I CARATTERI DELLA REGOLAZIONE INDIPENDENTE NEGLI STATI UNITI E NELL’UNIONE EUROPEA
1. Le origini delle Independent Regulatory Commissions: l’esperienza delle commissioni statal
1.4. La non delegation doctrine
I dubbi di costituzionalità sulla natura e sui poteri delle IRC derivano soprattutto dalle c.d. distributing clauses presenti nella Costituzione, che affidano il potere legislativo al Congresso195, il potere esecutivo al Presidente196 e quello giudiziario alla Corte Suprema e alle altre corti inferiori197.
Queste disposizioni normative hanno come conseguenza che nessuno dei tre poteri possa mai essere delegato a organi, agenzie, uffici diversi da quelli espressamente contemplati dalla carta costituzionale? Come è possibile conciliare il principio della separazione dei poteri con l’attribuzione alle agenzie indipendenti di funzioni diversificate in cui non sussiste una netta separazione tra il momento normativo-esecutivo e quello quasi-giurisdizionale? La Corte Suprema ha avuto più volte occasione di affrontare queste tematiche.
Inizialmente, la Corte si oppose fermamente a ogni ipotesi di delega di poteri normativi, fondando il proprio ragionamento sul principio secondo cui, in astratto, la Costituzione americana vieta espressamente una delega di poteri legislativi a soggetti diversi dal Congresso198. Tuttavia tale atteggiamento inflessibile mutò nel corso del XX
195 U.S. Const., Art. I, § 1, cl. 1. 196 U.S. Const., Art. II, § 1, cl. 1. 197 U.S. Const., Art. III, § 1, cl. 1.
198 Cfr. Field v. Clark, 143 US 649, 962 (1892), in cui il giudice Harlan sostenne che «that Congress
cannot delegate legislative power (…) is a principle universally recognized as vital to the integrity and maintenance of the system of government ordained by the Constitution». Il principio generale secondo cui
delegatas potestas non potest delegari era stato fatto proprio dalla Corte Suprema già nel 1831 nel caso Shankland v. Wahington, 5 Pet. 390, 395 (U.S. 1831) in cui aveva affermato che «the general rule of law is
that a delegated authority cannot be delegated». Sull’interpretazione del brocardo e sulla sua applicazione nel mondo anglosassone si vedano T. M. Cooley, A treatise on the Constitutional Limitations Which Rest Upon
the Legislative Power of the States of the American Union, Boston, Little, Brown and Company, 1927; A.
Ross, Delegation of Powers, in Am. J. Comp. L., 7, 1958, 1 ss. Cfr. anche R. Cushman, The Constitutional
Status of Independent Regulatory Commissions, in Cornell L. Quarterly, 1938, 32, che ricollega la non- delegation doctrine e, in generale, l’imposizione di limiti alla possibilità di delegare un potere
costituzionalmente attribuito, alla necessità di tutelare il “due process of law” altrimenti messo a rischio da un’eccessiva discrezionalità in capo alle agenzie federali. C. R. Farina, Deconstructing Nondelegation, in
Harv. L. J. & Pub. Pol’y, 33, 2010, 90, sottolinea come le sentenze in cui la teoria della non-delegazione
venne fatta propria dalla Corte Suprema sembrano frutto dell’applicazione dei principi generali di common
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secolo, in relazione alla necessità di adeguarsi rispetto all’espansione dello Stato amministrativo. Ciò condusse i giudici di Washington a non escludere la possibilità che potessero essere sviluppati principi giuridici e teorie volti a giustificare l’attività (soprattutto di rule-making) delle commissioni indipendenti. In questo senso si parla di superamento della “non-delegation doctrine”, ossia quell’approccio dottrinale contrario a ogni tipo di delega di poteri a soggetti diversi dagli organi costituzionali. La Supreme Court, al fine di ricondurre a legalità le agenzie e le commissioni indipendenti e i poteri a esse delegati, cercò, tuttavia, di non scardinare i pilastri dell’ordinamento giuridico americano, in primo luogo il bilanciamento, la distinzione e il reciproco controllo tra i poteri costituiti199.
I primi casi affrontati dai giudici della Corte Suprema riguardavano, ovviamente, la delega dei poteri da parte del Parlamento al Presidente; i principi affermati, tuttavia, rimangono validi anche per la delega di poteri alle agencies e alle IRC affermatisi in un secondo momento200. Già nel 1813, nel caso The Big Aurora v. United States201, la Corte Suprema ebbe modo di confrontarsi con il tema, a proposito di una leggeche autorizzava il Presidente a imporre un embargo economico nei confronti della Francia napoleonica e del Regno Unito nel caso in cui questi due Paesi avessero violato la neutralità commerciale americana202. In questo caso lo statute, la cui legalità era contestata da un’impresa accusata di aver violato l’embargo, fu invece considerato legittimo dalla Corte. Infatti, il potere esecutivo incarnato dal Presidente si era limitato, in quell’occasione, all’adozione di uno specifico e prescritto atto autorizzato dal Parlamento, la cui adozione, necessaria ad applicare la legge, era obbligatoriamente vincolata al verificarsi di una determinata eventualità prestabilita dal legislatore (“named contingency”).
Lo stesso approccio, detto appunto named contingency test, fu ribadito nella successiva causa Field v. Clark203. Anche in questa occasione, il massimo giudice
199 Cfr. A. Forgàcs, The Regulatory Powers of Agencies in the United States and the European Union,
in Eur. Networks L. & Reg. Q., 3, 2015, 13.
200 Per l’analisi dei diversi approcci succedutisi nel tempo si vedano, tra i molti, A. Barber, The Constitution and the Delegation of Congressional Power, New York, Oxford University Press, 1975; F.
Heffron, N. McFeeley, The Administrative Regulatory Process, New York, Longman, 1983, 30 ss.; R. J. Pierce, S. A. Shapiro, P. R. Verkuil, Administrative Law and Process, II Ed., New York, The Foundation Press, 1992, 47 ss.
201 The Big Aurora v. United States, 7 Cranch 382 (1813). 202 Si trattava del Non-Intercourse Act del 1809.
203 Field v. Clark, 143 US 649, 692 (1892). In quest’occasione, il Tariff Act del 1890 concedeva al
Presidente il potere di sospendere l’applicazione di alcune sue disposizioni relative a esenzioni fiscali «whenever and so often as [...] the government of any country producing and exporting imposes duties or
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statunitense affermò che se è vero che il Congresso non può delegare il potere di legiferare, tuttavia la delega non è incostituzionale se il Presidente viene a operare non come legislatore, ma come un mero agente del Parlamento, semplicemente riconoscendo il verificarsi concreto dell’evento cui la legge ricollega la sua applicazione. Sebbene la delega basata sul named contingency test sia sotto molti aspetti la più restrittiva possibile, negli ultimi anni il Congresso ha cercato di limitare comunque il suo utilizzo, scegliendo invece la strada di imporre precise e stringenti condizioni relative alle modalità con cui un certo potere viene ad essere esercitato (non limitando il proprio ruolo, dunque, alla sola determinazione delle condizioni necessarie affinché lo stesso possa essere fattivamente attuato). Il fine è chiaramente quello di poter esercitare il proprio potere di veto su quegli atti esecutivi che non rispettino le predette condizioni204.
In un altro celebre caso del 1911, United States v. Grimaud205, la Corte modificò il proprio orientamento. In questa sede venne affermato che sussiste una sottile linea di demarcazione tra ciò che costituisce l’essenza del potere legislativo e l’attività di regolazione di un’autorità amministrativa. Una delega di poteri non legislativi e subordinati sarebbe legittima, dunque, quando l’amministrazione si limitasse ad adottare le necessarie disposizioni di dettaglio in applicazione delle leggi generali e astratte varate dal Congresso («filling in the details»)206.
Con l’aumento delle deleghe parlamentari nei confronti dell’esecutivo e delle IRC dovute alle predette aperture giurisprudenziali, la Corte Suprema si vide in un certo senso costretta ad aggiornare il proprio approccio in senso maggiormente “pragmatico”. Nel caso J. W. Hampton Jr. & Co. v. United States del 1928207, la Corte introdusse il c.d.
other exactions upon the agricultural or other products of the United States, which [...] he may deem to be reciprocally unequal and unreason able».
204 Così, F. Heffron, N. McFeeley, op. cit., 32, in riferimento, tra gli altri atti legislativi adottati con lo
stesso proposito, al National Emergencies Act del 1976. Se storicamente al Presidente era permesso proclamare lo stato di emergenza nazionale in maniera quasi indiscriminata, con la possibilità di esercitare ampie e non prestabilite funzioni volte a regolare l’economia, controllare le comunicazioni o i trasporti, dopo questa legge la situazione cambiò. Essa individua i possibili presupposti che legittimano l’esercizio del potere e, soprattutto, prevede che qualora il Presidente dichiari lo stato di emergenza, il Congresso possa stabilirne la fine sulla base di una propria risoluzione.
205 United States v. Grimaud, 220 US 506 (1911).
206 La Corte fece riferimento a un precedente, Wayman v. Southhard, 10 Wheat. 1 (1825), in cui il Justice Marhall affermò il potere del Congresso di adottare norme dal contenuto generale che autorizzino
“those who are to act under such general provisions to fill up the details”.
207 J. W. Hampton Jr. & Co. v. United States, 276 US 394 (1928). In questo caso si trattava della
costituzionalità di una legge, il Tariff Act del 1922, che dava al Presidente il potere di applicare delle “moving tariffs” basate sui costi di produzione. In realtà il principio affermato in questa sede era già contenuto nella precedente sentenza Butterfield v. Stranahan, 192 US 470, 496 (1903) dove, con altra terminologia, veniva affermato che «delegation is permetted where the legislature sets ‘standards’ to delimit the scope of agency discretion».
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“intelligible principle test”, tuttora valido: qualora il Congresso adotti un provvedimento legislativo contenente un principio chiaro, volto a orientare l’azione (e a limitare la discrezionalità) di una agenzia esecutiva o di una IRC obbligata a conformarvisi nella propria attività di regolazione, questa delega è conforme ai principi costituzionali208.
I tre government branches, infatti, non costituiscono entità ontologicamente separate ma, al contrario, ognuna di esse ha la possibilità di invocare l’azione dell’altra al fine di conformarsi ai propri doveri costituzionali. È opportuno tuttavia rilevare che anche di fronte a provvedimenti legislativi di delega contenenti criteri di indirizzo vaghi o imprecisi, la Corte solo due volte ha considerato tali principi non in grado di fornire un’adeguata guida per l’esecutivo209.
Il giudice delle leggi ha finito, dunque, con l’accettare e legittimare, tutto sommato passivamente, l’emergere di un sistema amministrativo e sociale caratterizzato da ampie deleghe - contenenti soprattutto poteri di rulemaking - in capo alle commissioni indipendenti, nonostante i principi in precedenza affermati.
208 Anche al fine di permettere allo stesso potere giudiziario di sindacare se una agenzia abbia
rispettato o meno le intenzioni del Congresso. In proposito si veda, tra gli altri, T. W. Merrill, Delegation and
Judicial Review, in Harv. J. L. & Pub. Pol’y, 33, 2010, 73.
209 Cfr. F. Heffron, N. McFeeley, op. cit., 34. In alcuni casi la Corte ha considerato legittime, per
esempio, deleghe che imponevano “limiti” consistenti nel proibire la concorrenza sleale o nel regolare il sistema delle onde radio secondo l’interesse pubblico. Le due eccezioni sono invece rappresentate, in primis, dal caso Panama Refining Co. v. Ryan, 293 US 388, 55 S. Ct. 241. In questa pronuncia la Corte, in concomitanza con l’espansione del potere delle agenzie federali susseguente all’approvazione del National
Industrial Recovery Act (NIRA) del 1935, non considerò legittima, quale reale limite al potere del Presidente
di impedire il commercio inter-statale di partite di petrolio prodotto in violazione delle leggi statali, la condizione che lo stesso venisse trasportato “in an unfair competitive practice”. In questa occasione la Corte stabilì che tale disposizione non rispettava l’intelligible principle test perché «it [did] not state whether or in what circumstances or under what conditions, the President is to prohibit the transportation of (…) petroleum (…) in excess of the State’s permission». La legge avrebbe, cioè, concesso nel caso di specie un’autorità illimitata al capo dell’esecutivo nel determinare una specifica policy. Come la Corte ebbe ad affermare, «Congress cannot delegate legislative power to the President to exercise unfettered discretion to make whatever laws he thinks may be needed». Il secondo caso, verificatosi sempre durante il New Deal, fu il caso
Schecher Poultry Corp. V. United States, 295 US 495 (1935), detto anche “sick chicken case”. In
quest’occasione la parte più importante del NIRA venne dichiarata incostituzionale. La legge, infatti, autorizzava gruppi di imprese a sottoscrivere privatamente codici di “fair competition”, al fine di eliminare i fenomeni di concorrenza sleale che avevano quale maggiore effetto il mantenimento di prezzi - e dunque dei salari - troppo bassi. Il Presidente era autorizzato ad approvare e imporre a tutte le imprese di un certo settore economico l’adozione di un codice di buona condotta qualora il gruppo che ne avesse proposto l’adozione fosse rappresentativo delle companies operanti nello stesso comparto industriale; il codice non creasse situazioni di monopolio; e sempre che fosse funzionale a raggiungere gli scopi previsti nella prima sezione del NIRA. La Corte stabilì che gli obiettivi promossi dal Congresso non fossero sufficienti a costituire un adeguato standard di indirizzo per l’esecutivo. Nella sua concurring opinion il giudice Cardozo affermò: «Anything that Congress may do within the limits of the commerce clause for the betterment of business may be done by the President (…). This is delegation running riot. No such plenitude of power is susceptible of transfert». Sul punto e sulla non-delegation doctrine in generale, cfr. D. L. Feldman, Administrative Law: the
Sources and Limits of Governmental Agency Power, Thousand Oaks, CQ Press, 2016, 4 ss.; J. Pierce, S. A.
Shapiro, P. R. Verkuil, op. cit., 48. Si veda, inoltre, P. Irons, The New Deal Lawyers, Princeton, Princeton University Press, 1982, 58 ss.
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Le questioni concernenti la delega di funzioni “miste” alle IRC e la possibilità che esse dispongano di una più o meno ampia discrezionalità nel loro esercizio, sono originate principalmente dalla loro dubbia legittimazione e dall’assenza di accountability delle stesse commissioni, poste al di fuori del circuito politico-elettivo. Problemi che si sono posti e tuttora vengono sollevati ovunque le autorità indipendenti vengono istituite. Da questo punto di vista, infatti, attribuire loro il potere di determinare le priorità dell’intervento pubblico e di incidere direttamente con poteri di policy-making nella sfera giuridica dei singoli attraverso la scelta arbitraria di uno tra più interessi contrastanti, potrebbe essere interpretato come una significativa invasione delle libertà dei privati, nel senso che «it obliges them to adhere to a rule of conduct which may not propome their interests and with which they may disagree»210.
Proprio al fine di evitare questo rischio e di correggere le ampie deleghe a favore delle IRC, queste ultime e tutte le altre agenzie esecutive sono obbligate al rispetto delle norme contenute nell’Administrative Procedure Act211. La loro azione deve, dunque, essere condotta nel rispetto del principio garantistico del giusto procedimento (due process), incentrato soprattutto sull’elemento della partecipazione dei privati sia per quanto riguarda l’adozione di atti di regolazione, sia per quanto riguarda i procedimenti di adjudication212.
L’adozione di provvedimenti individuali conseguenti all’esercizio di questa funzione “arbitrale”, infatti, deve essere necessariamente preceduta da un’udienza in cui le parti abbiano la possibilità di far sentire la propria voce; deve fondarsi sulle prove acquisite durante l’istruttoria; infine, deve essere motivata. La legittimazione delle IRC, che non può essere ricondotta al circuito politico-rappresentativo, si fonda allora “dal basso”, sulla partecipazione dei privati all’interno di un giusto procedimento in cui viene garantito, secondo diverse declinazioni, il contraddittorio tra i soggetti potenzialmente o direttamente interessati dall’assetto di interessi scelto dalla commissione e quest’ultima.
Ulteriore fattore legittimante, inoltre, viene individuato nella obbligatoria sottoposizione degli atti di regolazione, e in generale degli atti amministrativi delle IRC, al controllo giurisdizionale213. Tuttavia, alcune preoccupazioni possono essere considerate
210 Così, E. Carolan, Democratic Accountability and the Non-Delegation Doctrine, in Dublin U. L. J.,
33, 2011, 225.
211 Sull’applicabilità dell’APA del 1946 alle Independent Commissions si rinvia al Par. 1.5.
212 In merito alla partecipazione e in generale sulle peculiarità dei procedimenti di rule-making, si
tornerà nel Par. 1.6.
213 Come sottolinea G. Tiberi, op. cit., 181, in assenza di un principio generale di ordine costituzionale
equiparabile all’art. 113 della Costituzione italiana, tale obbligo è contenuto in tutte le leggi istitutive delle singole IRC.
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come peculiari del sistema giuridico statunitense. La crescita dell’apparato amministrativo che ha caratterizzato il New Deal, infatti, ha messo in crisi quell’idea di “limited federal government” concepito dai padri costituenti. Il superamento della non-delegation doctrine, dunque, si deve all’incapacità del Congresso di affrontare problemi nuovi o legiferare su materie tecniche e soggette a rapida obsolescenza che lo obbligano ad adottare normative caratterizzate da un elevato quanto obbligato grado di astrattezza, lasciando poi alle agenzie il compito di adottare le disposizioni di dettaglio. Un vero e proprio potere normativo di secondo grado, molto spesso neanche condizionato da disposizioni legislative primarie.
Questo, tuttavia, finisce per limitare fortemente lo spazio normativo per gli Stati, con un conseguente squilibrio nella distribuzione verticale dei poteri normativi all’interno della cornice costituzionale federale214. Inoltre, permettere al Congresso di evitare l’adozione di normative particolarmente dettagliate e complesse ha comportato un aumento del numero delle leggi approvate, proprio in seguito a una “fuga” del Parlamento dalle proprie responsabilità politiche. L’adozione di disposizioni normative contenenti principi eccessivamente generali, che saranno concretizzati a livello esecutivo in un secondo momento, permette infatti al Paramento di non effettuare scelte volte a risolvere problemi in materie particolarmente sensibili (ambiente, salute, istruzione etc.), lasciando che siano le IRC a farlo215.
1.5. L’attività di regolazione delle IRC: le caratteristiche fondamentali dei