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La fase del merito

1. Premessa

Nel 2018 la Corte ha reso 5 decisioni in sede di giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (sentenze nn. 59, 133, 169, 229; ordinanza n. 31).

L’ordinanza n. 31 ha definito il conflitto promosso dal Consiglio superiore della Magistratura a seguito della nota del Presidente della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, 21 maggio 2015, n. 362, e della sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, 17 febbraio 2016, n. 70, con le quali si è inteso sottoporre a giudizio di conto anche gli agenti contabili operanti nell’ambito dello stesso Consiglio Superiore della Magistratura.

Le sentenze nn. 59 e 133 hanno riguardato il problema dell’insindacabilità delle opinioni espresse dai parlamentari. In particolare, la prima ha deciso il conflitto sollevato dal Tribunale ordinario di Bergamo avverso la deliberazione del Senato della Repubblica del 16 settembre 2015, relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal senatore Roberto Calderoli nei confronti dell’onorevole Cécile Kashetu Kyenge (sentenza n. 59). La seconda il conflitto sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 16 settembre 2015 (Doc. IV-ter, n. 7) relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dal senatore Antonio Gentile nei confronti del dott. Franco Petramala, promosso dal Tribunale ordinario di Cosenza, seconda sezione civile (sentenza n. 133). La sentenza n. 169 si è occupata del conflitto sollevato dal Presidente della Repubblica nei confronti della Corte dei conti, in relazione a due sentenze con le quali è stata esercitata la giurisdizione sulla responsabilità amministrativa nei confronti di dipendenti della stessa Presidenza.

La sentenza n. 229 ha deciso il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato – promosso dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Bari nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri – sorto a seguito dell’approvazione dell’art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2016 nella parte in cui prevede che «[e]ntro il medesimo termine, al fine di rafforzare gli interventi di razionalizzazione volti ad evitare duplicazioni e sovrapposizioni, anche mediante un efficace e omogeneo coordinamento informativo, il capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza e i vertici delle altre Forze di polizia adottano apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale».

2. I soggetti del conflitto

Le pronunce sono state rese a seguito di ricorso presentato dal Consiglio Superiore della Magistratura (ordinanza n. 31), dal Tribunale ordinario di Bergamo (sentenza n. 59), dal Tribunale ordinario di Cosenza, seconda sezione civile (sentenza n. 133); dal Presidente della Repubblica (sentenza n. 169); dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Bari (sentenza n. 229).

Nella sentenza n. 169 è stato chiarito che “la tutela delle attribuzioni del Capo dello Stato si estende al Segretariato generale della Presidenza, che svolge ‘compiti serventi rispetto alla funzione presidenziale, costituzionalmente garantita’ (sent. 129 del 1981)”. Infatti, con la legge n. 1077 del 1948 è stato istituito il Segretariato generale della Presidenza della Repubblica “nel quale sono inquadrati tutti gli uffici e i servizi necessari per l'espletamento delle funzioni del Presidente della Repubblica e per l’amministrazione della dotazione prevista dall’art. 1 della medesima legge, ai sensi dell’art. 84 Cost. Del resto (…) il Presidente della Repubblica ‘necessita di un proprio apparato organizzativo, non solo per amministrare i beni rientranti nella dotazione presidenziale, ma anche per consentire un libero ed efficiente esercizio delle proprie funzioni, garantendo in tal modo la non dipendenza del Presidente rispetto ad altri poteri dello Stato’ (sentenze n. 262 del 2017 e n. 129 del 1981). Sicché l’effettiva autonomia dell’organo costituzionale si estende anche all’apparato amministrativo servente”.

101 Nella stessa pronuncia è stato dichiarato ammissibile l’intervento spiegato da un dipendente della Presidenza della Repubblica che è stato parte nei giudizi di responsabilità amministrativo-contabile che hanno dato luogo alle due sentenze oggetto del conflitto di attribuzione e nei confronti del quale la nota della Procura regionale per il Lazio, parimenti impugnata, chiede alla Presidenza della Repubblica di dare esecuzione alla decisione di appello della Corte dei conti. La Corte ha ricordato che la regola generale, secondo la quale nei giudizi per conflitto di attribuzione non è ammesso l’intervento di soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto o a resistervi, “non opera quando l’interveniente sia parte di un giudizio comune, i cui esiti o i cui effetti la pronuncia di questa Corte sia suscettibile di condizionare (tra le molte, sentenza n. 107 del 2015)”.

3. I profili oggettivi

I conflitti decisi nel corso del 2018 hanno avuto ad oggetto: la nota del Presidente della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, 21 maggio 2015, n. 362, e la sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, 17 febbraio 2016, n. 70 (ordinanza n. 31); la deliberazione del Senato della Repubblica del 16 settembre 2015, relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost., delle opinioni espresse dal senatore Roberto Calderoli nei confronti dell’onorevole Cécile Kashetu Kyenge (sentenza n. 59); la deliberazione del Senato della Repubblica del 16 settembre 2015 (Doc. IV-ter, n. 7) relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost., delle opinioni espresse dal senatore Antonio Gentile nei confronti del dott. Franco Petramala, promosso dal Tribunale ordinario di Cosenza (sentenza n. 133); la sentenza della Corte dei conti, sezione II giurisdizionale centrale d’appello, 19 dicembre 2016, n. 1354, la nota della Procura regionale per il Lazio della Corte dei conti 22 marzo 2017, prot. n. 0005627-22/03/2017-PR_LAZ-T61-P e la sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, 25 settembre 2012, n. 894 (sentenza n. 169); l’art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2016, recante «Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell’articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» (sentenza n. 229).

Nella sentenza n. 59, nel dichiarare infondata un’eccezione di inammissibilità, è stato ribadito che il riferimento che il ricorso fa al capo di imputazione formulato in sede penale vale ad assolvere all’onere di riprodurre in modo esauriente le dichiarazioni contestate in sede penale “allorché l’analiticità dell’imputazione ascritta al parlamentare e riportata in ricorso consenta alla Corte stessa di identificare con sufficiente grado di precisione il contenuto delle dichiarazioni asseritamente diffamatorie rese extra

moenia al fine di raffrontarlo con quello di eventuali atti tipici della funzione parlamentare (sentenze n. 55

del 2014, n. 205 del 2012, n. 334 del 2011, n. 330 del 2008)”.

La sentenza n. 229, che ha ritenuto ammissibile il relativo conflitto, ha confermato che “un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato ben può essere originato anche dall’approvazione di un atto avente valore di legge, in quanto l’istituto del conflitto tra poteri è primariamente preordinato a garantire l’integrità della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri dalle disposizioni costituzionali, a prescindere dalla natura dell’atto che si assume lesivo di tali attribuzioni (sentenze n. 221 del 2002, n. 139 del 2001 e n. 457 del 1999). La giurisdizione costituzionale sui conflitti tra poteri si fonda, infatti, in primo luogo, sulla natura dei soggetti che confliggono e sulle competenze costituzionali che essi difendono in giudizio”. Resta fermo, tuttavia, che “nel nostro sistema di giustizia costituzionale gli atti aventi valore di legge sono solitamente sottoposti al controllo di costituzionalità attraverso il giudizio di legittimità costituzionale (a seconda dei casi, in via incidentale o principale). Per questo, nella generalità dei casi va esclusa l’esperibilità del ricorso per conflitto tra poteri, tutte le volte che l’atto legislativo – al quale sia in ipotesi imputata una lesione di attribuzioni costituzionali – può pacificamente trovare applicazione in un giudizio, nel corso del quale la relativa questione di legittimità costituzionale può essere eccepita, e sollevata”. In tali casi va “ritenuto inammissibile il ricorso per conflitto su atto legislativo, appunto sul presupposto che ‘esista un giudizio’ in cui l’atto legislativo può trovare applicazione (sentenza n. 284 del 2005; ordinanze n. 17 e n. 16 del 2013, n. 38 del 2008, n. 343 del 2003 e n. 144 del 2000; nello stesso senso ordinanze n. 14 e n. 1 del 2009)”.

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4. Il ricorso per conflitto

L’art. 37 della legge n. 87 del 1953 prevede che «Il conflitto tra poteri dello Stato è risoluto dalla Corte costituzionale se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali».

La sentenza n. 229 ha ribadito che “in linea di principio, l’organo ricorrente per conflitto di attribuzione deve lamentare una diretta lesione delle sfere di competenze che la Costituzione gli riconosce, e tale esigenza è, se possibile, ancor più stringente laddove il conflitto tra poteri dello Stato abbia ad oggetto un atto avente valore legislativo. In assenza di tale limitazione, il significato del ricorso al rimedio del conflitto tra poteri potrebbe risultarne alterato in misura significativa, fino a trasformarsi in un controllo di conformità di una disposizione legislativa alla luce di qualunque parametro costituzionale, controllo che investirebbe il potere dello Stato ricorrente di una inesistente funzione di vigilanza costituzionale e del compito di sollecitare a questo scopo l’intervento della Corte costituzionale. Questa considerazione risulterebbe ancor più evidente proprio in riferimento all’art. 76 Cost., in virtù della natura logicamente preliminare dello scrutinio che lo assume a parametro, che involge il corretto esercizio della funzione legislativa (ex plurimis, sentenze n. 51 del 2017 e n. 250 del 2016). (…) In definitiva, quand’anche conseguente ad un intervento che un potere dello Stato abbia compiuto in asserita carenza di potere (per avere adottato una disposizione di decreto legislativo reputata in eccesso di delega), il pregiudizio lamentato resta arrecato alla sola sfera di attribuzioni direttamente e specificamente riconosciuta dalla Costituzione al ricorrente. E il ricorso al rimedio del conflitto è dato solo per la tutela di tali attribuzioni, alla luce dei parametri costituzionali che delimitano, tra i poteri in conflitto, il perimetro delle rispettive competenze. Del resto, nella più recente pronuncia che decise un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dalla Corte dei conti, nel quale era allegata la violazione proprio dell’art. 76 Cost., questa Corte affermò con chiarezza che ‘il soggetto costituzionale confliggente può far valere nel conflitto esclusivamente le norme della Costituzione che ne configurano le attribuzioni’ (sentenza n. 221 del 2002; in senso parzialmente analogo, sentenze n. 139 del 2001 e n. 457 del 1999). Se in quella pronuncia tra tali norme fu ricompreso l’art. 76 Cost., ciò derivò dalla specificità del caso e dalla posizione del potere ricorrente, appunto la Corte dei conti”.

Nella sentenza n. 59 la Corte ha chiarito che eccezioni di inammissibilità involgenti il merito delle questioni, anziché aspetti di ordine processuale, non possono trovare accoglimento.

5. L’interesse al ricorso

La sentenza n. 229 ha ribadito “la sufficienza, ai fini della configurabilità dell’interesse a ricorrere e quindi dell’ammissibilità del conflitto, anche della sola minaccia di lesione, purché attuale e concreta, e non meramente congetturale (sentenze n. 379 del 1996 e n. 420 del 1995). (…) La sussistenza dell’interesse a ricorrere, peraltro, non è affatto impedita dalla circostanza che l’asserita violazione delle attribuzioni costituzionali del ricorrente provenga da una disposizione contenuta in un decreto legislativo. Infatti, anche l’entrata in vigore di un atto normativo – per sua natura generale ed astratto – integra di per sé un comportamento idoneo a far insorgere nel ricorrente l’interesse alla eliminazione del pregiudizio che, a suo avviso, ne deriva alle proprie attribuzioni costituzionali, ‘e ciò senza che occorra attendere il concreto esercizio delle medesime in relazione ad un caso specifico (quasi a voler applicare anche nei giudizi sui conflitti il requisito della rilevanza tipico dei giudizi incidentali), condizione non richiesta dall’ordinamento per l’insorgere di un conflitto di attribuzione’ (sentenza n. 420 del 1995; in senso analogo, ordinanza n. 521 del 2000)”.

6. La riunione dei giudizi

Nel 2018 non sono stati registrati casi di riunione di giudizi.

7. Le decisioni della Corte

Delle 5 decisioni rese nell’anno 2018, 4 ha assunto la forma della sentenza (sentenze nn. 59, 133, 169,

103 L’ordinanza n. 31 ha dichiarato, ai sensi dell’art. 24, comma 6, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale del 7 ottobre 2008, estinto il processo per rinuncia del ricorrente CSM, intervenuta in mancanza di costituzione in giudizio della resistente Corte dei conti.

La sentenza n. 59, accogliendo il ricorso promosso da Tribunale ordinario di Bergamo, ha dichiarato che non spettava al Senato della Repubblica affermare che «il fatto, ai sensi dell’articolo 3 del decreto-legge n. 122 del 1993, convertito dalla decreto-legge n. 205 del 1993», per il quale pende il procedimento penale a carico del senatore Roberto Calderoli davanti allo stesso Tribunale, concerne opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

La sentenza n. 133 ha dichiarato che non spettava al Senato della Repubblica deliberare che le dichiarazioni rese alla stampa locale dal senatore Antonio Gentile sul conto del dott. Franco Petramala, per le quali pende procedimento civile davanti al Tribunale ordinario di Cosenza, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, annullando, per l’effetto, la relativa deliberazione di insindacabilità adottata dal Senato della Repubblica, nella seduta del 16 settembre 2015 (Doc. IV-ter, n. 7).

La sentenza n. 169 ha dichiarato che non spettava alla Corte dei conti esercitare la giurisdizione sulla responsabilità amministrativo-contabile nei confronti di dipendenti della Presidenza della Repubblica, né spettava alla Procura regionale della Corte dei conti dare istruzioni alla Presidenza della Repubblica in vista dell’esecuzione della sentenza contabile di grado di appello, annullando, per l’effetto, la due sentenze della Corte dei conti, (sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, 25 settembre 2012, n. 894 e sezione II giurisdizionale centrale d’appello, 19 dicembre 2016, n. 1354) nonché la nota della Procura regionale per il Lazio della Corte dei conti del 22 marzo 2017, prot. n. 0005627-22/03/2017-PR_LAZ-T61-P.

La sentenza n. 229 ha dichiarato che non spettava al Governo della Repubblica adottare l’art. 18, comma 5, del d.lgs. n. 177 del 2016 nella parte in cui prevede che «[e]ntro il medesimo termine, al fine di rafforzare gli interventi di razionalizzazione volti ad evitare duplicazioni e sovrapposizioni, anche mediante un efficace e omogeneo coordinamento informativo, il capo della polizia-direttore generale della pubblica sicurezza e i vertici delle altre Forze di polizia adottano apposite istruzioni attraverso cui i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all’inoltro delle informative di reato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale», conseguentemente annullando tale disposizione nella parte indicata.

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Parte II