• Non ci sono risultati.

Il contesto europeo: le authorities nazionali come “creazione” del diritto comunitario

La spinta del diritto europeo è stata indubbiamente determinante nell’affermazione continentale del modello delle autorità indipendenti. A partire dalla metà degli anni Novanta dello scorso secolo, infatti, regolamenti e direttive hanno individuato nella creazione del mercato unico, e nei principi della concorrenza, valori da tutelare in maniera primaria, con un netto favor nei confronti di forme di regolazione affidate a soggetti autonomi dal potere politico49.

La funzione delle autorità di regolazione nel contesto europeo consiste nel mantenere effettiva la concorrenza o crearne i presupposti nel caso la stessa non ci sia, attraverso la «determinazione autoritativa delle parità delle armi fra i contendenti»50, in maniera tale da proteggere categorie di interessi collettivi potenzialmente in pericolo51. La diffusione delle autorità indipendenti, in questo senso, impedisce (o almeno dovrebbe) che le autorità politiche nazionali riescano a influire profondamente sull’applicazione del diritto europeo all’interno dei mercati regolati52 e, allo stesso tempo, permette la diffusione e l’emersione a livello comunitario di culture professionali, modelli istituzionali e strumenti operativi uniformi53.

Nella proliferazione dei regolatori indipendenti negli ordinamenti degli Stati membri, allora, «all’influenza indiretta esercitata dal modello anglosassone, si aggiunge l’incidenza

49 Cfr. S. Cassese, La nuova costituzione economica, Bari, Laterza, 2012. G. Amato, Le autorità indipendenti nella Costituzione economica, in AA. VV., Regolazione e garanzia del pluralismo. Le autorità amministrative indipendenti, Milano, Giuffrè, 1997, 16, sinteticamente definisce le autorità amministrative

indipendenti come «enti od organi pubblici dotati di sostanziale indipendenza dal Governo, caratterizzati da autonomia organizzatoria, finanziaria e contabile e dalla mancanza di controlli e di soggezione al potere di direttiva dell’esecutivo, forniti di garanzia di autonomia nella nomina, nei requisiti soggettivi e nella durata delle cariche dei vertici ed aventi funzione tutoria di interessi costituzionali in campi socialmente rilevanti».

50 Così, F. Merusi, Democrazia e autorità indipendenti, cit., 25; M. D'Alberti, Il valore dell'indipendenza, cit., 14, parla di “contraddittorio economico”.

51 Cfr. M. D’Alberti, Autorità indipendenti (dir. amm.), in Enc. Giur., vol. IV, Roma, 1997, 1.

52 Sulle differenze e peculiarità statali che comunque permangono nel processo di integrazione

comunitaria della disciplina dei servizi si veda F. Giglioni, Governare per differenza. Metodi europei di

coordinamento, Pisa, Edizioni ETS, 2012.

53 Cfr. L. Torchia, La regolazione dei mercati fra autorità indipendenti nazionali ed organismi europei, 7, Relazione svolta al convegno su “Le Autorità amministrative indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello di vigilanza e regolazione dei mercati”, il 28 febbraio 2013 presso il Consiglio di Stato. Le

autorità indipendenti, inoltre, «traggono dalla dimensione europea un ulteriore fattore di legittimazione, che si rafforza tanto più quanto più i regolatori nazionali si organizzano in reti europee, che consentono una continua interazione non solo fra il livello europeo e il livello nazionale, ma anche fra i diversi ordinamenti nazionali, con lo sviluppo di forme e strumenti di collaborazione orizzontali».

24

più evidente della costruzione europea»54. Se negli Stati Uniti lo sviluppo istituzionale delle autorità coincide con un’espansione dell’amministrazione e dell’interventismo dello Stato in economia, nel contesto europeo esse rappresentano proprio il sintomo più evidente di un vero e proprio arretramento dello “Stato imprenditore”55.

Le autorità indipendenti vengono istituite in settori “sensibili”56 come i mercati finanziari e bancari, le telecomunicazioni, la protezione della privacy e della concorrenza, in cui particolarmente elevata è l’esigenza di assicurare un intervento pubblico imparziale, in grado di garantire una tutela adeguata a diritti e libertà fondamentali particolarmente esposti a lesioni provenienti sia dal potere politico, sia dalle forze economiche che operano nel mercato57. In altri ambiti, come quello energetico o dei trasporti, invece, prevale la necessità di una regolazione delle attività economiche al passo con la complessità tecnica della materia, emergendo un atteggiamento di sfiducia nei confronti del sistema amministrativo e burocratico tradizionale, considerato inidoneo a svolgere determinate funzioni di particolare complessità58.

Il fenomeno delle autorità indipendenti di regolazione si inserisce all’interno dei processi di privatizzazione e di liberalizzazione che hanno interessato i mercati continentali a partire dalla metà degli anni Novanta, soprattutto grazie alla spinta del diritto dell’Unione europea. Le authorities rappresentano, cioè, uno dei risultati più evidenti e significativi del trasformarsi del ruolo dello Stato in economia, che da “imprenditore” assume le vesti del “regolatore”59.

54 J. L. Autin, I profili storici delle Autorità Amministrative Indipendenti, in V. Pepe, L. Coltella (a

cura di), Le autorità amministrative indipendenti nella comparazione giuridica, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2011, 13.

55 Ibidem, 14; cfr. S. Cassese, Le autorità indipendenti: origini storiche e problemi odierni, in S.

Cassese, C. Franchini (a cura di), I garanti delle regole, cit., 217-224.

56 Cfr. N. Longobardi, Le amministrazioni indipendenti: profili introduttivi, in AA.VV., Scritti per M. Nigro, II, Milano, Giuffrè, 187, che definisce “sensibili” quei settori economici «nei quali le esigenze di

protezione delle libertà e di regolazione sociale appaiono indissociabili e la loro armonizzazione presenta un elevato grado di complessità».

57 Cfr. A. Massera, La crisi del sistema ministeriale e lo sviluppo degli enti pubblici e delle autorità amministrative indipendenti, in S. Cassese, C. Franchini (a cura di), L’amministrazione pubblica italiana. Un profilo, Bologna, Il Mulino, 1994, 39.

58 A. Predieri, L’erompere delle autorità amministrative indipendenti, Firenze, Passagli, 1997, parla di

«fuga dall’amministrazione».

59 M. S. Giannini, Diritto pubblico dell’economia, Bologna, Il Mulino, 1989, 323-324, sottolinea

come tali classificazioni debbano necessariamente essere utilizzate con cautela e senza pretese definitorie assolute. Infatti, lo stesso concetto di Stato interventista «non significa niente, se lo si intende in senso assoluto, di organizzazione statale la quale “interviene” nell’economia, perché da sempre (...) esistono “interventi” nell’economia, ossia anche negli ordinamenti generali pre-statali. (...) Or lo Stato pluriclasse non è che interviene nell’economia, quasi fosse un operatore esterno, bensì governa e amministra l’economia (...). Stato interventista è perciò nozione priva di validità scientifica, anche se sovente usata, sia pure a fini puramente descrittivi (...)». Nello stesso senso, ma molti anni prima, M. S. Giannini, Sull’azione dei pubblici

25

Lo Stato rinuncia a disciplinare in via autoritativa ogni singolo comportamento del mercato attraverso un’attività dirigistica, realizzata tramite atti normativi e amministrativi diretti a conformare le condotte degli operatori economici (attraverso politiche di contingentamento del numero di soggetti abilitati a operare su un mercato, di determinazione delle tariffe di un servizioo delle modalità di erogazione dello stesso, etc.). Ciò non significa, tuttavia, che i pubblici poteri abbandonino l’idea di una regolazione giuridica dell’economia e lascino il mercato in balìa di se stesso.

Il potere pubblico statale riforma i canoni della propria azione e sostituisce a un’attività di pianificazione e gestione finalistica del fenomeno economico, basata sull’imposizione dall’alto degli obiettivi che i privati avrebbero dovuto raggiungere, una regolazione condizionale60, che si limita a stabilire alcune regole generali di condotta, volte a garantire il perseguimento degli interessi dei medesimi operatori pubblici o privati (assicurandone l’uguaglianza), dei consumatori e, infine, del mercato stesso, attraverso la riduzione di inefficienze e sprechi61.

La concezione dello “Stato interventista” o “gestore”, prevalsa in Europa dal dopoguerra fino agli anni Ottanta, si fondava su un ruolo attivo e preponderante dei pubblici poteri nella determinazione di regole di condotta nei confronti del mercato,

poteri nel campo dell’economia, in Riv. dir. comm., I, 1959, 313 ss., in cui l’A. parla di «piramidi verbali che,

come pure sappiamo da lungo tempo, costituiscono lo scotto che la speculazione economicistica deve necessariamente pagare, poichè più di ogni altra soggiace all’insidia della parateoresi». L. Torchia, La

regolazione del mercato e la crisi economica globale, intervento svolto al convegno Sistema dei controlli e diritto dell’impresa. Seminario per gli ottant’anni di Guido Rossi, Roma, 22 marzo 2011, evidenzia come il

tema dell’intervento pubblico in economia debba essere affrontato rifuggendo una lettura dicotomica tra Stato e mercato, basata sulla reciproca e assoluta irriducibilità, dal momento che un tale approccio sconta «una tendenza a fondarsi più sulla prospettazione di schemi precettivi e interpretativi che non sui risultati dell’esperienza reale e porta, anzi, spesso a leggere la realtà seguendo la deformazione propria della dicotomia, accentuando di volta in volta il peso dei fallimenti dello Stato o il perso dei fallimenti del mercato». Sul punto si veda anche A. Police, Inefficienza dell’ordine naturale del mercato e politicità

dell’ordine giuridico, in Scritti in onore di Vincenzo Spagnuolo Vigorita, Napoli, Editoriale scientifica, 2007,

vol. II, 1026 ss.

60 Si è parlato, per definire tale nuovo approccio dello Stato in economia, di re-regulation. Cfr. A. La

Spina, G. Majone, Lo Stato regolatore, cit. 49 ss.

61Così L. Torchia, La nuova Costituzione economica, in S. Cassese, C. Franchini (a cura di), L’amministrazione pubblica italiana. Un profilo, Bologna, Il Mulino, 1994, 122, secondo cui «si assiste al

passaggio dalla regolazione “di risultato” alla regolazione “di processo”: dell’attività economica privata non viene più tanto in rilievo l’esito, quanto i modi di svolgimento». Sempre L. Torchia, La regolazione del

mercato e la crisi economica globale, cit., 9, afferma che «nel diritto pubblico emerge una nuova

conformazione dell’interesse pubblico. Quest’ultimo non sempre e non necessariamente coincide più con uno specifico fine, individuato, determinato e fatto oggetto di una policy (tipicamente: lo sviluppo di un settore industriale, la creazione di posti di lavoro in una specifica area territoriale). L’ordinamento può, invece, qualificare come interesse pubblico il mantenimento di un determinato equilibrio: nella concorrenza fra operatori economici, di disponibilità delle informazioni fra venditore e compratore, nell’appostamento di garanzie fronte dell’assunzione di rischi».

26

considerato incapace di raggiungere gli obiettivi di allocazione delle risorse e di massimizzazione del benessere per i consumatori e per la collettività62.

L’intervento pubblico tradizionale nei processi economici si traduceva, dunque, nell’esercizio di stringenti poteri conformativi nei confronti dei soggetti attivi nel mercato, nonché nello svolgimento diretto di attività economiche attraverso lo strumento dell’impresa statale, soprattutto nel campo dei servizi di pubblica utilità (elettricità, ferrovie, servizi telefonici) che, di per sé, possiedono i caratteri tipici dei monopoli naturali, più adatti alla presenza di un solo produttore, piuttosto che alla concorrenza di più imprese63.

Il mercato era considerato utile esclusivamente alla fornitura delle risorse necessarie a sostenere i costi delle imponenti politiche pubbliche, e «qualunque prova di fallimento del mercato stesso veniva considerata sufficiente per giustificare l’intervento dello Stato, spesso nella forma altamente intrusiva dell’allocazione centralizzata del capitale e della nazionalizzazione di settori chiave dell’economia»64.

Questo assetto entra in crisi a causa dell’azione congiunta di due fattori. In primo luogo, le ingenti spese destinate al finanziamento delle attività economiche dello Stato (dirette o indirette, come nel caso del ripianamento con fondi erariali dei bilanci in perdita delle società partecipate dallo Stato) avevano determinato un aumento esponenziale della spesa pubblica. L’elefantiasi degli apparati amministrativi si dimostrava, inoltre, fonte di inefficienza e di peggioramento qualitativo dei servizi pubblici. Si rese necessario, allora,

62 Cfr. M. Sebastiani, Le radici dell’intervento pubblico sui mercati fra regolamentazione e antitrust,

in D. Iacovone, I servizi di pubblica utilità tra Stato, mercato, regolatore e consumatore, Bologna, Il Mulino, 2014, 16.

63 In Italia nel concetto di “impresa pubblica” sono state tradizionalmente ricomprese tre diverse

modalità di intervento da parte dei pubblici poteri: le “imprese organo” (organi tecnico-aziendali senza personalità giuridica costituiti dallo Stato o da un ente locale per lo svolgimento di attività di impresa con più o meno ampia autonomia gestionale), gli “enti imprese” (enti pubblici economici che svolgevano esclusivamente attività imprenditoriale, secondo moduli privatistici) e le società a partecipazione pubblica (spesso indiretta, caratterizzata dalla presenza di un ente pubblico inserito nel sistema piramidale al cui vertice era posto il Ministero delle partecipazioni statali). Sul punto si vedano, tra gli altri, M. S. Giannini,

Diritto pubblico dell’economia, cit.; G. Di Plinio, Diritto pubblico dell’economia, Milano, Giuffrè, 1998; E.

Cardi, Mercati e istituzioni in Italia: diritto pubblico dell’economia, Torino, Giappichelli, 2005; E. Freni, Le

privatizzazioni, in S. Cassese (a cura di), La nuova costituzione economica, cit., 239 ss. In tema di intervento

dei pubblici poteri nell’economia italiana si vedano, senza alcuna pretesa di esaustività, M. S. Giannini,

Sull’azione dei pubblici poteri nel campo dell’economia, cit., 313 ss.; A. M. Sandulli, Le imprese pubbliche in Italia, in Iustitia, 1977, 147 ss.; F. A. Roversi Monaco, L’attività economica pubblica, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. dell’economia, diretto da F. Galgano, I, Padova, Cedam, 1977, 385 ss.; P. De Carli, Costituzione e attività economiche, Padova, Cedam, 1978; G. Petrilli, Lo Stato imprenditore, Bologna, Il Mulino, 1967.

Una puntuale ricostruzione delle origini e delle trasformazioni dei servizi pubblici in Italia è contenuta in G. Napolitano, I servizi pubblici, in S. Cassese, La nuova costituzione economica, cit., 131 ss. e in S. Cassese,

La trasformazione dei servizi pubblici in Italia, in Econ. pubbl., 1996, 5 ss. Per un’analisi comparata, W.

Friedman, J. Garner, Government enterprises. A comparative study, London, Stevens & sons, 1970.

27

imboccare la strada delle privatizzazioni degli enti e delle società in mano allo Stato per dare respiro ai bilanci in perdita e ripianare il debito pubblico65.

L’inefficienza dell’attività imprenditoriale dei soggetti pubblici, che si traduceva quasi sempre in un’attività erogazione volta a soddisfare bisogni di carattere collettivo, era dovuta fondamentalmente all’incapacità di coniugare una gestione improntata a criteri di economicità, efficienza e crescita economica, con i fini “sociali” che lo Stato si proponeva di raggiungere in un determinato momento storico66. Ai market failures, cui l’intervento pubblico in economia avrebbe dovuto porre rimedio (assenza di concorrenza, esternalità negative, informazione asimmetrica), si sostituiscono in questa fase i “fallimenti dello Stato”, il cui interventismo si dimostrava altrettanto incapace di raggiungere gli obiettivi sociali ed economici prefissati67.

65 G. Majone, A. La Spina, Lo Stato regolatore, in Riv. trim. scienza amm., 4, 1991, parlano di

«sovraccarico» dei pubblici apparati. Le privatizzazioni possono essere di due tipi: trasformazione di un ente pubblico in una società per azioni ancora sottoposta al controllo pubblico (privatizzazione formale); cessione del controllo azionario della stessa società a un soggetto privato (privatizzazione sostanziale). Normalmente la prima forma di privatizzazione dovrebbe essere prodromica alla seconda. Cfr. E. Freni, op. cit., 239. Sulle privatizzazioni la letteratura è sterminata. Senza alcuna pretesa di esaustività si vedano, S. Cassese, Le

privatizzazioni in Italia, Riv. trim. dir. pubbl., 1, 1988, 32 ss.; Id, Stato e mercato dopo privatizzazioni e deregulation, in Riv. trim. dir. pubbl., 2, 1991, 378 ss.; F. Garri, L’alienazione dei beni della pubblica amministrazione. Le tematiche giuridiche, in La finanza locale, 6, 1993, 785 ss.; P. G. Marchetti (a cura di), Le privatizzazioni in Italia, Milano, Giuffrè, 1995. La crisi e il superamento del c.d. “consenso keynesiano” –

legato alla diffusione e affermazione in quasi tutti i Paesi occidentali di politche macroeconomiche fondate sul pensiero dell’economista britannico John Maynard Keynes e, dunque, su un deciso interventismo statale in economia volto a correggere i difetti di un’insufficiente domanda aggregata e ad aumentare così l’occupazione – ha comportato la riscoperta a livello politico e accademico degli economisti della “scuola austriaca”, come Friedrich von Hayek e Ludwig von Mises, e l’affermarsi di un approccio atto a valorizzare l’autonomia delle forze del mercato rispetto a un interventismo pubblico non più sostenibile (negli anni Settanta, infatti, l’enorme spesa pubblica aveva comportato ovunque elevatissimi livelli di inflazione e debito pubblico). Tale impostazione fu seguita e predicata soprattutto dalla “scuola di Chicago” guidata da Milton Friedman. Le teorie neoliberiste hanno dunque assunto un ruolo egemone, diffondendosi, anche grazie all’azione del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, trovando riconoscimento e applicazione da parte sia delle forze conservatrici, sia di quelle più progressiste. Sul punto si veda H. Landreth, D. C. Colander, Storia del pensiero economico, Bologna, Il Mulino, 1996, 653 ss. Sui rapporti tra intervento statale in economia e libertà economica privata cfr. P. Lazzara, Istituzioni pubbliche, autonomia

privata e mercato nella lezione di Salvatore Romano in I maestri del Diritto Civile “Salvatore Romano”, G.

Furgiuele (a cura di), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2015, 333 ss.

66 Cfr. D. Crocco, op. cit., 16, il quale, a proposito delle “crisi” dello Stato imprenditore parla di una

«impossibilità dei pubblici poteri di mediare, in maniera adeguata, tra le scelte di politica economica frutto delle teorie keynesiane e le istanze di sempre maggiore competenze specialistica ed estraneità nell’esercizio di una rinnovata funzione di regolazione del mercato e di quegli interessi che in esso sono in gioco».

67 G. Majone, A. La spina, Lo Stato regolatore, cit., 19 affermano che la crisi dello Stato gestore non

debba essere letta esclusivamente sotto la lente di ingrandimento dell’efficienza produttiva, ma debba essere piuttosto interpretata come «crisi di una particolare modalità di regolazione dell’economia. L’impresa pubblica non solo ha ridotto le capacità politico-economiche dello Stato, ma ha anche interrotto un processo di apprendimento nelle politiche pubbliche, che avrebbe potuto produrre, mezzo secolo fa, il tipo di istituzioni regolative che soltanto oggi l’Europa sta tentando di sviluppare». L’esempio è quello dei tribunals britannici (si pensi alla Railway Commission del 1873) che erano dotati di poteri di controllo di specifici settori industriali, anche se con caratteri maggiormente simili a organismi giudiziari che a vere e proprie autorità indipendenti di regolazione.

28

Il fenomeno che ha contribuito maggiormente alla “ritirata” dello Stato dalla gestione diretta di interi settori produttivi deve però identificarsi nel processo di integrazione europea, che ha visto nella liberalizzazione dei mercati, nella concorrenza e nella libertà di accesso ai settori produttivi senza discriminazioni basate sulla provenienza territoriale degli operatori economici, la strada più rapida per la creazione e il consolidamento di un mercato interno fondato sulle quattro libertà di circolazione (delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali), soprattutto nel campo dei servizi pubblici68.

In quest’ultimo settore, gli interventi comunitari di liberalizzazione dei mercati sono stati realizzati sulla base dell’art. 114 TFUE69, in modo da condurre alla creazione di una disciplina generale e uniforme a livello europeo che ruotasse intorno alla libertà di entrata in settori prima riservati, indipendentemente dalla natura pubblica o privata degli operatori. Si accoglieva così una concezione “oggettiva” di servizio pubblico, basata non sulla natura statale del soggetto gestore, ma sul tipo di attività svolta.

La necessità di determinare regole di comportamento neutrali per tutti i soggetti economici, soprattutto in quei settori precedentemente caratterizzati da una situazione di monopolio pubblico, ha reso indispensabile che tale funzione regolatrice “nuova” venisse esercitata da soggetti altrettanto originali, distinti rispetto all’organizzazione amministrativa tradizionale, autonomi da quest’ultima e indifferenti a qualunque pressione proveniente dal mercato o dalla politica70.

Soggetti che garantiscano, da un lato, il rispetto delle stesse direttive europee di liberalizzazione da parte delle imprese operanti nel mercato e che queste non pongano in essere condotte anticoncorrenziali atte a impedire l’ingresso nel mercato da parte di potenziali competitors; dall’altro, che il mercato rimanga effettivamente concorrenziale e accessibile a tutti, soprattutto quando nello stesso sia presente lo stesso ex monopolista

68 G. Napolitano, I servizi pubblici, cit., 135, sottolinea come, paradossalmente, per anni i regimi di

riserva legale a favore dello Stato fossero stati giustificati proprio facendo leva su due principi affermati dagli stessi trattati europei: l'irrilevanza del regime pubblico o privato della proprietà delle imprese quanto all'applicazione del diritto comunitario e la possibilità di derogare alle regole della concorrenza a favore di quei soggetti incaricati di una mission di interesse economico generale.

69 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), art. 114, c. 1: «Salvo che i trattati non

dispongano diversamente, si applicano le disposizioni seguenti per la realizzazione degli obiettivi dell’articolo 26. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione col Comitato economico e sociale, adottano le misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l’instaurazione e il funzionamento del mercato interno».

70 A. La Spina, G. Majone, Lo Stato regolatore, cit., 33, sinteticamente definiscono lo Stato regolatore

come uno Stato che «non solo interviene per lo più tramite regole, ma anche, più specificamente, come uno Stato che, nel farsi carico di tale compito, tende ad avvalersi di AR (autorità regolative), lì dove possibile e opportuno». Si veda infra, Cap. II, par. 2.

29

(c.d. incumbent, il quale spesso mantiene il controllo e la gestione delle reti infrastrutturali necessarie per l’erogazione di un servizio), che potrebbe rapidamente riassumere una posizione di dominanza sul comparto grazie al proprio perdurante potere di mercato71.

La neutralità del soggetto incaricato di “regolare” il mercato nei confronti di tutti gli

Outline

Documenti correlati