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Italiano lingua «materna»?

Nel documento Le lingue di Babele (pagine 45-50)

L’italiano nell’educazione linguistica

2.2 Mete glottodidattiche per sviluppare la competenza comunicativa in italiano

2.2.2 Italiano lingua «materna»?

La domanda non è essenziale ai nostri fini reali: tutti i lettori sanno be-ne che per «italiano» in questo contesto intendiamo la lingua parlata, sebbene con varietà regionali differenti, dalla grande maggioranza dei

saper fare lingua,

cioè saper generare, saper comprendere, saper modificare testi

saper fare con la lingua,

cioè usare la lingua in situazioni sociali per perseguire i propri scopi (chi comunica senza scopo «parla a vanvera»)

saper la lingua,

le grammatiche fonologica e grafemica, la morfologia e la sintassi, i meccanismi della testualità, il lessico

saper i codici non verbali

che si accompagnano alla lingua: gesti, distanze interpersonali ecc.

preadolescenti e adolescenti cresciuti in Italia (talvolta anche da geni-tori non italiani).

Esistono comunque studenti che escono dal quantificatore che ab-biamo usato sopra, ossia «la grande maggioranza»:

a. ci sono studenti la cui lingua materna è il dialetto, ma la pura dialet-tofonia non esiste più presso i ragazzini, che quando arrivano alla scuo-la elementare hanno già sviluppato almeno scuo-la competenza ricettiva del-l’italiano ascoltato in televisione; anzi, bisogna notare che spesso il dia-letto è una «conquista» (evidenziamo la parola perché, sul piano della padronanza comunicativa si tratta davvero di una conquista) legata alla pubertà e al desiderio di identità di gruppo, da un lato, e alla ribellione contro i canoni linguistici delle famiglie e della scuola, dall’altro; b. altri studenti abitano nelle aree bilingui: ladini e friulani,

francopro-venzali e walser in Valle d’Aosta, tedeschi in provincia di Bolzano, sloveni in Friuli, croati in Molise, albanesi e greci in molti comuni del Sud, sardi, catalani ad Alghero. In questi casi possono essere in situazioni di bilinguismo, in cui la differenza di competenza tra lin-gua materna e linlin-gua seconda è minima, o in situazioni in cui l’ita-liano è davvero una lingua «seconda», quasi come quella che devo-no apprendere gli immigrati. Torneremo su questo secondo caso in un capitolo apposito;

c. studenti tendenzialmente «quasi nativi», per usare la terminologia di Davies (2003): sono studenti la cui lingua materna è altra rispetto all’italiano, ma che sono sostanzialmente a loro agio in entrambe le lingue; questi «quasi nativi» sono fortunati: il loro LAD (Language

Acquisition Device, il meccanismo di acquisizione linguistica

ipotiz-zato da Chomsky) è stato attivo più a lungo e in maniera più intensa ed è quindi più attento del LAD di un monolingue: con buona pace di chi per oltre un secolo ha cercato di «estirpare» i dialetti e can-cellare le minoranze linguistiche, chiameremo anche questi studenti «parlanti di italiano come lingua materna».

Rimane da definire la situazione di studenti che hanno avuto i primi contatti con italiano come lingua seconda (immigrati oppure abitanti di zone in cui le lingue minoritarie viste al punto «b» prevalgono

forte-Italiano lingua materna 32

cap. 11

mente sull’italiano), ma che poi tramite la scuola e anche a seguito del-la pressione dei mass media stanno sviluppando del-la competenza comu-nicativa in italiano, pur conservando qualche imperfezione fonologica (dopo la piena pubertà è quasi impossibile eliminarle) o negli altri aspetti della lingua. Non sono studenti di lingua «materna» – ma sono comunque inclusi tra i destinatari dell’insegnamento dell’italiano nel sistema scolastico. Dedichiamo loro un capitolo specifico alla conclu-sione del volume.

2.3

Parole chiave del capitolo

Alla fine di questo capitolo vengono date per acquisite e condivise le seguenti parole chiave, che non verranno più spiegate e chiarite nei ca-pitoli successivi:

acquisizione vs. apprendimento: dicotomia proposta da Krashen,

neuro-psicolinguista americano, sulla falsariga dell’opposizione di Chomsky tra know e cognize. I primi due termini di entrambe le cop-pie si riferiscono alla competenza stabile in una lingua, ma non ri-flessa; apprendimento e cognize descrivono la competenza raziona-le, riflessa, sulla lingua, e hanno una funzione fondamentaraziona-le, quella di monitor cioè di controllo formale della lingua tra il momento in cui viene generata nella mente e viene enunciata dalla bocca, o im-mediatamente dopo, producendo autocorrezioni immediate (si veda «efficacia»). L’insegnamento dell’italiano lingua materna si occupa di apprendimento, non di acquisizione, a differenza dell’insegna-mento delle lingue seconde, straniere, classiche.

autopromozione, socializzazione, culturalizzazione: sono le tre

me-te di ogni educazione (linguistica, scientifica, artistica ecc.). Sono mete formative, cioè sono delle formae mentis, e in quanto tali non sono misurabili, al massimo sono osservabili nel lungo periodo (si veda «meta»).

competenza comunicativa: il sostantivo è di origine chomskyana,

e di valutarne la correttezza (l’accettabilità da parte di un parlante nativo); l’aggettivo è il contributo della sociolinguistica applicata americana (Hymes). Gli studenti giungono nella scuola media in possesso di una competenza comunicativa consolidata in italiano (mentre devono costruirla nella lingua straniera), cioè sanno:

– fare lingua, cioè realizzare lingua parlando, ascoltando, leggendo, scrivendo creativamente o sotto dettatura, anche se queste abilità vanno ampliate e consolidate; devono acquisire alcune abilità come riassumere, prendere appunti, parafrasare, tradurre da una varietà a un’altra di italiano;

– fare con la lingua, cioè agire socialmente usando la lingua in maniera efficace dal punto di vista pragmatico e appropriata in prospettiva sociolinguistica (vedi «efficacia»);

– le grammatiche che generano/controllano la lingua e i linguaggi non verbali.

competenza linguistica: è una componente della competenza

comuni-cativa, il «sapere la lingua» e «sapere sulla lingua» (quest’ultima, precisamente, è una metacompetenza).

educazione linguistica: concetto proposto nel 1913 da Giuseppe

Lom-bardo Radice, ripreso negli anni Settanta in maniera originale dalla glottodidattica italiana: descrive quella parte dell’educazione gene-rale che si occupa del repertorio linguistico della persona e della so-cietà, quindi dell’insegnamento della lingua materna, seconda, stra-niera, etnica, classica. La glottodidattica è la scienza che si occupa dell’educazione linguistica.

efficacia, correttezza, appropriatezza: sono tre parametri di

monito-raggio della lingua. L’efficacia indica che lo scopo pragmatico di chi parla o ascolta è stato raggiunto; la correttezza riguarda la qualità formale della lingua (in termini fonologici, ortografici, lessicali, morfo-sintattici e testuali), mentre l’appropriatezza riguarda la di-mensione sociolinguistica e culturale.

lingua materna: l’aggettivo non è sempre corretto per descrivere lo

studente nelle scuole italiane, in quanto alcuni sono profondamente bilingui con il dialetto, con una lingua minoritaria o con una lingua

Italiano lingua materna 34

etnica, e molti sono «quasi nativi» in italiano, ma hanno l’altra lin-gua come «materna». In questo volume si usa arbitrariamente «ma-terna» per indicare tutto questo insieme di studenti.

meta e obiettivo: le mete sono delle finalità formative a lungo

termi-ne, delle formae mentis cui si tende, nel rispetto delle singole perso-nalità, e non sono misurabili ma solo – e con difficoltà – osservabili nel lungo periodo. L’educazione linguistica ha non solo le tre mete generali dell’educazione (si veda «autopromozione»), ma anche delle mete proprie, costituite dalle componenti della Competenza

comunicativa (vedi sopra): si tratta delle specifiche mete glottodi-dattiche.

Gli obiettivi sono invece i singoli elementi (di volta in volta saperi, saper essere, saper fare) in cui si concretizzano le singole mete glot-todidattiche, cioè le singole componenti della competenza comuni-cativa: per l’insegnamento è necessario definire, caso per caso, gli obiettivi e poi verificarne il raggiungimento.

CAPITOLO 3

Nel documento Le lingue di Babele (pagine 45-50)