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Memoria e apprendimento dell’italiano

Nel documento Le lingue di Babele (pagine 58-61)

Lo studente di italiano

3.2 冨 Lo studente ha una mente

3.2.2 Memoria e apprendimento dell’italiano

Lo studente ha già l’italiano nella sua memoria stabile; quando comu-nica, deve recuperare ciò che ha memorizzato in modo da poterlo usare e in particolare – per quanto ci concerne – deve recuperare dati per analizzare e sistematizzare l’italiano; è quindi necessario un cenno al funzionamento della memoria in termini squisitamente didattici.

a. La memoria di lavoro

Le informazioni arrivano alla memoria di lavoro, che ha una persisten-za molto limitata nel tempo e una capacità quantitativa che di solito non supera i sette elementi: il numero telefonico 335.67.44.321 è più facile da ricordare di 3.3.5.6.7.4.4.3.2.1; da questo deriva la necessità di organizzare le attività di classe con poche variabili: davvero, torna reale il detto «chi troppo vuole nulla stringe».

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Se poi consideriamo che questa memoria operativa si sovraccarica rapidamente, per cui nei casi migliori l’attenzione dura una quindicina di minuti, abbiamo una seconda indicazione metodologica: le attività

devono essere brevi; le unità d’apprendimento di una durata, diciamo,

di un’ora vanno divise in tre-quattro sezioni, chiaramente staccate.

b. Memoria a medio e a lungo termine, memoria semantica

Quanto entra nella memoria di lavoro va poi collocato nella memoria a

medio termine che ha una facile caducità (a seconda degli studi il dato

varia, me è certo che al massimo dopo 90 giorni ogni traccia mnestica è perduta); le strutture profonde della lingua e le interpretazioni dei si-gnificati rimandano alla memoria a lungo termine, che include sia la nostra conoscenza del mondo, la cosiddetta «enciclopedia», sia in par-ticolare la memoria semantica, che interpreta e memorizza la lingua.

Ai fini didattici la domanda conseguente è: in che modo alcuni ele-menti di un input si installano stabilmente nella nostra memoria a lun-go termine?

Aristotele teorizzava il meccanismo di memorizzazione che oggi chiameremmo «associazionismo»: si ricorda per somiglianza o per con-trasto. Le associazioni possono indubbiamente essere utili, ma solo se le crea lo studente, per quanto guidato: il ricordare prevede un ruolo attivo, richiede uno sforzo deliberato (Cornoldi, 1986): serve un obiettivo, una strategia per raggiungerlo, un processo di elaborazione nella propria me-moria a lungo termine (si veda il modello egodinamico in 3.3.3). Si

im-mette in memoria quello che si vuole imim-mettere in memoria.

In altre parole, apprendere è un progetto.

Ci viene naturale chiederci: che progetto ci può essere nell’appren-dere a fare l’analisi grammaticale, nel distinguere i complementi predi-cativi dell’oggetto e del soggetto, nel fare temi descrittivi, espressivi, argomentativi, e così via? Quelle che abbiamo elencato sono tutte cose proprie e indispensabili dell’insegnamento dell’italiano come lingua materna: il problema è come trasformare tutto ciò in progetto, in

vo-lontà di memorizzazione: a questo problema dedicheremo gran parte di

questo volume.

Andiamo a riprendere altri meccanismi psicologici che forse ci pos-sono essere d’aiuto.

a. Riflessione e memorizzazione

A una maggiore riflessione («profondità di codifica», in termini psico-logici) corrisponde una maggiore memorizzazione: in altre parole, l’in-segnante non deve illustrare un dato (la differenza tra soggetto e predi-cato, tra attributo e apposizione) ma far riflettere, e il soggetto di «ri-flettere» è lo studente.

Far riflettere richiede tempo, ma come abbiamo visto sopra al

mag-gior tempo investito corrisponde una magmag-giore memorizzazione. b. Analisi e contesto

La codifica profonda è a livello semantico più che sintattico, lessicale più che grammaticale – ma il lessico ha significato (e quindi viene

im-magazzinato nella memoria semantica) solo se considerato all’interno di un testo (non quindi in una lista) e di un contesto; ciò significa che:

– l’analisi grammaticale di parole staccate ha minore probabilità di fis-sarsi nella memoria stabile di quanto non abbia l’analisi di parole riunite da un contesto significativo;

– l’analisi logica di frasi staccate ha minore probabilità di lasciare trac-ce dell’analisi di frasi legate da una storia, una vitrac-cenda, un contesto situazionale.

c. Il filtro affettivo

Nelle situazioni di piacevole sfida, nella convinzione di poter riuscire, l’organismo rilascia neurotrasmettitori (come la noradrenalina) fonda-mentali per fissare le «tracce mnestiche», cioè per introiettare e poi ri-cordare l’input che viene recepito. In caso di stress negativo, di ansia, di paura di non riuscire, invece, l’organismo rilascia uno steroide che lo prepara a fronteggiare il pericolo: l’amigdala, una ghiandola «emo-zionale» posta al centro del cervello, rileva il pericolo e richiede lo steroide, ma allo stesso tempo l’ippocampo (altra ghiandola chiave per la memorizzazione a lungo termine) valuta che un test o un role-play non sono pericoli reali e quindi cerca di bloccare l’effetto dello steroide – ma per far ciò smette di occuparsi di indirizzare le nuove informazioni o di recuperare quelle esistenti nella memoria a lungo termine.

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Ne consegue che le attività didattiche stressanti sono inutili non su un piano genericamente psico-pedagogico, ma per ragioni di funziona-mento del cervello.

Forse una risposta metodologica sintetica al problema del rapporto tra attività didattica e memoria è nella celebre massima attribuita a Confucio:

dimmi e io dimentico mostrami e io ricordo fammi fare e io imparo

in cui «imparare» rimanda a una dimensione di riutilizzo che manca nel semplice «ricordare». Forse molti dei problemi dei ragazzi che ben sanno la «grammatica», stando ai test e agli esercizi, ma che poi scri-vono sgrammaticatamente sta proprio nel fatto che la grammatica è stata «mostrata» loro, ma non gli si è fatto fare qualcosa con quella grammatica, non si è reso «significativo» l’apprendimento (il concetto è di Rogers, ed è ampiamente applicato alla didattica dell’italiano da Caon, 2005; per approfondimenti sul ruolo della memoria in glottodi-dattica si vedano Cardona, 2001, 2004).

Nel documento Le lingue di Babele (pagine 58-61)