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Il contesto comunicativo

Nel documento Le lingue di Babele (pagine 120-123)

Lo sviluppo delle abilità produttive

5.2.1 Il contesto comunicativo

Abbiamo ridotto alla parola «contesto» una nozione molto più com-plessa, quella di «evento comunicativo», propria della etnometodolo-gia della comunicazione. Ai nostri fini basta che gli studenti si abituino a considerare gli elementi principali di un evento, che Hymes ha rac-colto in un acronimo facilissimo da ricordare: «SPEAKING». Chi deve scrivere un testo o prepararsi a un discorso orale (un’interrogazione, un esame, la presentazione di una relazione ecc.) può scriversi questa si-gla su un foglio e riflettere sulle otto variabili.

a. «S» come setting, «luogo fisico»

È il luogo fisico in cui avviene l’evento: la classe, durante un’interro-gazione; un foglio; lo schermo del computer o di un cellulare. Limitan-doci per ora alla scrittura su carta (vedremo sotto le caratteristiche del-la scrittura su schermo), ci pare utile insegnare agli studenti a tener conto dello spazio disponibile (e anche del tempo, nel caso di un tema in classe): basterà far osservare quanto diverse sono la prima pagina di un giornale tabloid come «Repubblica» rispetto a un in folio come «La Stampa» o «Il Messaggero» – differenza dovuta essenzialmente allo spazio disponibile; si potrà anche far notare come anche i grandi gior-nalisti debbano piegarsi al fatto che lo spazio disponibile per il loro ar-ticolo è prefissato.

Per abituare gli studenti a tener conto del setting si possono fare atti-vità di scrittura in cui si concede un numero limitato di righe o attiatti-vità di produzione orale limitate a un minuto; usando il computer, che tra gli «strumenti» di word ha anche il conteggio caratteri, si può lanciare una sfida (individuale o a coppie): ridurre di un quarto e poi di un altro quarto, ed eventualmente di un ulteriore quarto il numero delle parole o dei caratteri di un testo.

b. «P» come «partecipanti»

Gli studenti devono assumere un principio essenziale per la comunica-zione: non si parla o si scrive nel vuoto, ma per un preciso destinatario – i compagni, l’insegnante, una commissione d’esame, l’assemblea de-gli studenti, i lettori del giornale della scuola ecc. Il destinatario va

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sto sia come figura sociale, come abbiamo fatto negli esempi sopra, sia come persona con una mente che si affatica se si parla troppo e va quindi aiutato con supporti visivi, dai powerpoint ai grafici per una re-lazione; che ha bisogno di seguire il filo del discorso per cui è necessa-rio farlo risaltare con chiarezza, anche utilizzando metacomunicatori come «anzitutto», «in secondo luogo», «inoltre», «infine», «si potreb-be anche aggiungere che» e così via.

Insegnare a tener sempre in considerazione il destinatario è uno dei cardini di un percorso di educazione linguistica non scholae sed vitae.

c. «E» come «esiti», cioè conseguimento degli scopi

Non esiste comunicazione senza scopo, dichiarato o non: chi non ha scopo, «parla a vanvera»: è lo scopo che orienta le scelte tra i vari fat-tori dell’evento comunicativo che stiamo elencando; spesso gli studen-ti non hanno chiaro lo scopo per cui parlano o scrivono – e tale man-canza di chiarezza può mancare per loro immaturità o perché l’inse-gnante lascia implicita questa fondamentale componente della comu-nicazione.

d. «A» come «atti di discorso»

Torneremo sugli atti e le mosse comunicative parlando dell’interazione orale, ma anche la comunicazione monodirezionale si svolge attraverso «atti», quali per esempio riprendere le parole chiave del titolo per pre-cisarle, per contestarle, per gerarchizzarle; dichiarare che cosa si inten-de dimostrare; in una relazione orale, tra gli atti troviamo anche saluta-re, ringraziare per la collaborazione, scusarsi ecc.

È importante che lo studente comprenda che la scelta degli atti che si compiono dipende dal destinatario cui ci si rivolge (in un Consiglio di classe per esempio sono previsti atti di cortesia, di richiesta di prendere la parola, di espressione di accordo o disaccordo ecc., atti che vanno compiuti con un registro ben diverso da quello usato nell’assemblea di classe autogestita) e dagli scopi per cui si parla o si scrive.

e. «K» come key, «chiave psicologica»

La chiave sarcastica o ironica, saccente o umile, tesa o sdrammatizzan-te, rilassata o aggressiva e così via, è un fattore fondamentale per

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giungere i propri scopi; lo studente deve imparare a programmare la

key, la chiave psicologica, il tono che vuol dare al suo intervento o al

suo tema, e anche a interpretare la chiave psicologica del proprio desti-natario.

f. «I» come instruments, «strumenti»

Consideriamo il più classico degli strumenti con cui scriviamo, la pen-na: scegliere matita o penna, una biro che sbava o una che traccia un segno pulito, offre al destinatario un’immagine che guida la compren-sione del testo e contribuisce a creare la key, l’atteggiamento nei con-fronti di chi scrive; lo stesso dicasi, per il testo orale, riguardo al tono di voce, alla velocità dell’eloquio ecc. Rientrano in questo elemento dell’evento comunicativo anche la scelta di usare un powerpoint du-rante una relazione, di distribuire un handout alla commissione dudu-rante un esame e così via.

g. «N» come «norme» di interazione e di interpretazione

Questa variabile è quella più strettamente linguistica (scelta di lessico, di strutturazione testuale e sintattica), sociolinguistica (registro, uso li-mitato o intensivo delle microlingue delle varie discipline, controllo delle inflessioni regionali, inserimento di battute in dialetto ecc.), pragmalinguistica (possibilità di interrompere o di essere interrotti e così via).

h. «G» come «genere comunicativo»

Si tratta in realtà della fusione di due nozioni differenti: tipo testuale e genere comunicativo. Li vedremo in paragrafi a sé.

La proposta di dedicare tempo e sforzo individualmente o in piccoli gruppi alla progettazione del testo orale o scritto come «macchina co-municativa» prima ancora che in termini di contenuti va nella direzio-ne di un’educaziodirezio-ne, come abbiamo detto sopra, non scholae sed

vitae: è un’abilità di base, da costruire perché non ancora acquisita

du-rante l’adolescenza. (Sulla pianificazione dei testi un «classico» è il volume di Castelfranchi e Parisi, 1980; si vedano anche Lo Duca, 1992 e Pallotti, 1999).

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