• Non ci sono risultati.

T ERZA SOLUZIONE I L TRASFERIMENTO IN CAPO ALL ’ ORGANO GESTORIO DELLA COMPETENZA A DELIBERARE LE OPERAZIONI SUL CAPITALE E

5. L E POSSIBILI SOLUZIONI

5.3 T ERZA SOLUZIONE I L TRASFERIMENTO IN CAPO ALL ’ ORGANO GESTORIO DELLA COMPETENZA A DELIBERARE LE OPERAZIONI SUL CAPITALE E

STRAORDINARIE DI RIORGANIZZAZIONE.

Come accennato in conclusione del paragrafo precedente, nel tentativo di ricomporre il conflitto interorganico sotteso alla presentazione di una proposta di

191 L. 19 ottobre 2017, n. 155, recante Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, in G.U., Serie Ordinaria n. 254 del 30 ottobre 2017.

192 Commenta con favore la soluzione adottata dal legislatore delegante, la quale «è coerente con la presenza di una proposta approvata ed omologata e quindi divenuta definitiva» ma non pone per ciò solo «un principio di scardinamento delle prerogative dei soci in ogni caso di procedura di risanamento», CAGNASSO, Il diritto societario della crisi fra passato e futuro, cit., in part. 48.

95

concordato preventivo “riorganizzativa” potrebbe, anziché prospettarsi una sostituzione della deliberazione assembleare da parte dell’autorità giudiziaria, ipotizzarsi una soluzione alternativa, la quale (seppur con modalità differenti) consenta allo stesso modo di riallineare le competenze e i poteri decisionali coinvolti nella ristrutturazione concordataria. Si è visto, infatti, come l’applicazione estensiva del rimedio esecutivo di cui all’art. 185 l. fall. si sia resa necessaria in ragione della possibile dissociazione tra le qualità di promotore e di attuatore del piano concordatario; dissociazione che, in presenza di una proposta di concordato, per così dire, di fonte “autonoma”, deriva dall’applicazione della regola di competenza di cui all’art. 152 l. fall. e, contemporaneamente, dal mantenimento in via esclusiva in capo ai soci del potere di dare attuazione alla ristrutturazione programmata. Ebbene, sembra possibile ipotizzare che siffatta scissione possa essere ricomposta, e in radice, attraverso il trasferimento in capo all’organo gestorio dei poteri decisionali connessi non già alla sola programmazione, bensì anche all’esecuzione degli interventi contemplati nel piano di concordato193.

La soluzione in parola si fonda, a ben vedere, su una lettura innovativa della regola di competenza delineata all’art. 152 l. fall., la cui portata viene infatti estesa ben oltre i limiti risultanti dal richiamo testuale alla sola deliberazione concernente le condizioni del concordato. Più precisamente, tale interpretazione consiste nell’ipotizzare che la

193 Tale soluzione è stata sostenuta in dottrina, dopo l’introduzione dell’istituto delle proposte concorrenti, da PINTO, Concordato preventivo e organizzazione sociale, cit., 126 ss., nonché da PRESTI,

Concordato preventivo e nuovi modelli di regolazione della crisi, cit., 8 ss. Prima della riforma del 2015, l’idoneità

dell’art. 152 l. fall. a determinare una modificazione dei criteri ordinari di riparto di competenze tra assemblea e organo gestorio era stata pionieristicamente sostenuta da FERRI jr., Ristrutturazione dei debiti

e partecipazioni sociali, cit., 762 ss.; ID., Soci e creditori nella struttura finanziaria della società in crisi, cit., 107 ss. Nelle versioni più recenti del pensiero dell’Autore emerge peraltro una prospettiva ancora più radicale, che postula, sulla scorta delle soluzioni adottate in Germania all’esito della riforma ESUG del 2011 (su cui v. infra, §2.1) non già «uno spostamento delle competenze dai soci ai soggetti legittimati a proporre il concordato, ma, più limitatamente [il rinvenimento] nel concordato omologato, da chiunque sia stata in concreto presentata la relativa proposta, [di] un titolo giuridico di per sé sufficiente ad assicurarne la completa esecuzione, la produzione cioè della totalità degli effetti delle operazioni in essa prefigurate»: così ID., La struttura finanziaria della società in crisi, cit., 32 ss. Tale soluzione non pare tuttavia replicabile nel contesto italiano, in quanto, qualora si ammettesse che le modificazioni organizzative si riconnettano alla sola approvazione ed omologazione del piano di concordato, coerenza vorrebbe che, analogamente a quanto accade nel modello tedesco, anche i soci fossero coinvolti nel procedimento di votazione, dovendo essi cioè essere trattati al pari di tutti gli altri soggetti destinati ad essere direttamente pregiudicati dal piano omologato. Come si può ben comprendere, tuttavia, l’inclusione dei soci tra i partecipanti alla procedura di concordato non è stata ammessa nel nostro ordinamento, ragion per cui pare preferibile riconnettere le modificazioni organizzative ad un momento successivo l’approvazione e l’omologazione del concordato.

96

competenza dell’organo gestorio quanto alla proposta concordataria si estenda in realtà fino a comprendere anche il potere di disporre in autonomia gli interventi ritenuti più idonei in funzione della composizione della crisi, e ciò anche nel caso in cui questi ultimi rientrino nell’ambito delle competenze, legali ovvero statutarie, di altri organi sociali e segnatamente dell’assemblea straordinaria dei soci194. Come è agevole comprendere, si tratta di una prospettiva alquanto innovativa, la quale, se da un lato varrebbe ad escludere in radice qualsiasi possibilità di interferenza della volontà contraria dei soci nel processo di ristrutturazione, la cui attuazione verrebbe infatti demandata tout court all’organo gestorio195, dall’altro pare suscettibile di porsi in (almeno apparente) conflitto con la normativa di matrice europea che regola le operazioni sul capitale sociale, nonché di alterare in maniera radicale il riparto dei poteri per come immanente alla disciplina corporativa dei tipi societari capitalistici.

Quanto al primo profilo, deve riconoscersi come la normativa europea sul capitale sociale – nel cui ambito si segnala la recentissima Direttiva 2017/1132/UE196 – preveda, limitatamente alle sole società per azioni, che la competenza a deliberare le operazioni di aumento del capitale sociale sia riservata all’assemblea dei soci, cui peraltro le azioni di nuova emissione devono essere tendenzialmente assegnate con priorità197. Orbene, è di immediata evidenza come il trasferimento in capo all’organo gestorio della competenza a deliberare le operazioni sul capitale nell’ambito del concordato preventivo si ponga quanto meno formalmente in contrasto con

194 In altri termini, l’idea è quella per cui la ratio di garanzia della corretta esecuzione della proposta di concordato sottesa al meccanismo surrogatorio di cui all’art. 185 l. fall. può trovare adeguata valorizzazione, nel caso in cui la proposta provenga dalla stessa società debitrice, attraverso «una rilettura

della regola di competenza stabilita dall'art. 152, secondo comma, lett. b, l. fall., tale da attribuire all'organo

amministrativo non solo il potere determinare il contenuto della proposta, ma anche quello di decidere in autonomia il compimento di tutti gli atti organizzativi attuativi del piano omologato, a prescindere dalla volontà dei soci eventualmente competenti in base delle regole ordinarie»: così PINTO, Concordato

preventivo e organizzazione sociale, cit., 128.

195 I quali dunque verrebbero ad assumere «il ruolo di “garanti”, anche nei confronti dei creditori concordatari, della piena attuazione del programma concordatario»: così PINTO, Concordato preventivo e

organizzazione sociale, cit., 130.

196 Direttiva 2017/1132/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 giugno 2017, relativa ad alcuni aspetti di diritto societario. Essa, ai sensi del considerando n. 1, codifica le precedenti direttive 82/891/CEE e 89/666/CEE del Consiglio, e le direttive 2005/56/CE, 2009/101/CE, 2011/35/UE e 2012/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, ai fini di una loro lettura aggiornata e compatta. 197 Si vedano sul punto gli artt. 29 e 33 della Direttiva 2012/30/UE, nonché gli artt. 68 e 72 della Direttiva 2017/1132/UE, i quali, con formulazione analoga, prevedono che «gli aumenti di capitale sono decisi dall’assemblea» e che «nel caso di aumento di capitale sottoscritto mediante conferimenti in denaro, le azioni devono essere offerte in opzione agli azionisti in proporzione della quota di capitale rappresentata dalle loro azioni».

97

l’impostazione assunta dall’ordinamento europeo in subjecta materia. Anzi, e sotto un diverso punto di vista, potrebbe dirsi come proprio l’esigenza di assicurare una stretta aderenza alla normativa europea abbia ispirato la soluzione adottata dal legislatore del 2015, allorquando si è scelto di preservare almeno formalmente l’intervento assembleare nella fase esecutiva delle operazioni sul capitale programmate nella proposta concorrente. Considerazioni analoghe potrebbero peraltro essere ripetute anche con riguardo al problema di cui si discute, orientando in tal modo l’interprete verso una soluzione che privilegi il mantenimento dei poteri in capo all’assemblea dei soci. Ciò nondimeno, il richiamo alla normativa europea sul capitale nell’ottica di giustificare la soluzione contraria al superamento della competenza assembleare si rileva a ben vedere non del tutto conferente. Innanzitutto, deve sottolinearsi come nessuna questione di compatibilità tra la disciplina interna e quella sovranazionale si è posta nell’ordinamento tedesco, nel quale, all’esito della riforma ESUG del 2011, l’esecuzione in sede concordataria di operazioni sul capitale sociale è stata ricollegata, come già anticipato, non già ad una deliberazione assembleare, bensì all’approvazione del piano di regolazione dell’insolvenza da parte di un’ampia platea di interessati, tra i quali figurano anche (ma non soltanto) i soci. Ebbene, la conformità con le indicazioni di fonte europea di siffatta soluzione, come pure di quella che si sta sostenendo, non pare poter essere esclusa in maniera radicale, in quanto la stessa applicabilità delle direttive europee sul capitale in contesti di crisi d’impresa è questione assolutamente controversa e di non agevole soluzione. Ciò è per vero confermato dal fatto che in argomento non sono mancate prese di posizione contrastanti da parte della stessa giurisprudenza europea, la quale, pur avendo talvolta affermato che la Direttiva 2012/30/UE si applica anche alle società in stato di crisi198, ne ha in altre circostanze escluso l’applicabilità agli enti assoggettati a misure esecutive o liquidatorie199,

198 V. sul punto CGCE, 12 maggio 1998, causa C-367/96, Kefalas e altri, ove si legge (punto n. 24) che «per una giurisprudenza costante, la competenza decisionale dell’assemblea generale trova applicazione anche nel caso in cui la società considerata versi in grave dissesto finanziario». V. pure CGCE, 12 maggio 1996, causa C-441/93, Pafitis e altri, ove la Corte ha statuito che la seconda Direttiva continua a trovare applicazione in caso di «semplice disciplina di risanamento».

199 V. CGCE, 12 maggio 1996, causa C-441/93, Pafitis e altri, punti nn. 57 e 58. Per una soluzione analoga si veda però anche la giurisprudenza europea che si è pronunciata sul tema, parzialmente sovrapponibile, della crisi degli istituti bancari. Sul punto v. CGUE, 8 novembre 2016, causa C-41/15, Dowling e altri (pubblicata in Giorn. dir. amm., 2017, 3, con nota di RAGANELLI, Le prerogative dello Stato nel settore bancario:

il principio di tutela della stabilità finanziaria), ove si legge (punto n. 51) che «le disposizioni della seconda

Direttiva non ostano ad una misura a carattere eccezionale riguardante il capitale sociale di una società per azioni, come l’ordinanza ingiuntiva, che le autorità nazionali abbiano adottato, in una situazione di

98

inducendo pertanto attenta dottrina straniera ad interrogarsi sull’effettiva portata di tale esenzione, e in particolare sulla sua replicabilità anche nel contesto di procedure che siano preordinate non già alla liquidazione, bensì al risanamento dell’impresa in crisi; procedure, peraltro, nelle quali l’esigenza di deliberare operazioni di (riduzione e di successivo) aumento del capitale sociale sembrerebbe presentarsi in maniera pressoché esclusiva200. Infine, in argomento non possono sottacersi le novità che si profilano nell’ambito del diritto europeo dell’insolvenza, settore nel quale, al pari di quanto è accaduto a più riprese negli ordinamenti nazionali, si è iniziata ad avvertire l’esigenza di paralizzare temporaneamente l’applicazione di norme e rimedi di diritto societario preordinati alla tutela dei soci, al fine di evitare che la rispettiva portata possa pregiudicare il risanamento delle imprese in crisi. In quest’ottica, allora, occorre sottolineare come la recente proposta di Direttiva in tema di procedure di ristrutturazione, insolvenza e liberazione dai debiti201 riconosca agli Stati membri la possibilità, nonché l’opportunità, di derogare proprio ai requisiti previsti dalla Direttiva 2012/30/UE con riguardo alla convocazione dell’assemblea degli azionisti e alla garanzia del diritto d’opzione202, così confermando come la competenza assembleare in tema di interventi sul capitale sociale possa legittimamente cedere a fronte delle superiori esigenze della ristrutturazione societaria.

Sgombrato dunque il campo da questioni di compatibilità con i vincoli sovranazionali e passando a valutare il secondo profilo in precedenza evocato, occorre

grave perturbamento dell’economia e del sistema finanziario di uno Stato membro, senza l’approvazione dell’assemblea generale di tale società nonché allo scopo di evitare un rischio sistemico e di garantire la stabilità finanziaria dell’Unione». Per la medesima soluzione v. pure CGUE, 19 luglio 2016, causa C- 526/14, Kotnik e altri.

200 Si allude in modo particolare a VERSE, Anteilseigner und Insolvenzverfahren, in ZGR, 2010, 302 ss. e in part. 314 ss.

201 Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio, riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, la seconda opportunità e misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza e liberazione dai debiti, e che modifica la Direttiva 2012/30/UE, documento COM(2016) 723 final. Per i primi commenti alla proposta v. BOGGIO-CRESPI REGHIZZI- SPIOTTA-LATELLA-GRACI-BENINCASA, UE e disciplina dell’insolvenza, in Giur. it., 2018, 2, 222 ss.; STANGHELLINI, La proposta di Direttiva UE in materia di insolvenza, in Fall., 2017, 8-9, 873 ss.; PANZANI,

La proposta di Direttiva della Commissione UE: early warning, ristrutturazione e seconda chance, in Fall., 2017,

2, 129 ss.

202 V. sul punto il considerando n. 44, ove si legge che «l’efficacia del processo di adozione e attuazione del piano di ristrutturazione non dovrebbe essere compromessa dalle norme di diritto societario. Pertanto gli Stati membri dovrebbero derogare ai requisiti di cui alla Direttiva 2012/30/Ue del Parlamento Europeo e del Consiglio riguardanti l’obbligo di convocare l’assemblea di offrire in opzione le azioni agli azionisti, nella misura e per il periodo necessari a garantire che questi non vanifichino gli sforzi di ristrutturazione abusando dei diritti di cui alla Direttiva 2012/30/UE».

99

considerare come la prospettiva di cui si discute risulti alquanto peculiare rispetto ai principi di diritto societario. Ed invero, l’attribuzione all’organo gestorio del potere di deliberare, anche in assenza di delega assembleare, operazioni quali l’aumento del capitale sociale (eventualmente comprensivo dell’esclusione o limitazione del diritto d’opzione) varrebbe di per sé a legittimare atti di disposizione delle partecipazioni sociali “svincolati” dal consenso dei rispettivi titolari203. Si tratterebbe, tuttavia, di un approdo non dissimile rispetto a quello cui è diretto l’intervento dell’autorità giudiziaria previsto dall’art. 185 l. fall.; con la sola differenza, non trascurabile, per cui, nel caso in cui la proposta provenga dalla stessa società debitrice, una soluzione che agisca entro il solo ambito dell’organizzazione sociale parrebbe più coerente con l’esigenza di ricomporre un conflitto che non è esterno all’organizzazione sociale, bensì immanente ai suoi organi204. Inoltre, a sostegno della prospettiva di cui si discute milita un’ulteriore considerazione. A ben vedere, infatti, la possibilità che la riorganizzazione concordataria coinvolga le partecipazioni al capitale delle società in concordato (finanche a prescindere dal consenso dei loro detentori) può dirsi un esito già implicito nelle premesse sistematiche che sottendono la possibilità che la proposta di concordato predisposta dagli amministratori coinvolga anche la struttura finanziaria della società in crisi. Basti considerare, infatti, che nel momento in cui il legislatore ha riconosciuto in capo all’organo gestorio il potere di proporre il concordato (e ha parimenti ammesso che la proposta possa prevedere anche operazioni sul capitale sociale), emerge in maniera chiara l’idea per cui la partecipazione sociale è stata trattata alla stregua di un bene, rappresentativo di un investimento all’interno dell’impresa sociale, che può costituire oggetto di ristrutturazione e di attribuzione ai creditori con finalità satisfattive delle relative pretese. Ciò che, si badi, può avvenire anche contro la volontà

203 In questo ordine di idee, infatti, si finisce con l’attribuire agli amministratori «un potere di riorganizzazione dell’investimento, che incide (il cui esercizio cioè si riflette) direttamente sulle singole partecipazioni sociali, e cioè su “beni” appartenenti al singolo socio, e di cui allora solo costui, in base ai principi generali, dovrebbe poter disporre»: così FERRI jr., Ristrutturazione dei debiti e partecipazioni sociali, cit., 764.

204 In altri termini, l’intervento dell’autorità giudiziaria può dirsi necessitato nel solo caso della presentazione di una proposta concorrente, in ragione della posizione di terzietà in cui, come detto (su cui v. infra, cap. 1), si colloca il creditore proponente, il quale senza la cooperazione dell’autorità giudiziaria non avrebbe a disposizione strumento alcuno per influenzare dall’esterno l’operato degli organi sociali. Viceversa, nel caso della proposta presentata dalla società debitrice, l’applicazione del rimedio esecutivo di cui all’art. 185 l. fall. si rivelerebbe soluzione sproporzionata rispetto alle esigenze da tutelare, in quanto la corretta esecuzione della proposta medesima potrebbe venir presidiata in maniera parimenti efficace con modalità che prescindono da un intervento coattivo di fonte eteronoma. Per tali considerazioni v. PINTO, Concordato preventivo e organizzazione sociale, cit., 128 e in part. nt. 58.

100

del suo titolare, nel momento in cui venga meno la stessa ragione che giustifica il mantenimento in capo al socio delle prerogative che l’ordinamento gli riconosce in funzione della valorizzazione delle proprie aspettative sul rendimento dell’investimento: vale a dire, nel momento in cui il valore della partecipazione risulti, alla luce della situazione patrimoniale della società in crisi, totalmente azzerato205.

Ciò che, in definitiva, emerge da tale prospettiva è l’idea per cui – nell’ottica di

garantire il successo di strategie concordatarie finalizzate alla sostituzione della

compagine sociale e del management originario con nuove categorie di investitori

l’ordinamento possa e debba spingersi sino ad ammettere soluzioni che legittimino il mancato coinvolgimento dell’assemblea dei soci e dunque un consequenziale arretramento delle logiche proprietarie che tradizionalmente compendiano il rapporto tra il socio e la partecipazione al capitale da questi detenuta. E invero, come si è visto anche alla luce di quanto già osservato nel capitolo d’apertura del presente lavoro, la prevalenza accordata dall’ordinamento alle esigenze del risanamento e della ristrutturazione societaria non può accompagnarsi al mantenimento in capo alla compagine sociale del potere di disporre in maniera assoluta ed incondizionata delle proprie partecipazioni, qualora non vi siano ragioni sostanziali che depongano a favore della persistenza di un’aspettativa legittima sul valore residuo del patrimonio sociale di cui i soci verrebbero al contrario espropriativi. In altri termini, se l’arretramento della posizione del socio trova una sua coerenza e una sua legittimità in caso di azzeramento del valore della partecipazione, parimenti non può dirsi nell’eventualità in cui quest’ultima sia ancora espressiva di un valore, seppur latente. Considerazione questa che, in conclusione, vale a mettere in evidenza la necessità di interrogarsi sulle eventualità in cui la posizione dell’azionista meriti di essere tutelata e, pertanto, sugli strumenti che l’ordinamento deve mettere a disposizione di quest’ultimo al fine di stigmatizzare l’eventuale, illegittima, espropriazione cui egli potrebbe essere sottoposto. A tali obiettivi sarà dedicato il capitolo conclusivo del presente studio.

205 L’idea è dunque quella per cui, «in presenza di un patrimonio netto negativo (come, in caso di crisi, potrebbe accadere, ed anzi normalmente accade), [verrebbe meno] la stessa giustificazione sistematica dei poteri spettanti ai soci nell’ambito dell’organizzazione sociale»: così FERRI jr., La struttura finanziaria

101

6. POSTILLA. LA TENUTA DELLA SOLUZIONE PROPOSTA ALLA LUCE DELLE

PARTICOLARITÀ DEL TIPO SOCIETARIO S.R.L.(CON ALCUNE CONSIDERAZIONI INTORNO AL «DIRITTO SOCIETARIO DELLA CRISI»).

La soluzione già ritenuta preferibile – ovvero l’accentramento in capo all’organo gestorio dei poteri deliberativi in materia di operazioni sul capitale e straordinarie – se può certamente dirsi prospettabile con riguardo alle società per azioni, merita tuttavia di essere attentamente valutata alla luce del diverso criterio di riparto che presiede alla disciplina delle competenze degli organi sociali nella società a responsabilità limitata. Come già accennato, infatti, in detto tipo societario il legislatore, pur avendo previsto ai sensi dell’art. 2481 c.c. la possibilità di delegare agli amministratori la facoltà di aumentare il capitale sociale, ha optato per il mantenimento in capo alla collettività dei soci del potere di deliberare (in forma necessariamente assembleare) le modificazioni dell’atto costitutivo nonché quelle operazioni che comportino «una rilevante modificazione dei diritti dei soci». Senonché, alla luce del tenore letterale dell’art. 2479 c.c., potrebbe quanto meno dubitarsi della possibilità di prescindere dal coinvolgimento della compagine sociale qualora la ristrutturazione concordataria preveda operazioni implicanti la diluizione, se non addirittura il totale azzeramento delle partecipazioni sociali esistenti.

A ben vedere, tuttavia, una questione di compatibilità della nuova disciplina concorsuale con le norme che regolano il tipo societario in parola può palesarsi anche in momento logicamente e cronologicamente anteriore rispetto a quello

Outline

Documenti correlati