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Obiettivi nella didattica del lessico

Nel documento Le lingue di Babele (pagine 168-171)

L’insegnamento del lessico

7.1.3 Obiettivi nella didattica del lessico

Sulla base dell’opposizione BICS/CALP che abbiamo citato nell’intro-duzione a questo capitolo, il compito dell’insegnante di italiano è ben definito ed è anche facilmente gerarchizzabile in passi in cui ciascuno di essi è condizione necessaria per il successivo:

a. insegnare a smontare e rimontare il lessico posseduto, in modo da far

scoprire i meccanismi di funzionamento del lessico;

b. usando i meccanismi scoperti al punto «a», insegnare a

comprende-re e generacomprende-re nuovo lessico, sia esistente (per esempio «ipercorcomprende-retti-

«ipercorretti-smo», usato dal docente veneto che di fronte a un eccesso di conso-nanti doppie spiega allo studente che ha esagerato, per paura di sba-gliare) sia creato sul momento (per esempio, capire che se un com-pagno dice «penecefalo» sta insultando);

c. approfondire il meccanismo della significazione, e in particolare far cogliere il continuum che parte dalla totale denotazione delle micro-lingue alla totale connotazione del testo letterario;

d. in collaborazione con i colleghi di lingue classiche e straniere, far scoprire come la corrispondenza tra parole di una lingua e di

un’al-tra sia limitata per lo più a nomi e verbi concreti, ma che molto più

spesso la corrispondenza sia o apparente («università», «democra-zia», «dottore» sono simili in quasi tutte le lingue europee ma signi-ficano concetti culturalmente diversi) o articolata («vedere» italiano

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ha molti corrispondenti in greco, come «casa» li ha in inglese e tede-sco, mentre «blu», «celeste» e «azzurro» confluiscono nell’inglese

blue) o addirittura impossibile (saudade non è una banale tristezza,

né è solo malinconia o nostalgia… è saudade, e si esprime con il

fado che, a sua volta, non è traducibile: al massimo possiamo

ricor-dare che esso canta la tristezza di un fato contro il quale non si può lottare, che dà e toglie senza ragione).

7.2

Lavorare sulle parole

Nella tradizione italiana l’analisi delle parole è più morfologica («no-me proprio di persona, maschile, singolare») che lessicale. Riteniamo invece che sia necessario lavorare molto più intensamente su alcuni aspetti.

a. Parole primitive/composte

Le parole primitive non creano problemi, mentre è fondamentale impa-rare i meccanismi di composizione delle parole; in particolare si tratta di far cogliere come le parole composte creano il plurale (sopravvive «capistazione», è scomparso «pomidoro», sono in rapida estinzione «casseforti» o «pescicani»; rischiamo di udire prima o poi «cani poli-ziotti» o «buoni sconti»).

Può anche esser fatto notare come la logica della modificazione a si-nistra ereditata dal genitivo latino («terremoto», «acquedotto») stia tor-nando in auge per la pressione dell’inglese («scuolabus», «sciovia»); molto lavoro interlinguistico può essere condotto su questo aspetto del-le parodel-le insieme con gli insegnanti di lingua straniera, particolarmente di inglese dove le parole composte sono frequentissime e vengono ge-nerate con estrema facilità.

b. Il significato e l’uso di prefissi/suffissi

Spesso gli affissi vengono usati in maniera enfatica per scopi espressivi (si pensi all’abuso di mega-, iper-, super-, macro- e così via) mentre sono sottoutilizzati per la comunicazione non espressiva, soprattutto se

si considera la grande varietà di suffissi dell’italiano, spesso ignorati dagli studenti; particolarmente difficile per gli studenti è l’uso dei mol-ti suffissi italiani che permettono di creare il nome dall’aggetmol-tivo («stu-pido → stupidità», «bello → bellezza» ecc.), e che spesso richiedono anche un prefisso per creare un verbo («stupido → istupidire → istupi-dimento», «bello → abbellire → abbellimento» ecc.); molto lavoro in-terlinguistico può essere condotto insieme agli insegnanti di lingua straniera, particolarmente di inglese, su questo aspetto delle parole: l’inglese infatti fa un uso particolarmente intenso di affissi, sia di origi-ne greco-latina come quelli italiani, sia di origiorigi-ne germanica, e quindi gli studenti che in molti settori, ma soprattutto in informatica, calcano termini sull’inglese non si rendono conto del fatto che stanno usando parole derivate («bypassare», «risettare»: nel primo caso il prefisso by-conserva grafia e pronuncia inglesi, nel secondo re- diviene ri- in ita-liano, conservando solo la pronuncia dell’inglese).

c. I meccanismi di alterazione

L’italiano offre una quantità enorme di suffissi alterativi, alcuni dei quali dall’uso limitatissimo su cui riflettere metalinguisticamente:

-upola si lega solo a «casa», -iccino e -ercolo a «libro», -icello a

«ven-to», -uncolo a «uomo» e così via. Queste preziosità dell’italiano sono non solo sofisticatissime, ma si possono trasformare in una «caccia al suffisso» giocata a squadre per vedere quanti suffissi si trovano e quali di questi sono limitati nella possibilità combinatoria ma comuni nell’u-so, spesso anche in quello quotidiano.

Un altro gioco interessante, per le potenzialità di riflessione metalin-guistica che consente, è quello che offre dei falsi alterati («mattino», «mattone», «burrone», «torrone», «canino», «mulino», «montone» ecc.) e chiede la parola originante nonché i reali alterati di quella parola.

Infine, poiché l’alterazione introduce connotazione più che denota-zione, è interessante effettuare scale di sensibilità al significato aggiun-tivo portato dall’alterazione: «ragazzetto» è indubbiamente orientato positivamente come connotazione e verso la piccolezza in termini di età o statura, ma «ragazzotto» come si colloca negli stessi parametri? E come classificare il negativo «ragazzaccio» quando viene preceduto dai determinanti in «il mio ragazzaccio»?

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Comporre, generare, alterare parole è una procedura normale nell’u-so della lingua italiana e nell’u-solo smontando le parole e poi riaggregandole gli studenti possono uscire dalla mera ripetizione di parole composte, derivate e alterate, per diventare essi stessi creatori di nuove parole – o almeno di parole che esistono ma che non avrebbero saputo compren-dere o produrre senza questo tipo di lavoro in classe.

7.3

Lavorare sul significato

In generale, si può far riflettere sul meccanismo della significazione, cioè sul fatto che solo l’homo loquens è in grado di unire un significan-te a un significato in maniera insignifican-tenzionale: il cane non può decidere di agitare la coda per indicare irritazione né il gatto per indicare gioia, mentre il padroncino del cane e del gatto può decidere di chiamarli Ba-rabau e Miciomao, e tutta la sua famiglia e i suoi amici adotteranno questa convenzione, del tutto arbitraria. Le tre parole che abbiamo po-sto in corsivo (intenzionalità, convenzionalità e arbitrarietà) sono ca-ratteristiche proprie del segno linguistico (delle «parole», come direb-bero gli studenti) che spesso sfuggono loro, in quanto ereditano segni pre-confezionati dalla loro cultura. Queste osservazioni fanno parte di una categoria superiore all’educazione linguistica, l’educazione semio-tica, cui dedichiamo un breve paragrafo prima di affrontare gli obiettivi specifici del lavoro sul significato delle parole.

Nel documento Le lingue di Babele (pagine 168-171)