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Le mosse comunicative per la realizzazione dei dialoghi

Nel documento Le lingue di Babele (pagine 142-146)

Lo sviluppo delle abilità integrate

6.1.2 Le mosse comunicative per la realizzazione dei dialoghi

La metafora delle «mosse» spiega la comunicazione come una partita a scacchi, in cui lo scopo è chiaro: ciascun interlocutore vuole vincere, se si è in un contesto competitivo, e con-vincere, se si è in un contesto costruttivo.

La nozione di mossa comunicativa proviene dall’approccio sistemico alla comunicazione, dove si teorizzano dei macro-atti comunicativi che chiamiamo «mosse» sulla scia di Schmidt (1990): sono delle categorie che debordano dalla semplice competenza comunicativa in quanto rien-trano nella sfera della psicologia relazionale, di cui la comunicazione è solo una componente. Uno psicologo e un sociologo americani, definen-do le relazioni sociali in una cultura, individuavano tra gli elementi carat-terizzanti «i modi di affrontare i conflitti, incluso il controllo dell’aggres-sione e l’espresdell’aggres-sione dei sentimenti» (Inkeles, Levinson, 1969, pp. 447 sgg.): se noi consideriamo l’evento comunicativo come uno scambio di messaggi che ciascun attore vuole «vincenti» (da cui la metafora della partita a scacchi) allora il modo di regolare il conflitto è costituito da una

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Dialogo Analisi pragmalinguistica

A: Buongiorno

B: Buongiorno. Desidera?

A: Be’, vorrei vedere dei guanti… B: Benissimo. Di che tipo – pelle,

lana…

A: La pelle mi fa impressione, sa: sono della Protezione Animali. Lana o altra stoffa va benissimo: tengono caldo lo stesso.

B: Ci sono questi di lana di alpaca… eccetera

1. Salutare.

1. Rispondere al saluto. 2. Chiedere per sapere. 1. Dare formalmente un ordine. 1. Accettare.

2. Chiedere per sapere. 1. Esprimere gusti. 2. Esprimere opinioni.

3. Dare indirettamente un ordine (di mostrare guanti di lana o stoffa). 4. Dare spiegazioni di fatto. 1. Eseguire l’ordine. 2. Descrivere una cosa

serie di mosse codificate: atti che modificano le relazioni psico-sociali

dei partecipanti e il cui scopo non è solo quello di veicolare un contenu-to ma anche quello di riaffermare una posizione relazionale.

Schmidt elenca una ventina di mosse comunicative; tale lista è alla base di quella che, con opportune integrazioni, presentiamo qui di se-guito distinguendo tra «mosse up» e «mosse down», a seconda che esse tendano a prendere controllo dell’evento comunicativo oppure che mi-rino piuttosto a raffreddare gli animi, prendendo tempo, ammettendo l’errore e così via.

a. Mosse prevalentemente «up»

Sono compiute da chi vuol assumere il controllo dell’evento, sono molto delicate e richiedono un’adeguata valutazione delle relazioni tra coloro che parlano: se un interlocutore debole vuol attaccare un inter-locutore forte rischia di rendersi ridicolo; viceversa, il forte che schiac-cia il debole non solo non è apprezzato perché stravincere è sempre ri-schioso sul piano relazionale, ma può innescare un’escalation incon-trollabile nella vittima: si tratta di problemi ampiamente studiati nella psicologia relazionale e negli studi di analisi conversazionale.

Le principali mosse up in Italia (perché in ogni cultura le mosse co-municative possono assumere valori e sfumature diverse; si veda Bal-boni, 1999) sono, in ordine alfabetico:

Attaccare: è la mossa up per eccellenza: la compie chi ritiene di essere

in vantaggio per confermare la sua supremazia oppure chi è in svantag-gio per cercare di rovesciare le sorti dell’evento; un attacco condotto

con garbo è di solito accettato e tra amici è ammesso anche un attacco

diretto, ma sul piano relazionale l’attacco funziona se non è rivolto alla persona ma è all’argomentazione dell’interlocutore, e può essere con-dotto in maniera formale sotto forma di una controproposta.

Costruire: «A» accetta la proposta di «B» e la integra nella propria: è una

mossa che conferma o porta implicitamente «A» in posizione up (è la sua proposta che funge da quadro di riferimento per quella di «B»); è una mossa relazionalmente accettabile.

Dissentire: è per certi versi una variante dell’attacco, per cui diventa

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di dissentire variano da cultura a cultura: gli italiani non velano il dis-senso, per cui di un discorso di cui condividono il 95% isolano, nella risposta, il 5% di disaccordo, ma questa tendenza configge con quella internazionale, diffusa anche dai film stranieri in Italia, per cui il dis-senso si esprime invece con yes… but…, riprendendo i punti di accordo e solo dopo rilevando il disaccordo.

Chi dissente presuppone per sé una posizione di pari dignità rispetto a quella dell’interlocutore (e quindi, se parte da posizione down, si confi-gura una sorta di inizio delle ostilità) e gioca tutto sul contenuto della sua critica: se questa è valida e il dissenso è esposto con tatto, è una mossa efficace.

Esporsi, incoraggiare a esporsi: significa parlare di sé, delle proprie

opinioni, ritenendole importanti per gli altri: se essi le accettano con-fermano il movimento up di chi si espone. In molti casi il rischio è che questa mossa venga percepita come esibizione, vanteria, sicumera. Incoraggiare l’interlocutore, per aiutarlo o per far sì che si esponga, è una mossa che, se accettata dall’interlocutore, pone automaticamente chi la compie in posizione up; purché si ponga attenzione a non comu-nicare un atteggiamento di condiscendenza, questa mossa è particolar-mente gradita come segno di interesse e cortesia.

Ordinare, proporre: è una mossa rischiosa perché è collegata al

concet-to di gerarchia e mette in campo due variabili molconcet-to forti, quella della formalità/informalità e quella della esplicitezza/implicitezza della for-za pragmatica; proporre sostituisce l’ordinare in molte situazioni, so-prattutto formali.

Riassumere, verificare la comprensione: è una mossa estremamente

forte sul piano relazionale: essa può anche essere presentata come un servizio al gruppo («Scusate, vediamo di riprendere i punti essenziali») o come una mossa molto umile («Scusate, non sono certo di aver capi-to: provo a riassumere così, se necessario, mi correggete») ma in realtà è una mossa che pone chi la fa in posizione di preminenza.

Una variante di questa mossa è il verificare la comprensione: può pre-sentarsi come umile ma è in realtà una presa di possesso dell’argomen-to, perché chi verifica se ha capito bene propone in realtà una sua inter-pretazione di quanto è stato detto e, se l’interlocutore l’accetta, quella diventa l’interpretazione corretta.

Rimandare: può essere una mossa up oppure down a seconda che

ven-ga compiuta da chi domina o da chi subisce l’andamento dello scambio comunicativo.

Rimproverare: presuppone che chi la compie si senta in posizione

cor-retta e accusi (è infatti una variante della mossa di attacco) l’interlocu-tore di essere scorretto.

Chi rimprovera può farlo per rilevare errori nell’argomentazione o nel comportamento altrui (e in tal caso è necessario focalizzare l’errore, non la persona che l’ha commesso) oppure per ribadire la propria posi-zione di superiorità, per cui diviene una variante dell’attacco.

Tacere: evitare di rispondere di fronte a una domanda può essere una

mossa up oppure down a seconda che venga compiuta da chi domina o da chi subisce l’andamento dello scambio comunicativo.

b. Mosse tendenzialmente «down»

Ci sono delle mosse la cui direzione up o down dipende dalla situazio-ne, e altre decisamente down, che ammettono il mancato raggiungi-mento del proprio scopo e cercano di salvare il salvabile:

Cambiare argomento: può essere un escamotage per togliersi da una

situazione imbarazzante (ed è quindi una mossa fatta da chi è in posi-zione down) o per togliere l’interlocutore dai problemi (ed è una mossa fatta da chi è sicuro della propria posizione up), ma può essere anche aggressiva: una frase molto usata, «il problema in realtà è un altro», è indubbiamente un attacco.

Difendersi: è una mossa tipica di chi è in posizione di inferiorità

rela-zionale e conferma la posizione down di chi vi ricorre.

Domandare: domandare per chiedere informazioni è tipico di chi è in

po-sizione up, domandare per chiedere aiuto è tipico di chi è in popo-sizione

down, ma è la forma che cambia, coinvolgendo tutta la grammatica

socio-lingusitica: si pensi alla differenza tra «dimmi…» e «mi domando se…».

Ironizzare, sdrammatizzare: ironizzare è una mossa rischiosissima

per-ché ogni regione, ogni gruppo, per non dire ogni persona hanno una lo-ro nozione di ilo-ronia; sdrammatizzare è una mossa importante per evita-re che il dialogo degeneri, ma in ogni contesto richiede strategie diver-se, quindi è una mossa difficile.

Interrompere: mossa frequente in Italia, dove è spesso una forma di

collaborazione con chi sta parlando, ma assolutamente inaccettabile in quasi tutte le altre culture, che la vivono come un attacco personale sgarbato.

Lamentarsi: è una mossa comunicativa propria di chi si trova in

posi-zione di inferiorità e può servire ad annullare un rimprovero di un su-periore: ci si lamenta delle condizioni di lavoro, della mancanza di tempo ecc. In tal modo, non solo si tenta di giustificarsi, ma si realizza un attacco molto sottile, indiretto.

Scusarsi: è una mossa tipica di chi è in posizione di inferiorità, anche

se spesso serve a parificare la relazione perché costringe l’interlocuto-re a smettel’interlocuto-re di l’interlocuto-recriminal’interlocuto-re, di mostrarsi superiol’interlocuto-re: le scuse indicano un «punto a capo» dopo un errore, che viene in qualche modo dimen-ticato.

Il titolo di questo paragrafo parla di «realizzazione» di dialoghi, il precedente di «analisi»: è naturale che anche la logica pragmatico-rela-zionale basata sulle mosse comunicative si presti all’analisi di dialoghi, soprattutto laddove questi hanno elementi aperti di conflitto (si pensi ai

talk show di carattere politico o sportivo): ma è importante soprattutto

far cogliere agli studenti, non scholae sed vitae, che un retropensiero relativo alle mosse va sempre tenuto operativo mentre si dialoga, se è vero che comunicare vuol dire scambiare messaggi che raggiungono gli scopi di chi parla.

6.1.3 Principali tecniche e attività per lo sviluppo dell’abilità

Nel documento Le lingue di Babele (pagine 142-146)