevede” un determinato contenuto (sentenze nn. 11, 77, 88, 114, 141), “nella parte in cui non riconosce” un diritto (sentenza n. 123), “nella parte in cui non consente” l’accesso a un beneficio (sentenza n. 174), “nella parte in cui non esclude” dal computo dei giorni indicato dalla legge il periodo di godimento di un determinato beneficio (sentenza n. 158), “nella parte in cui non limita” la punibilità a talune condotte (sentenza n. 211), “nella parte in cui non include” (sentenza n. 232) un soggetto tra i destinatari di un certo istituto e “nella parte in cui non esclude” (sentenza n. 236) un delitto dal novero di quelli di competenza di un particolare giudice. Le sentenze nn. 173 e 231 hanno giudicato incostituzionali disposizioni “nella parte in cui non prevedono” un determinato contenuto.

C] Le decisioni che contengono dispositivi di tipo ablatorio (o di accoglimento parziale) sono state 11 (sentenze nn. 10, 27, 132, 149, 180, 182, 186, 194, 196, 217, 223), per un totale di 11 dispositivi. Esse

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erodono parzialmente la portata normativa della disposizione impugnata, che viene dichiarata incostituzionale “nella parte in cui ha disposto” (sentenza n. 10), “nella parte in cui stabilisce” (sentenza n.

223) un certo contenuto, “nella parte in cui ha modificato” (sentenza n. 10) un articolo, “nella parte in cui si

applica” (sentenza n. 149) a taluni soggetti, “nella parte in cui consente” l’adozione di una disciplina di rango subprimario (sentenza n. 180), “nella parte in cui dichiara” (sentenza n. 182) la permanenza in vigore di una norma ovvero “limitatamente alle parole” specificamente indicate in dispositivo (sentenze nn. 132,

186, 194, 196, 217).

Nel medesimo capo, le sentenze nn. 196 e 217 hanno anche dichiarato l’illegittimità tout court, rispettivamente, di altri due commi e di un’intera lettera di altro comma.

La sentenza n. 27 ha giudicato illegittime due disposizioni “nella parte in cui prevedono” l’assoggettamento a imposta di taluni soggetti per determinate annualità.

D] Si sono registrate 5 sentenze riferibili alla categoria delle decisioni sostitutive (sentenze nn. 22, 41,

120, 188, 222), per un totale di 5 dispositivi. Simili pronunce, al fine di sostituire un contenuto normativo

incostituzionale con un altro conforme a Costituzione espressamente enunciato in dispositivo, dichiarano illegittima una disposizione “nella parte in cui dispone” (sentenze nn. 22 e 222) o “prevede” (sentenza n.

188) una determinata regolamentazione “invece che” un’altra, “nella parte in cui si prevede” una certa

regola “anziché” un’altra (sentenza n. 41) e “in quanto prevede” una specifica disciplina in luogo di altra compatibile con gli evocati parametri (sentenza n. 120).

La sentenza n. 120, pur adoperando una formula decisoria apparentemente sostitutiva con l’enunciazione in dispositivo tanto della disposizione caducata quanto di quella oggetto di addizione, rivela, per contenuti e tecniche argomentative, una natura affine alle pronunce additive di principio. Infatti, oggetto di addizione non è un precetto di immediata applicabilità ma un principio bisognoso dei necessari svolgimenti legislativi, che, tuttavia, viene reso, nelle more dell’ineludibile approvazione di una disciplina primaria, concretamente operante e applicabile dai giudici comuni con l’indicazione di puntuali criteri.

E] I dispositivi di illegittimità costituzionale consequenziale, adottati ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, sono stati 2 (sentenze nn. 149 e 236).